Il nostro problema è che vogliamo razionalizzare il football americano, vogliamo piegarlo alla logica con la quale ci barcameniamo nella vita di tutti i giorni dimenticandoci puntualmente che spesso cercando spiegazioni ci dimentichiamo di godere di rare manifestazioni di bellezza in grado di lenire le nostre anime.
Secondo noi una squadra, se vuole coltivare l’ambizione di vincere il Super Bowl, deve essere perfetta, deve poter contare su un vero franchise quarterback, un arsenale di skill players pronti semplificargli l’esistenza, una linea d’attacco impermeabile capace di garantire pulizia nella tasca e di spostare montagne d’umanità in run blocking, una difesa che tenga gli avversari tassativamente sotto i venti punti ad uscita e, ultimo ma non ultimo, uno special team affidabile che quando chiamato in causa faccia esattamente ciò che deve fare: se manca anche solo uno di questi ingredienti, sempre secondo noi, l’impalcatura crolla e chicchessia squadra il Super Bowl non può che continuare a sognarlo sperando che il front office durante l’offseason aggiunga i tasselli mancanti.

Eppure, soprattutto dopo una stagione del genere, avremmo dovuto avere a disposizione gli strumenti giusti per aspettarci qualcosa del genere: la National Football League, cari lettori, non è affatto razionale, la logica conta sempre quel che conta e novantanove volte su cento le cose non vanno come sarebbero dovute andare.
Che questi Cincinnati Bengals si trovino già al Super Bowl non ha particolarmente senso, ma ciò non implica in alcun modo che non si meritino di giocare per il Lombardi.

Le loro aspettative per la stagione 2021 erano razionalmente alte, l’obiettivo era quello di dimostrare netti miglioramenti rispetto all’autunno precedente e competere per un posto ai playoff in una division che nel 2020 spedì ben tre squadre in postseason: ciò che più contava, in ogni caso, era proteggere Joe Burrow ché si era già abbondantemente inteso che il numero 9 fosse un fenomeno.
Per buona parte della stagione Cincinnati ha giocato rispettando le nostre previsioni alternando esaltanti vittorie – spiccano quelle su Ravens e Steelers – a deprimenti sconfitte nelle quali hanno messo in mostra tutti i limiti che solamente una squadra così giovane ed inesperta può avere: poco male, sconfitte del genere – seppur dolorose – trovano sicuramente spazio nei piani di una compagine che in questa stagione voleva solamente approcciarsi alla vita adulta.
Il 2 gennaio, però, una sorprendente vittoria in rimonta sui Kansas City Chiefs – dov’è che ho già sentito questa cosa? – ha rimescolato le carte: se questi Bengals possono battere i rigenerati Kansas City Chiefs, ormai automaticamente primi della classe, questi Bengals possono battere veramente chiunque.

Riavvolgiamo un po’ il nastro: come hanno fatto il 2 gennaio 2022 a battere i Kansas City Chiefs?
Le ragioni sono tante e, in un certo senso, nelle due vittorie sui Chiefs è andato a delinearsi un canovaccio che può essere interpretato come chiave di lettura della loro incredibile stagione poiché in alcune gesta dei protagonisti possiamo intravedere una spiegazione tutto sommato logica al loro strabiliante exploit.

Tutto ovviamente parte da Joe Burrow, vero e proprio deus ex machina di una franchigia fino a non troppo tempo fa allo sbando.
Qualsiasi superlativo gli lanciate addosso sa di stanco eufemismo, non credo nessuno sia ancora riuscito a rendere giustizia al vero e proprio miracolo sportivo compiuto da uno dei più inspiegabili talenti che io abbia mai visto: Joe Burrow, cari lettori, è la risposta a tutto, in quanto coniuga gli intangibles che ogni franchise quarterback dovrebbe poter vantare ad un talento così cristallino che sovente gli permette di rendersi protagonista di imprese – spesso compendiate da un singolo snap – che dovrebbero trovare spazio in un libro d’epica.

Se volete una spiegazione onnicomprensiva di Joe Burrow vi invito a prendere visione del video qui sotto: in quest’azione è incapsulata l’immensità dell’ex-LSU.
In un momento cruciale della partita Burrow è riuscito a compensare all’inadeguatezza della propria linea d’attacco semplicemente servendosi della propria volontà, poiché l’unica spiegazione possibile al fatto che Chris Jones, uno dei migliori defensive tackle della lega, non sia riuscito a trascinarlo a terra risiede nell’indomabile desiderio del quarterback di non arrendersi, il rifiuto categorico di darla vinta all’avversario: una volta liberatosi dal goffo abbraccio di Jones, conscio del fatto che fossero abbondantemente saltati gli schemi, con una lucidità disarmante ha deciso di chiudere il down affidandosi alle proprie gambe.
Trovare un senso ad una giocata del genere è quasi impossibile, fughe del genere competono ai vari Jackson e Wilson, non a Joe Burrow, ma la sua grandezza forse risiede proprio in quest’adattabilità alla situazione tipica di un Tom Brady qualsiasi.

Il fatto che Joe Burrow sia diventato una dei volti della NFL in una ventina abbondante di partite è semplicemente sensazionale, le nostre aspettative erano sì alte ma non certamente queste.
La sua sfacciata tranquillità è il cuore pulsante di questa squadra che malgrado l’ovvia inesperienza non sembra quasi mai rendersi conto dell’importanza dello svantaggio da rimontare o della superiorità tecnica della squadra avversaria, i Bengals di Burrow sono consapevoli di essere sufficientemente talentuosi per giocarsela ad armi – quasi – pari con chiunque e, coerentemente, hanno dato prova di ciò in ben due occasioni distinte contro i Chiefs.

Soprattutto in questa epoca il quarterback è sì il punto di partenza, ma non può bastare solo lui per arrivare fino in fondo: sotto questo punto di vista i Cincinnati Bengals non hanno da invidiare nulla a nessuno poiché mettere a disposizione di Burrow gente del calibro di Chase, Higgins, Boyd e Mixon dovrebbe essere illegale.
Noi tutti avevamo storto il naso nel momento in cui, al draft, il front office decise di rimpinguare il corpo ricevitori restituendo Ja’Marr Chase a Joe Burrow a scapito di fornirgli la protezione di cui aveva disperatamente bisogno selezionando Penei Sewell: l’impatto avuto da Chase sulla NFL non solo ha dato ragione ai piani alti dei Bengals ma ha pure umiliato tutti noi che avevamo aspramente criticato tale scelta, anche se lo avevamo fatto in buona fede in quanto preoccupati per il suo futuro fra i professionisti.
Chase è quel genere di giocatore in grado di spaccare in due la partita a proprio piacimento, è sufficientemente veloce per punirti in profondità, agile e resistente per generare yard after catch come Deebo Samuel e letale nell’uno contro uno per rendere l’obsoleta fade route in red zone una buona scelta pure nel 2022: la preesistente intesa li ha immediatamente resi la combinazione quarterback-ricevitore più prolifica della NFL.

Se a tutto ciò aggiungiamo la presenza di Tee Higgins e Tyler Boyd è intuitivo comprendere come mai i defensive coordinator avversari non possano allocare chissà quante risorse sulla quinta scelta assoluta all’ultimo draft, mentre Joe Mixon è consistentemente uno dei running back maggiormente sottovalutati della NFL capace di tenere in moto le catene malgrado la perenne inettitudine della linea d’attacco.
Un reparto offensivo del genere, sebbene lontano dalla perfezione, dispone dello star power necessario per permettere all’intera squadra di restare aggrappata alla partita anche nei momenti in cui la logica sembrerebbe suggerire il contrario, anche se la linea d’attacco…

Oltre che all’inesperienza di quelli che poi si sarebbero rivelati essere i protagonisti della magica cavalcata ai playoff, il motivo per cui molti di noi non prendevano particolarmente sul serio la candidatura dei Bengals al trono della AFC risiede nella linea d’attacco, reparto la cui inefficienza deve essere esposta malgrado l’esaltazione delle ultime settimane: solamente i quarterback di Bears e Ravens hanno subito un numero di sack maggiore ai 55 assorbiti da Burrow e Brandon Allen – a cui ne vanno aggiunti 12 arrivati durante la postseason.
Parte del problema è anche la tendenza di Joe Burrow di tenere troppo a lungo il pallone – è giovane, imparerà – ma è inutile nascondersi dietro un dito, una linea d’attacco del genere ha bisogno di un massiccio restauro soprattutto nella parte destra e ciò non può lasciare serena una squadra che si giocherà il Super Bowl contro Aaron Donald e il front seven dei Rams.
È lapalissiano che Burrow possa essere il loro quarterback per i prossimi quindici o vent’anni e in luce di quanto successo una quindicina di mesi fa ritengo doveroso investire massicciamente su coloro che dovranno trovare un modo per garantirgli una carriera lunga e sana.

Quanto accaduto contro Kansas City un paio di settimane ci torna comodo per farci un’idea più precisa sul reparto difensivo di questa squadra: trenta minuti di passività ed apparente incompetenza sono stati seguiti da trenta minuti nei quali hanno annullato uno dei migliori attacchi della lega.
Non posso, per onestà intellettuale, definirli dominanti poiché assegnare attributi del genere a una difesa che ha imbarcato più di 22 punti ad uscita sarebbe alquanto disorientante, ma nei momenti più delicati in assoluto la difesa dei Bengals è stata spesso in grado di dare manforte a Burrow e compagni: decisivi, in tal senso, sono stati gli innesti di gente come Trey Hendrickson, Chidobe Awuzie, Mike Hilton e Larry Ogunjobi, tutti free agent arruolati la scorsa primavera.
E non dimentichiamo Jessie Bates, silenziosa superstar già a roster da anni.

Trey Hendrickson si è rivelato essere uno dei migliori affari della free agency grazie in primo luogo a una costanza che gli ha permesso di mettere a segno almeno un sack in undici partite consecutive in regular season: durante l’avventura a New Orleans aveva mostrato sprazzi di vera e propria eccellenza ma aspettarsi una stagione del genere sembrava essere ingiusto nei suoi confronti.
Non che Awuzie sia stato da meno, solitamente un cornerback che ha giocato a livelli da All-Pro non lo si paga poco più di sette milioni all’anno, così come Eli Apple e Mike Hilton hanno dato il proprio decisivo contributo per risollevare una secondaria che non troppo tempo fa era fra le più molli e permissive della NFL.

La difesa dei Bengals incarna la filosofia bend but don’t break in quanto sebbene non immune alle big play trova spesso il modo di limitare i danni per poi salire in cattedra nei momenti più delicati, vedasi la seconda metà dell’AFC Championship Game.
L’apporto del reparto difensivo è stato fondamentale durante quest’improbabile cavalcata ai playoff in quanto tutte e tre le vittorie sono state rese possibili da intercetti arrivati nel miglior momento possibile: contro Las Vegas Germaine Pratt mise in cassaforte la doppiavù intercettando Derek Carr a poche yard dal touchdown del pareggio, contro Tennessee McPherson fu messo nella posizione di calciare il piazzato della vittoria a seguito di un intercetto di Logan Wilson, emulato una settimana dopo da Vonn Bell contro Kansas City.
L’esplosività dell’attacco dei Rams è sotto gli occhi di tutti, la brillantezza del plotone capitanato da McVay a momenti è accecante, ma è altrettanto vero che Matthew Stafford non sia immune agli errori e contro una difesa così pestifera potrebbe tranquillamente sparacchiare un paio di intercetti.

Durante la stesura dell’articolo, zigzagando lungo il roster ho avuto modo di constatare l’erroneità di quanto detto nei primi paragrafi, poiché ha assolutamente senso che una squadra del genere si giochi il Lombardi: durante l’ultimo autunno – e buona parte dell’inverno – in Ohio sono nate parecchie stelle, giocatori come Burrow, Chase, Hendrickson e Awuzie hanno trovato il loro spazio nel gotha della National Football League elevando una franchigia che fino a non troppo tempo fa sembrava condannata a trascorrere decenni impantanata nelle sabbie mobili della mediocrità.
Come già detto, poter contare su un franchise quarterback con il talento e la forza mentale necessari, in un futuro ancora molto distante, per entrare nella conversazione dei migliori di sempre è un ottimo punto di partenza ma non commettiamo l’errore di “limitarli” al solo Joe Burrow: questi Bengals vanno ben oltre il loro franchise quarterback.

Giocheranno senza la pressione di essere i favoriti? Non credo, indipendentemente dalle quotazione di Las Vegas quando si arriva al Super Bowl l’obiettivo non può che essere quello di trionfare, soprattutto se si è una franchigia che per più di trent’anni non è stata in grado di vincere una singola partita ai playoff: Cincinnati sta vivendo un sogno e a questo punto credo che veramente nessuno abbia voglia di essere svegliato da qualcosa di diverso da una pioggia di coriandoli nero-arancioni.
Ai Bengals mancano sessanta minuti per scrivere la miglior conclusione possibile ad una favola che potrebbe tranquillamente essere la prefazione di un qualcosa di ben più importante.

2 thoughts on “Road to Super Bowl LVI: Cincinnati Bengals

  1. Bengals forzaaaaa! Ricordo ancora quell’ultimo drive di Montana che nel 1989 vi condannò alla sconfitta.

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