Portiamo avanti una piccola tradizione iniziata l’anno scorso – tradizioni random come piovessero, mai sentito così americano in vita mia – e proviamo a capire lo stato d’animo e le prospettive per il futuro delle sei squadre eliminate durante il weekend, anche se poi definirlo weekend… no, non ricomincio con quest’inutile polemica.
Per comodità andrò in ordine cronologico, perciò…

Non ci si può che inchinare al cospetto dei Raiders: questa non è la classica frase democristiana con la quale liquido una squadra non particolarmente brillante eliminata giustamente da dei playoff nei quali, forse, non c’entrava nemmeno più di tanto, ma un sincero attestato di stima rivolto ad esseri umani come Rich Bisaccia, Derek Carr, Darren Waller e Zay Jones, individui capaci di portare a termine un’impresa che ad un certo punto era così inverosimile che non aveva nemmeno senso prendersi la briga di pensarci.
Non mi metterò a riassumere il 2021 dei Raiders, a questo punto immagino abbiate ben presente tutti i drammi con i quali sono stati costretti a venire a patti, perciò lasciatemi arrivare dritto al punto: per me Bisaccia ha dimostrato di meritare questa panchina.
Il fatto che sia riuscito a tenere unita e concentrata una squadra martoriata da scandali e disgrazie ci dice tutto quello che dobbiamo sapere sul rapporto da lui instaurato con lo spogliatoio e, sinceramente, non ha nemmeno particolare senso analizzare la sconfitta di sabato: una volta dentro l’obiettivo è chiaramente quello di arrivare fino in fondo, ma nel caso dei Raiders resto convinto che la semplice partecipazione sia stata un’impresa che permetterà loro di affacciarsi al futuro con maggiore serenità.

Di giocatori in scadenza di primissimo livello non ne vedo, anche se dovranno prendere un paio di decisioni importanti per il reparto difensivo in quanto stanno per diventare free agent veterani come Quinton Jefferson, K.J. Wright, Solomon Thomas e Casey Hayward, tutti giocatori che hanno avuto un ruolo molto importante durante l’ultima stagione: anche per questa ragione sarà più necessario che mai azzeccare il draft.
Nel complesso non mi aspetto novità clamorose in casa Raiders, dare continuità a quanto di buono fatto sembra essere la miglior idea possibile, soprattutto dopo tutto quello che è successo negli ultimi mesi.

L’imbarazzante sconfitta rimediata dai Patriots non deve in alcun modo eclissare l’ottimo campionato dei ragazzi di Belichick che, guidati da un rookie, sono tornati ai playoff molto prima di quanto potessimo aspettarci: ovviamente ciò che abbiamo in testa e negli occhi è lo sciagurato epilogo, ma non dimentichiamoci che ad agosto quasi nessuno considerava i playoff alla loro portata.
New England sabato è stata annientata da una squadra più attrezzata scesa in campo per lanciare un messaggio agli avversari, alla lega intera e soprattutto a se stessa: ripeto, non lasciamo che questi 47 punti possano compendiare il 2021 dei Patriots.
L’attacco ha a mio avviso bisogno di un vero WR1 e sebbene Meyers, Bourne e e Agholor abbiano tutti avuto i loro momenti e abbiano giocato complessivamente bene, Jones beneficerebbe immensamente di uno a cui rivolgersi sempre e comunque nei momenti più delicati della partita.

Il reparto che ha più bisogno d’aiuto, malgrado l’ottima stagione disputata, è la difesa in quanto l’età media di molti leader inizia ad essere troppo alta per fare finta di niente: McCourty e Hightower sono entrambi in scadenza e sarà molto interessante capire cosa Belichick deciderà di fare tenendo ben presente che ci sarà da rompere il salvadanaio per rinnovare J.C. Jackson, facilmente l’MVP dell’intera unità e pertanto imprescindibile.
L’ossatura c’è, il quarterback probabilmente pure, ora servono un paio di ritocchi mirati in grado di innalzare il livello generale della squadra al fine di scongiurare il rischio di imbarcate come quella di cui siamo appena stati testimoni: New England ora vuole – e credo possa – tornare nei piani alti della AFC.

I Philadelphia Eagles, non me ne vogliano i tifosi, non avevano particolari ragioni per essere ai playoff e la partita di domenica contro i Tampa Bay Buccaneers lo ha dolorosamente palesato: Philadelphia, onore al merito, ha fatto quello che doveva fare vincendo la quasi totalità delle partite giocate contro squadre non da playoff – sei delle otto sconfitte sono arrivate per mano di squadre qualificate alla postseason con uno scarto medio di 13.3 punti a partita, dato piuttosto eloquente.
L’enorme disponibilità di scelte al draft non preclude loro niente, anche se in tutta sincerità devo ancora capire quanto il front office creda in Jalen Hurts: contro i Buccaneers sono emersi tutti i suoi limiti e, analogamente a Lamar Jackson qualche anno fa, sembra faticare quando lo sviluppo della partita lo costringe ad abbandonare il gameplan confezionato durante la settimana.
Può un attacco di Jalen Hurts muovere le catene velocemente via aria?
Può rimontare vari possessi di vantaggio affidandosi prevalentemente al braccio del proprio quarterback?

La situazione rinnovi non è particolarmente tragica e malgrado lo striminzito spazio salariale credo non avranno problemi a rinnovare Jason Kelce, a questo punto pronto all’ultimo contratto di una carriera da Hall of Famer.
Devono assolutamente rimpolpare il corpo ricevitori, è fondamentale che Hurts possa contare su mani diverse da quelle di Smith e Goedert: solo a quel punto potremo esprimerci con maggior certezza sul suo valore di lanciatore professionista di palloni.
Come nel caso dei Patriots, non lasciamo che un’imbarcata eclissi quanto fatto di buono in un’annata assolutamente positiva.

Qua la situazione, cari lettori, si fa interessante: cosa possiamo dire della debacle dei Dallas Cowboys?
Fra penalità ed errori grossolani Dallas sembra aver buttato alle ortiche l’opportunità di sfruttare nel migliore dei modi uno dei roster più talentuosi e profondi della lega, anche se per loro fortuna gente come Diggs e Parsons ancora per qualche tempo non si muoverà dal Texas: riuscirà la difesa a replicare la produzione di questi ultimi mesi?
In tutta sincerità non lo so, ma non era questo ciò di cui volevo parlarvi: dobbiamo fare un paio di considerazioni sull’allenatore.

Imputare a McCarthy la sconfitta di domenica sarebbe ingiusto, non hanno perso per il quarterback draw – anche se è indubbiamente costato loro un paio d’opportunità che non avrebbero fatto male -, ma è da tutto l’anno che ho un presentimento piuttosto brutto sul suo conto, ossia quello di essere schifosamente inerme, di non portare quel valore aggiunto tipico del grande allenatore: i Dallas Cowboys non vincono sicuramente grazie al proprio allenatore che, anzi, in un paio di partite si è prodigato in scelte assolutamente discutibili – vedasi la batosta rimediata dai Broncos.
McCarthy, occorre specificarlo, è un buon allenatore che è già stato sul tetto del mondo che ha altresì avuto la fortuna di allenare veri e propri fenomeni che hanno reso il suo lavoro tremendamente più facile ma che, purtroppo, da un numero consistente di anni non riesce a darmi l’impressione di meritare le prestigiose panchine su cui siede.
Non sono sicuro che dal suo insediamento Dallas abbia tratto chissà quale beneficio, non mi sento di dire che i Cowboys siano una squadra migliore rispetto a quella di Garrett in funzione esclusivamente dell’allenatore: ciò di cui sono sicuro è che un roster così talentuoso non aveva alcun motivo per concludere la propria cavalcata ai playoff così presto.

Sapete benissimo cosa io pensi degli Steelers e della loro stagione, motivo per cui non dedicherò troppe parole alla partita contro i Kansas City Chiefs, ha vinto nettamente la squadra nettamente più forte ad un paio di settimane di distanza da un’altra vittoria altrettanto netta: in dialetto veronese “neto” significa “pulito” e qua, cari lettori, per una volta è tutto cristallino, è successo quello che doveva succedere.
Con Roethlisberger ufficialmente fuori dai giochi Pittsburgh si trova davanti ad un interessante bivio, poiché malgrado a primo acchito si possa dire che questa squadra sia ad un quarterback di distanza dall’egemonia sulla AFC scavando un po’ più in profondità ci si renderà immediatamente conto che i problemi degli Steelers versione 2021 andassero ben oltre il braccio destro del lanciatore di palloni: la linea d’attacco, per esempio, ha neutralizzato la brillantezza di Najee Harris, mentre il front seven si è dimostrato assolutamente incapace di opporre resistenza ai giochi di corsa avversari.

Ovviamente poter contare su talenti del calibro di Watt, Johnson, Harris, Claypool, Fitzpatrick ed Haden rende la base di partenza incredibilmente più solida, ma per favore non facciamo l’errore di credere che questi Steelers siano solamente ad un quarterback di distanza dal Super Bowl: i 42 punti segnati da Kansas City nel tempo di bere una birra piccola non li ha concessi sicuramente Roethlisberger.
Aggiungere un omeopatico all’equazione li renderebbe esponenzialmente più pericolosi, questo è fuori questione: l’omeopatico agli Steelers sono sicuro sarebbe tremendamente divertente per tutti voi lettori che ogni settimana leggereste miei – probabilmente vani – goffi tentativi di mascherare antipatia e astio.
O invece tenteranno di trovare la soluzione al più fastidio dei problemi affidandosi al draft?

Concludiamo con i poveri Cardinals, arrivati ai playoff nel peggior momento di forma della propria stagione: penso che in quest’ultimo mese noi tutti abbiamo avuto di comprendere l’importanza – e la grandezza – di DeAndre Hopkins, giocatore senza il quale l’attacco di Arizona si trasforma in un docile mostriciattolo che non fa particolare paura a nessuno e fatica immensamente a mettere a referto più di venti punti.
Contro i Rams i Cardinals hanno giocato la peggior partita possibile venendo massacrati sotto ogni punto di vista: ciò che più mi ha impressionato è stata la facilità con cui Los Angeles ha controllato la linea di scrimmage imponendo il proprio ritmo alla partita e correndo con insistenza in modo da togliere pressione a Stafford.
Tutto ha funzionato, per i Rams.

Sono convinto che Arizona abbia dimostrato – se in salute – di essere una squadra con tutto il necessario per qualificarsi ogni anno ai playoff, anche se l’offseason potrebbe sottoporli ad una tanto forzata quanto dolorosa metamorfosi potenzialmente in grado di snaturare il roster: in attacco fra i giocatori in scadenza troviamo Zach Ertz, James Conner, Christian Kirk, A.J. Green, Chase Edmonds e Maxx Williams, insomma, chiunque all’infuori di Hopkins e Murray, mentre in difesa dovranno capire una volta per tutte cosa fare con Chandler Jones.
Rinnovarli tutti è ovviamente impossibile, rinnovarne un paio – Kirk, Ertz e Conner? – è quasi obbligatorio per dare continuità a quanto di buono fatto vedere nella prima parte di stagione: con tutti gli scudieri a disposizione Murray, non a caso, ha giocato da MVP.
La missione della difesa, invece, deve essere quella di ringalluzzire il front seven ché negli ultimi mesi  – soprattutto dopo l’infortunio di Watt – non ha trovato modo di rallentare i giochi di corsa avversari.

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