Le parole che state per leggere arrivano a non troppe ore di distanza dal Super Bowl, ma non fatevi ingannare, Aaron Donald non aveva assolutamente bisogno di un anello per legittimare la propria carriera: Donald non aveva bisogno di un anello per meritare ciò che sto per scrivere, infatti non troppo tempo fa avevo già provato a descriverne l’unicità.
Il trionfo di domenica sera, nello stadio costruito anche grazie ai suoi sack, non rappresenta un punto di arrivo, ma un efficace riassunto di una carriera che mi sento a mio agio a definire unica e inimitabile: l’abitudine, forse, ci ha desensibilizzati ma non possiamo permetterci neanche per un secondo di dare per scontato il numero 99 dei Los Angeles Rams.

Nei rari momenti in cui parlo di football americano nella vita reale con amiche o amici che solamente in occasione del Super Bowl hanno avuto modo di deliberare che football e rugby siano due sport completamente diversi, mi viene spesso chiesto chi sia il miglior giocatore della NFL: il debole retaggio culturale di questa disciplina in Italia porta tutti loro a pensare automaticamente che risponderò indicando un quarterback perché, dopo tutto, i loro incontri con il football americani sono probabilmente arrivati grazie a film nei quali la stella della squadra è inevitabilmente il quarterback.
Non potete immaginare il loro stupore, quindi, nel momento in cui la mia scelta cade su un defensive tackle: ma cos’è un defensive tackle?
Questa, nel caso di Aaron Donald, è una domanda più che legittima perché vedendolo giocare ci si dimentica spesso che si stia parlando di un defensive tackle perché le sue imprese, teoricamente, non dovrebbero competere ad un interprete di tale posizione.

Ce lo dimentichiamo spesso – mi includo tranquillamente nel discorso – che Donald sia un interior lineman, che il suo lavoro primario non dovrebbe essere quello di portare pressione al quarterback avversario ma di rendere la vita un po’ più facile a chi gli sta attorno tenendo occupati un paio di O-lineman snap dopo snap.
Vedete, inanellare stagioni da dieci sack con la nonchalance con cui i New England Patriots di Belichick e Brady dominavano la propria division è assolutamente insensato per un interior lineman: nel caso di Aaron Donald una dozzina scarsa di sack rappresenta una mezza delusione perché fra le tante cose da lui disintegrate in questi anni troviamo pure la logica, la stessa logica che abbiamo dovuto sacrificare nel vano tentativo di  comprendere ciò di cui eravamo testimoni.

Aaron Donald è il miglior giocatore della NFL nella golden age dei quarterback: quello che fino a domenica era un pensiero riservato solo agli hipster o a Pro Football Focus si è trasformato in un incontrovertibile dato di fatto.
A trent’anni d’età quest’uomo ha vinto tutto quello che poteva umanamente vincere e, non fosse un premio ingiustamente appannaggio dei quarterback, Donald potrebbe pure vantare l’MVP per il suo insensato 2018, anno concluso a 20.5 sack, comodamente record all-time per un interior lineman.
Ciò che più mi ha impressionato non è tanto l’arricchimento della sua bacheca dopo la vittoria sui Bengals, ma il contributo da lui apportato per arrivare ad essa.

L’unica macchia nella sua carriera, secondo qualcuno, era la tendenza a dissolversi durante la postseason e per corroborare questa stupidissima tesi si finiva sempre e comunque a puntare il dito verso Super Bowl LIII e il suo relativamente misero bottino di 5 tackle totali e nessun sack.
Tali statistiche occultano il fatto che l’intero gameplan offensivo dei New England Patriots vertesse su di lui, su un defensive tackle: per limitare – nota bene, non “annullare” ma “limitare” – Donald il buon Belichick lo ha raddoppiato, se non triplicato, sistematicamente costringendo Brady a liberarsi del pallone quanto più velocemente possibile al fine di non dargli il tempo materiale per piombargli addosso.
Lo so, questa è probabilmente una forzatura, ma sono più che convinto che un fatto del genere ci offra un’indicazione ben precisa sul suo valore assoluto in quanto essere al centro dei pensieri del più grande allenatore di tutti i tempi non è esattamente un effimero onore di cui tutti possono vantarsi.

In questi playoff Donald si è tolto la soddisfazione di rendere obsolete e oggettivamente ridicole tali critiche esaltandosi nei momenti cruciali delle partite più delicate del torneo, l’NFC Championship Game e il Super Bowl.
Non dobbiamo infatti farci passare di mente il fatto che nell’unica partita della postseason conclusa senza sack sia stato proprio lui a mettere pressione a Garoppolo sull’ultimo snap offensivo dei ‘Niners, un terzo down sabotato da Donald che in tempo zero ha messo le mani addosso al bel quarterback costringendolo ad un tanto inutile quanto commovente tentativo di fuga conclusosi con l’intercetto che ha chiuso definitivamente la contesa.

In quattro partite, secondo PFF, Donald ha raccolto 23 pressioni totali – ricordiamolo, defensive tackle – e quattro sack, numeri che competono ai migliori pass rusher in assoluto: Donald è indiscutibilmente uno dei migliori pass rusher in assoluto malgrado la sua posizione non ci permetta nemmeno di definirlo come tale.
Durante la regular season, sempre secondo PFF, Donald ha giocato 1040 snap, numero più alto in assoluto per un interior lineman mai misurato dal sito nella sua storia, ossia dal 2006: tenendo in considerazione i playoff tale cifra schizza a 1261, numero totalmente insensato per questa posizione.
Donald non è “solo” – anche se sarebbe più che abbastanza – un ottimo pass rusher, ma è da anni uno dei migliori run defender della lega e sebbene questo fatto scivoli spesso in secondo piano perché nel 2022 le corse non le considera più nessuno – ironia -, spero di essere riuscito ad impressionarvi ancora un po’ di più.

Perdonatemi l’asettica digressione statistica, ma credo che un paio di numeri qua e là possano risultare estremamente utili a capire un essere che di umano ha veramente poco.
Dicevo, i grandi giocatori sono riconosciuti come tali principalmente per la tendenza a esaltarsi nei momenti fondamentali della stagione, quelli in grado di ridefinire la storia di un’intera squadra e città diventando episodi così iconici da trascendere il tempo.
La carriera di Lawrence Taylor è stata tramutata in leggenda proprio dalla sua storica capacità di tirare fuori dal cilindro intere famiglie di conigli spaccando in due una partita con una singola giocata, la miglior prestazione della carriera di Reggie White è forse arrivata proprio al Super Bowl con tre sack, Ray Lewis si è elevato a leggenda durante la cavalcata al Lombardi dei Ravens del 2000, Ed Reed e Ronnie Lott non casualmente condividono il gradino più alto del podio per intercetti durante i playoff: potrei dilungarmi per qualche altra riga, ma credo siate riusciti a individuare il filo conduttore.
Donald, esattamente come i suoi nuovi coinquilini nel monte Olimpo della NFL, dà il proprio meglio nel momento in cui la propria squadra ne ha più bisogno e ciò può bastare a garantire l’immortalità sportiva.

La vittoria di domenica ha consacrato definitivamente Aaron Donald non solo come il migliore difensore della nostra generazione, ma come uno dei migliori nella storia del gioco: in un mondo in cui i GOAT vengono ruotati settimanalmente, associare questa sigla ad Aaron Donald è finalmente legittimo.
Questo Super Bowl Donald se lo è andato a prendere personalmente, indipendentemente dal numero di offensive lineman che gli mettevano le mani addosso, l’ultima pressione della sua partita ha impedito a Burrow di scorgere Chase completamente libero in profondità salvando i Rams: esiste qualcosa di più appropriato e poetico di questo fatto?
Con la solita commistione di rabbia repressa e violenza controllata Donald ha risposto presente alla chiamata più importante della sua vita regalandosi così un’immortalità afferrabile veramente da chiunque, pure da chi si è avvicinato a questa disciplina da poche settimane o mesi o chi il football americano lo guardo solo in occasione del Super Bowl.

Permettetemi di dire che nel caso in cui quella giocata al SoFi Stadium contro i Bengals sia stata veramente la sua ultima partita in NFL, Aaron Donald ha scritto uno dei finali più appropriati ed epici di cui io abbia memoria, un vero e proprio capolavoro che ci permette di apprezzare una volta per tutte un giocatore che ha reso quest’ultimo decennio di NFL infinitamente più divertente e sì, sono consapevole che associare il concetto di divertimento a un defensive tackle è alquanto bizzarro, ma tant’è.
La speranza, ovviamente, è quella di vederlo in campo a settembre ma a questo punto non ha veramente più nulla da dimostrare a nessuno, l’inevitabile mestizia lascerebbe spazio ad un nostro senso di appagamento e gratitudine suscitato dalla totale assenza di rimpianti in una carriera che dovrebbe trovare spazio in un libro di epica.

4 thoughts on “La NFL è di Aaron Donald

  1. Visto che tra poco sarà tempo di Draft… Quando è stato valutato per il draft in molti asserivano fosse sottodimensionato per un DT a livello NFL…
    Quanti se ne sono pentiti…

    • Solitamente rido rileggendo i draft report, però a loro discolpa nessuno poteva aspettarsi qualcosa del genere

  2. Ciao Matio, apparte la clamorosa forza di Aaron Donald, ti volevo chiedere da tifoso dei Colts un’opinione sul crollo di Carson Wentz

  3. Lo hanno fatto giocare interior lineman perchè avesse giocato edge o linebacker avrebbe ammazzato qualcuno: farsi placcare da Donald in velocità dev’essere come prendere un treno in faccia. E invece delle ruote d’acciaio ha dei piedi da ballerino. Uno così non può finire la carriera con un solo anello.

Leave a Reply to Mattia RighettiCancel reply

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.