Questo è probabilmente l’articolo più difficile che io abbia mai dovuto scrivere: come lo si racconta, a questo punto, Tom Brady?
La risposta è lapidariamente semplice: non ne abbiamo i mezzi.
La sua storia è stata narrata in ogni modo, le tappe che ne hanno scandito l’epopea oramai vengono recitate come le preghiere durante il rosario: l’underdog non voluto da nessuno, l’esplosione dal nulla coincisa con i primi Super Bowl, le statistiche, i record, le vittorie, le rimonte, ulteriori Super Bowl, l’addio ai Patriots, l’approdo in Florida, l’ennesimo Super Bowl…
Vedete, provare a parlare di Tom Brady servendosi di statistiche e pietre miliari è assolutamente impensabile, dovrei dar vita ad un’apposita rubrica perché i record sono così tanti che un solo articolo non basterebbe a presentarli tutti.
La longevità? Storia trita e ritrita, il tempo si muove alla stessa velocità per tutti tranne che per lui, ultraquarantenne che è sopravvissuto a varie generazioni di quarterback guardandoli tutti, dal primo all’ultimo, dall’alto di un trono che non possiamo che collocare nell’iperuranio: Brady demiurgo del football americano? Non sarebbe un’esagerazione.

Di lui ne ho già parlato troppe volte, non so più cosa dire, lo ammetto senza alcuna vergogna.
Aveva cadenza pressoché annuale l’articolo su Tom Brady fresco di Super Bowl MVP: vi ho raccontato del capolavoro messo insieme contro i Falcons, del vano ma eroico sforzo contro i Philadelphia Eagles, della scommessa vinta con il passaggio ai Buccaneers…
Normalmente, quando si ritira una leggenda, riesco senza troppe difficoltà a confezionare un articolo d’addio che più o meno efficacemente ne riassuma la carriera: un paragrafetto statistico, uno comparativo nel quale si tenta di trovare un posto a tale giocatore nel gotha dei grandissimi, uno sul suo impatto sulla NFL e sulla franchigia che ha avuto la fortuna di ospitarlo e infine qualche accenno alle caratteristiche tecniche, insomma, una formula quasi vincente che mi permette di tributare il giusto addio a persone che ci hanno intrattenuto per anni rendendo le nostre domeniche infinitamente più divertenti.
Con Brady tutto ciò non basta, o meglio, l’ho già fatto: questa volta, però, cosa posso dire?

Come si può compendiare in un solo articolo ciò che è stato Tom Brady per la NFL?
Cosa si può dire di nuovo su colui che detiene, circa, ogni record riguardante i quarterback?
Cosa si può dire di uno degli sportivi più vincenti della storia?
Come la si esprime la sua leggendaria longevità senza ricorrere a pigri confronti con altri atleti che però non sono rimasti altrettanto competitivi fino all’ultimo?
Non si può.
Non basta trovare qualche artificio retorico per esprimere a parole il fatto che Tom Brady abbia accumulato così tanta produzione che potremmo dividere in tre parti la sua carriera e spedire nella Hall of Fame ogni singola unità di questa storia uscita direttamente da un libro di epica: vorrei trovare un senso, una volta per tutte, a quello che è stato Tom Brady per me, per noi e per la lega.
Dubito ci riuscirò.

L’ho sognato per anni questo momento, lo ammetto: è estremamente complicato convivere nella lega di un cannibale del genere, di uno così avido di vittorie che per decenni ha costretto gli altri ad accontentarsi delle briciole.
In tutti questi anni, quando in offseason si provava a ragionare su chi fosse la favorita per il Super Bowl – o anche solo per la conference -, bisognava obbligatoriamente considerare l’esistenza di Tom Brady alla stregua di un ostacolo spesso insormontabile: la sua sola presenza era più che sufficiente per sconquassare le gerarchie dell’intera lega.
Non si poteva ragionare su probabilità di successo ignorando Tom Brady, magnifica incarnazione di trionfo e vittoria: la tua squadra voleva vincere? Per farlo quasi sicuramente avrebbe dovuto vedersela con lui, prima o poi.
La AFC per eoni è passata da Foxborough, prima si doveva trovare un modo per spodestare Tom Brady, poi si poteva ragionare su Super Bowl e frivolezze varie.
Prima, però, era necessario misurare le proprie ambizioni contro di lui, prima di costruire una squadra in grado di arrivare fino in fondo era categorico assemblarne una capace di avere la meglio su Tom Brady, i suoi Patriots e successivamente i suoi Buccaneers.

Vorrei disperatamente trovare un senso a Tom Brady, poi su Twitter inciampo sul suo ultimo touchdown lanciato in carriera, un arcobaleno di una cinquantina di yard ricevuto da Mike Evans contro i Rams al Divisional Round: un quarantaquattrenne non può umanamente far volare una maledetta palla da football in quel modo.
Lo abbiamo visto con Brees, Roethlisberger e pure Peyton Manning, a un certo punto il braccio destro alza bandiera bianca tradendo di fatto la testa, completare lanci che un tempo erano routine diventa sempre più complesso, la profondità viene eliminata dal playbook nel tentativo di riadattarlo ai punti di forza residui: questo non è chiaramente il caso di Tom Brady, probabilmente mai così letale sui passaggi lunghi.
«I’ll retire when I’ll suck», ce lo ha ripetuto per anni perché, come può suggerire l’età, è da più di un lustro che ossessivamente gli chiedevamo quando avrebbe deciso di lasciare divertire un po’ anche gli altri e, forse, è questa la sua più grande vittoria: malgrado i quarantaquattro anni Brady è ancora ben lontano dalla mediocrità, il suo ripetuto ultimatum è stato vanificato, svuotato di senso logico e sbeffeggiato da una brillantezza incommensurabile che lo ha portato a vivere una delle stagioni più prolifiche della carriera a quarantaquattro anni.
Quest’autunno Brady ha giocato come un trentenne qualunque, ha completato qualsivoglia lancio un offensive coordinator possa chiedere a un quarterback, ha spinto i Buccaneers ad un errore di comunicazione dalla possibilità di giocarsi ai supplementari l’accesso all’ennesimo Championship Game.
L’unica promessa che non è riuscito a mantenere in carriera è proprio questa, non è stato in grado di ritirarsi nel momento in cui avrebbe iniziato a fare schifo perché, molto semplicemente, questo momento non gli si è ancora profilato davanti.

Non è mai stato il più talentuoso.
Non ha l’agilità di Russell Wilson o Lamar Jackson.
Non ha un braccio destro potente come quello di Brett Favre o Dan Marino.
Non è in grado di lanciare da ogni posizione od angolatura come Aaron Rodgers o Patrick Mahomes.
Eppure non solo è stato il miglior quarterback di sempre, ma pure il miglior giocatore indipendentemente dal ruolo: la leggenda di Tom Brady è stata fondata su questo, sulla continua abilità di raggirare la logica e piegarla alla propria volontà, ridendole in faccia a più riprese e, nel mentre, mancando di rispetto alla quasi totalità degli esseri umani che abbiano mai messo piede su questo pianeta perché essere così a quarantaquattro anni è pura e semplice empietà.
Ciò che più sconcerta è il fatto che a permettergli tutto questo altro non sia stato che il cuore, organo spesso dimenticato quando si parla di football americano: certo, il cuore non ha mai preso il sopravvento sul cervello, quelle difese erano comunque da leggere, capire ed infine vivisezionare, però ciò che separa Tom Brady da qualsiasi altro giocatore di football americano è l’ardore vincente sprigionato dal proprio petto che sovente lo si poteva intercettare in uno sguardo lucidamente folle che allertava chiunque del fatto che fosse pronto a martoriare un’intera fanbase.
Il punto di partenza di ogni sua singola impresa è sempre stato il suo cuore.

Quando lo sguardo era questo era finita per chiunque.

In cosa risiede, dunque, l’unicità di Tom Brady?
In luce di quanto appena detto è difficile trovare una risposta univoca, ma permettetemi di abbozzarne una.
L’unicità di Tom Brady la si rintraccia nella sua umanità, nella sua totale maestria nel concedersi alle emozioni per poi ammaestrarle e trasformale nelle proprie migliori alleate: Tom Brady non è mai stato impassibile agli eventi, non ha mai dato l’impressione di non comprendere appieno la contingenza a cui si trovava di fronte – come Eli Manning, per esempio -, ha sempre e comunque abbracciato stoicamente la circostanza al fine di metabolizzarla quanto prima per poi, una volta digerita, affrontarla con lucida impetuosità uscendone sempre vincitore.

Permettetemi di servirmi della rimonta contro i Falcons per spiegare meglio cosa intenda.
Sotto di venticinque punti con poco più di un quarto rimasto da giocare, Brady era pienamente consapevole della gravità della situazione ma a differenza di qualsiasi altro quarterback non si è abbandonato alla fretta ed alla grossolanità, optando invece per l’ottimizzazione di ogni singolo snap tenendo le catene costantemente in moto: la sua furiosa calma quella notte contagiò pure il resto della squadra che coraggiosamente risalì il baratro nel quale si era cacciata affrontando ogni snap come fosse l’ultimo poiché prima di vincere la partita era necessario vincere ogni singolo assignment.
Nel football non esiste un’azione in grado di aggiungere venticinque punti a tabellone in una botta sola, ma tentando di vincere ogni singolo snap nulla è fuori portata: ecco che Hightower soffia il pallone a Ryan, ecco che Edelman completa la ricezione della vita, ecco che il pass rush costringe i Falcons ad un paio di sanguinosissime penalità nel drive che avrebbe dovuto chiudere la partita, ecco che ogni conversione da due punti viene eseguita alla perfezione neanche fosse durante un allenamento del venerdì.
La grandezza di Brady era contagiosa e, forse, è proprio questo aspetto che lo rende un unicum nella storia sportiva.

Il football americano è lo sport più effimero che esista, una carriera promettente può trasformarsi in tragedia in un solo snap, trascorrere una decina di anni in questa lega è una fortuna di cui può fregiarsi una percentuale irrisoria di individui, figuriamoci ventidue stagioni.
Figuriamoci ventidue stagioni ad altissimi livelli.
Figuriamoci ventidue stagioni da protagonista.
Figuriamoci ventidue stagioni come miglior giocatore in assoluto della lega.
Forse sto esagerando con le ripetizioni, più per il concetto che per le anafore, ma perdonatemi, non riesco a venire a patti col fatto che un individuo che a breve compierà quarantacinque anni sia stato in grado di fare quello che ha fatto quest’autunno: in quanto essere umano sarei stato curioso di vedere per quanto ne avrebbe avuto ancora, se prima o poi sarebbe scoccata pure per lui la mezzanotte ma a questo punto non ci è dato saperlo.
Per fortuna, direi, non c’è nulla di più avvilente che vedere qualcuno che ti ha terrorizzato per anni regredire a tal punto da diventare anello debole di una catena costruita esclusivamente grazie alla sua presenza: il Super Bowl vinto a Tampa Bay ci ha messo davanti all’indomabile potenza dell’effetto Brady, abbiamo avuto modo di constatare con mano come la sua sola presenza dissipi la fumosità di una squadra ricolma di potenziale tramutandola in una corazzata che avrebbe vinto il Lombardi al primo tentativo utile.

L’ho sognato per anni questo momento, il momento del ritiro di Tom Brady, l’abdicazione del più famelico dei tiranni: il giorno del suo ritiro sarebbe diventato il mio personalissimo 25 aprile, il mio giorno della liberazione, il giorno in cui la NFL sarebbe tornata ad essere di tutti – anche se quel Mahomes là… – restituendoci il fascino dell’ignoto che oramai bramavamo da quasi un decennio. La realtà è che non ero pronto, malgrado l’età.
Non ero pronto ad immaginarmi la NFL senza di lui, non ero pronto a rinunciare al rassicurante diritto di lamentarmi «perché pure questa volta sono costretto a parlare di Tom Brady, che noia Tom Brady», non ero pronto ad approcciarmi al football americano senza di lui: malcontento che non sono altro.
Ciò che mi rassicura è la consapevolezza che nessuno di voi fosse pronto, non sono certamente l’unico ad essere rimasto senza parole in un sabato sera monopolizzato dalla rielezione di Mattarella come Presidente della Repubblica: scusaci un secondo Sergio, bravo o condoglianze, come preferisci tu, ma lasciaci concentrare per un po’ su Tom Brady.
In che senso ritirato?
Ogni persona con cui ne ho parlato ha brandito l’età come giustificazione naturale per il suo ritiro e malgrado non abbia alcun senso che un quarantaquattrenne si prepari alla ventitreesima stagione in NFL, ammetto di esserci rimasto male: vedi perché ti detesto, Tom Brady? Sei riuscito a trovare un modo per farti rimpiangere in tempo zero nonostante le giornate passate a fantasticare sul tuo addio all’agonismo.
Egocentrico.

La cosa che mi rasserena è che non lascerai alcun vuoto e non dico ciò pensando al talento dei vari Patrick Mahomes, Justin Herbert, Joe Burrow, Lamar Jackson, Josh Allen, Dak Prescott e Kyler Murray ma perché sono serenamente consapevole che non esista alcuna lacuna da colmare: mi sono già riferito a te come unicum ed in quanto tale non potrai essere sostituito.
Non cambia nulla se uno dei signori sopracitati troverà modo – buona fortuna – per vincere più di te e soffiarti ogni record, sono già conscio del fatto che non ci sarà mai un altro Tom Brady e questo perché, riallacciandomi a quanto detto prima, il nostro pianeta non ospiterà mai un altro esemplare di Tom Brady poiché è assurdo pensare di incapsulare in una sola persona la tua passione per il football, il tuo amore per i compagni di squadra, la tua competitività, la tua intelligenza, lucidità, razionalità, calma, precisione, cazzimma, qualsiasi altro aggettivo con connotazione positiva.
Sei l’unico Tom Brady e, lasciamelo dire, sei stato il miglior Tom Brady possibile.

Cosa ci rimane, quindi?
Come posso concluderlo un articolo del genere nel quale, per scelta, non ho nemmeno accennato ai tuoi numeri? Lo sappiamo tutti che nel tuo palmares troviamo sette Super Bowl, seimila titoli divisionali, novantasette Championship Game, un numero totale di vittorie che mette in crisi il sistema di numerazione decimale, ogni record possibile che contempli lo spedire in orbita un pallone da football americano, le sappiamo già queste cose.
Potrei concludere questo articolo esplicitandone il filo conduttore, ossia una gratitudine che fino a non troppi anni fa ritenevo impossibile provare nei tuoi confronti: grazie Tom, grazie per aver deciso di atterrare su questo pianeta proprio in questi anni dandomi così l’opportunità di essere testimone di una delle più grandi carriere sportive mai messe assieme da un atleta nella storia dell’umanità.
Grazie per avermi dato l’opportunità di riconsiderarti semplicemente limitandoti ad essere il migliore anno dopo anno.
Grazie per le rimonte, i touchdown, le sconfitte che mi hanno fatto gioire, le vittorie che inizialmente hanno funestato i miei primi anni da appassionato della disciplina e che, forse dopo la rimonta contro Atlanta, ho cominciato ad apprezzare sempre più in quanto finalmente consapevole dell’irripetibilità di quello che stavo vedendo.
Grazie per aver alzato l’asticella così in alto che forse cominceremo a rispettare chiunque, senza che sia più necessario salire fin lassù ché intanto nessuno potrà mai raggiungerti, quindi tanto vale stimare anche i comuni mortali, no?

Grazie di tutto Tom Brady, anche se un po’ sto già ricominciando a odiarti perché già so che questo non sarà l’ultimo articolo che ti dedicherò.

13 thoughts on “Trovare un senso a Tom Brady

    • Grande grandissimo articolo Mattia.
      Quest’anno si sono ritirati quasi tutti i miei idoli sportivi, quelli con cui sono praticamente cresciuto, mancava per l’appunto Tom, ed in questi momenti che ti accorgi che sono trascorsi 22 anni e ti senti più vecchio.

  1. Grazie di cuore Mattia, per qs articolo meraviglioso.. Non capisco nulla di football americano, ma adoro guardarlo e leggere i tuoi articoli

  2. Boh il post di addio senza un accenno ai NEP, che caduta di stile. Poteva fare decisamente meglio, dopotutto era probabilmente giusto cambiare due anni fa, ma 20 anni non si cancellano per le ultime stagioni magari un po turbolente. A me più che la percentuale di vittorie al SB è la quantità giocata, 10 su 20 anni di carriera, questo da la caratura del personaggio. La partita singola si può bincerr o perdere, una NFL organizzata con un girone all’italiana avrebbe vinto 15/16 campionati.

    • Grande articolo e grande Brady, icona leggendaria che lascia! Ottimi anche i nomi degli eredi che il buon Tom lascia. Tranne uno…che il buon Mattia individuerà subito!!!;-)

  3. Bellissimo articolo…..da tifoso di Terrific Tom,posso dire che le tue parole mi hanno fatto luccicare gli occhi, tristezza e gioia….. grazie

    • Se conosci un quarterback d’élite che non si accompagna con una fotomodella/reginetta di bellezza fammelo sapere: non si finisce mai d’imparare.

      • …e infatti si accompagna a Gisele, mica ad una reginetta qualunque.
        Anche in questo è il numero 1!

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