Come da abitudine, quando una stella arriva in una squadra si crea immediatamente un effetto chiamato “euforia generale”. Un effetto più che giustificato.

É stato così quando Cristiano Ronaldo è approdato alla Juve. É stato così quando LeBron James è andato o ritornato in qualsiasi squadra abbia giocato. É stato così quando Tom Brady ha firmato con i Buccaneers. Ed è stato così anche per Odell Beckham quando venne scambiato dai Giants destinazione Cleveland nell’off-season 2019.

Poi esiste anche l’effetto opposto, quello collaterale diciamo, cioè le reazioni avverse. Sto parlando ovviamente dei tifosi che si sentono traditi da qualsiasi giocatore che abbia scelto una squadra diversa dalla loro o che sia stato spedito altrove. Ma questo non ci interessa perché non fa parte della nostra storia.

La nostra storia ha inizio il 13 marzo di due anni fa. All’epoca la mossa realizzata dall’allora GM dei Browns John Dorsey pareva l’anello mancante per far scalare alla franchigia dell’Ohio quelle vette che mancavano da tanti, troppi anni.

Eppure, il football è uno sport speciale, molto più di altri. Speciale perché è probabilmente la più alta definizione di sport di squadra che esista. Non basta un giocatore a fare la differenza, bensì ne servono 53 (infortuni permettendo). Tutti devono fare la loro parte se si vuole arrivare lontano, altrimenti giochi esclusivamente per accaparrarti la miglior posizione possibile al prossimo draft.

I Browns, dal canto loro, si erano stufati di perdere. Basta essere ridicolizzati da tutti. Basta insuccessi e giocatori mediocri. Era arrivato il momento di un salto di qualità – oltre che di un bell’ incremento nella vendita delle magliette. Odell Beckham rappresentava la speranza di un futuro migliore.

Dorsey, quel 13 marzo, diede ai Giants un’ottima safety come Jabrill Peppers, un solido offensive lineman come Kevin Zeitler, più una scelta al primo giro e una al terzo nell’imminente draft che si sarebbe svolto in quel di Nashville. Una follia per molti – visti anche i trascorsi di Beckham in quanto ad infortuni.

In realtà si sapeva da mesi che OBJ fosse in rotta con la squadra newyorchese e si sapeva che prima o poi sarebbe sbarcato altrove, ma in pochi avrebbero pronosticato con quella contropartita e, soprattutto, che sarebbe finito ai Browns.

D’altronde Beckham veniva ancora considerato uno dei migliori wide receiver della lega. Una stella del firmamento NFL. Ed il fatto che lo avessero preso i Browns aveva reso la notizia ancora più sensazionale.

Per giorni non si parlò d’altro e anche i social esplosero, contando i giorni che mancavano all’esordio, oltre che a quelli per il Super Bowl, a cui migliaia di tifosi dei Browns si erano già dati appuntamento:

“Ci vediamo ad Atlanta?”

“Sì sì, certo, compra già i biglietti!”

Il principio di un disastro.

Eppure, nelle prime due partite OBJ fece ben sperare. Specialmente nella seconda, in cui ebbe 161 receiving yards, condite da un touchdown e il suo marchio di fabbrica: ricezione ad una mano. Tutto questo contro i temibilissimi New York Jets, in quello che era stato il suo stadio fino a poco tempo prima.

Ma nella partita contro i Ravens di due settimane dopo, il signorino, oltre a giocare una partita anonima, si prese anche la briga di tirare un cazzotto a Marlon Humphrey, il quale, ovviamente, reagì. Beckham se la cavò con una multa. Ah sì, e con le difese di coach Freddie Kitchens che disse: “Non hanno cacciato Humphrey solo perché se l’è presa con OBJ”. Povero.

Più che collezionare touchdown, Beckham, in quella stagione, fece collezione di multe. La seconda arrivò dopo la partita con i Seahawks per aver violato il protocollo sull’uniforme sancito dalla NFL. Stessa cosa dopo la week 9 contro i Broncos, questa volta per colpa delle scarpe. Tutte cifre irrisorie che ha potuto pagare senza problemi, state tranquilli.

Fatto sta che in quella stagione, ricca di alti e bassi, Beckham riuscì comunque a superare le 1000 yard ricevute (1035), ma facendo registrare il più basso dato in carriera in quanto a receiving yards per partita (64.7). Anche i touchdown (4) sono andati a ribasso e hanno rappresentato il minimo da quando nel 2017 ne realizzò solo 3, sì, ma in quattro partite giocate. Va bene che condividere la scena con il suo ex compagno di college, nonché fedele amico, Jarvis Landry non è stato facile, ma l’OBJ visto il primo anno con i Browns non era lontanamente parente di quello dei Giants, pre-infortunio, si intenda. Ah, e in tutto questo Cleveland non riuscì nemmeno a raggiungere i playoff. Altro che Super Bowl.

Playoff che arrivarono l’anno successivo, in cui OBJ giocò solo sette partite, prima di rompersi il legamento crociato anteriore (ACL) nello sciagurato tentativo di fermare il defensive lineman dei Bengals Darius Phillips dopo un intercetto. Sette partite in cui il numero 13 dei Browns fece registrare appena 319 yard ricevute (45.6 di media a partita) con 3 receiving touchdowns (di cui due in una sola partita contro i Cowboys nella week 4) e anche il suo primo rushing td in carriera (sempre contro Dallas).

Insomma, non una stagione esaltante in quelle poche partite giocate e già i primi malumori sul suo utilizzo iniziavano a farsi sentire. Fatto sta che i Browns, senza la sua preziosa presenza, riuscirono a spazzare via gli Steelers nel Wildcard game e poi a mettere in difficoltà i campioni in carica dei Chiefs nel Divisional.

Il calo in target si è potuto ammirare anche in questo inizio di stagione, nonostante le sue condizioni fisiche gli permettessero di giocare e di poter essere utilizzato a pieno regime, specialmente con i problemi fisici di Landry e la lunga assenza di Kareem Hunt, impiegato molto spesso da coach Kevin Stefanski come ricevitore aggiunto.

Invece, OBJ è diventato il terzo, se non addirittura quarto incomodo nell’attacco dei Browns e i malumori di cui sopra sono aumentati notevolmente, tanto che addirittura il succitato LeBron James ha preso le sue difese, manco fosse un carcerato innocente da far uscire immediatamente di prigione perché aveva subito un ingiustizia.

Ma si sa che il mondo dello sport, specialmente americano, vive di miti, di figli e figliastri e di gente che basta qualche stagione di alto livello per vivere di rendita il resto della carriera.

Quella di OBJ a Cleveland è una favola che era iniziata con i migliori presupposti, ma si è chiusa malissimo, in completo “Odell Beckham Style”. La storia di un matrimonio che probabilmente non si sarebbe mai dovuto compiere, finito l’8 novembre, con il rilascio del giocatore che si è poi accasato ai Rams appena tre giorni dopo.

E si inizia a pensare che non c’entri nulla il David Gettleman, il Kevin Stefanski o il chiunque sia della situazione, ma che è proprio l’ex LSU ad essere un giocatore ingestibile e che le sue manie da primadonna lo rendano ancora più insopportabile di quanto non sia. Un giocatore che potenzialmente sarebbe potuto essere strepitoso, ma che, infortuni a parte, non ha saputo gestire le situazioni che gli sono capitate nel migliore dei modi.

Questo non vuol dire che non abbia fatto bene a voler essere ceduto, così come Browns e Giants hanno fatto bene a scaricarlo appena se ne è presentata l’occasione, ma la domanda sorge spontanea, con il senno di poi – anche se a molti era già sorta il giorno stesso della trade – non sarebbe stato meglio conservare quella prima scelta e magari portare un wide receiver promettente (in quel draft c’erano a disposizione Metcalf, A.J. Brown e Marquise Brown, solo per dirne alcuni), risparmiandosi tante storie ed illusioni?

La risposta ora sembra essere facile, ma non sarebbero stati i Browns se non si fossero complicati la vita.

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