Non tutti i record negativi sono uguali, vuoi per aspettative, per la modalità con la quale si sono concretizzati o per altri fattori più o meno legittimi: non tutti i record negativi sono uguali, ci sono 1-2 che sebbene forniscano un’indicazione apprezzabilmente precisa vanno presi con abnormi pinze ed al contempo ci sono 1-2 che, sebbene identici sia in forma che in sostanza a quelli sopracitati, se analizzati e sviscerati rigurgitano problemi strutturali e filosofici che si protraggono da tempo e che generano naturali – ma ciò nonostante mai pienamente comprensibili – «te l’avevo detto».
Nessuno è spacciato, o almeno non matematicamente, uno 0-3 non è una condanna a morte, ricordo con piacere che nel 2018 i Texans malgrado una partenza simile risollevarono il capo vincendo nove partite consecutive per poi conquistare la division: c’è dunque tutto il tempo per recuperare e, come nel caso di una squadra di cui parlerò a breve, la differenza fra un 3-0 ed un 1-2 potrebbe essere racchiusa in un paio d’errori individuali arrivati nei peggiori momenti possibili, motivo per cui investirci eccessive energie mentali non può essere considerato sempre una buona idea.

Un articolo del genere non può che partire dai Kansas City Chiefs, indubbiamente la più grande sorpresa della NFL: chi di noi poteva pronosticare un avvio da 1-2? Nessuno, spero, anche perché fino a domenica scorsa Mahomes non aveva ancora perso una singola partita giocata a settembre durante il corso della sua già leggendaria carriera: rilassatevi, il valore pedagogico di queste sconfitte finirà per aiutarli in quanto, a mio avviso, fino a questo punto Kansas City ha battuto se stessa incespicando in evitabilissimi errori nei momenti più inopportuni.
Succede pochissime volte che i Chiefs, con l’opportunità di vincere la partita “semplicemente” accontentandosi di un field goal, commettano turnover: ecco, una cosa del genere è successa due volte in sette giorni.
Forse avevano bisogno esattamente di questo, di riassaporare l’amaro gusto della mortalità e comprendere una volta per tutte che tirarsi la zappa sui piedi rende sì più epiche le rimonte ma, alla lunga, può costare partite.
Si riprenderanno, non preoccupatevi.

A proposito di autolesionismo e record negativi, che dire dei Seattle Seahawks?
Seattle, come tradizione vuole, è una delle squadre più difficili da decifrare della NFL e malgrado la ricchezza di talento nelle posizioni più importanti – tranne la linea d’attacco, ovviamente – continua ad ingegnarsi nella nobile arte del regalare le partite rifiutandosi di scendere in campo per quarti o, addirittura, intere metà di gioco: contro i Titans si rifiutarono di giocare gli ultimi quindici minuti mentre contro i buonissimi Minnesota Vikings – di più a breve – hanno deciso di regalar loro metà partita.
A volte fatico a capire il play calling, non ho ben compreso la scelta di estromettere dalla partita Chris Carson ed il gioco di corse quando era evidente che Minnesota non fosse in grado di trovar risposte al loro dominio fisico: mi preme ricordare che Seattle nella seconda metà abbia solamente concesso nove punti e che, quindi, solo negli ultimissimi minuti si sia trovata costretta a rimontare in fretta e furia affidandosi quasi esclusivamente al braccio destro di Wilson.
Pure loro riusciranno a ritrovare costanza e metodicità, anche se in una division di ferro come la NFC West gettare via partite del genere prima o poi presenterà il conto: c’è motivo di preoccuparsi? No, o perlomeno, non troppo.

I Minnesota Vikings sono una squadra estremamente affascinante, circondata da un alone di mistero e sfortuna che li rende i soggetti ideali per una commedia drammatica a la Amici Miei: con loro in tivù ci si fa sempre una grossa risata ma, dopo qualche ora, ripensandoci meglio sale un’indecifrabile malinconia che ci mette faccia a faccia con la disarmante banalità della nostra esistenza su questo pianeta.
I Vikings sono efficienti in attacco, muovono bene le catene, tutti i playmaker stanno facendo il proprio dovere eppure il record recita 1-2: perché? Per errori individuali, stiamo pur sempre parlando dei Minnesota Vikings!
Week 1 l’hanno regalato agli insospettabili Bengals commettendo un sanguinoso fumble ai supplementari alle porte della zona field goal, ma il vero capolavoro l’hanno fatto la settimana successiva superandosi sbagliando un agevole piazzato che sarebbe valso loro una vittoria di qualità sui Cardinals: in difesa forse imbarcano ancora qualche punto di troppo, ma tutto sommato credo di non essere empio affermando che meriterebbero molto più di quanto raccolto finora e che dall’alto di un record positivo Kirk Cousins sarebbe tenuto in considerazione per l’MVP.

Quelle di cui ho appena parlato sono tre squadre che malgrado il record negativo – stiamo pur sempre parlando di tre partite giocate, ricordatelo – avranno modo/talento per togliersi soddisfazioni importanti e ritrovare la retta via: lasciatemi parlare di qualche squadra che invece mi sta seriamente preoccupando.

Miami Dolphins e Pittsburgh Steelers, nella mia testa, hanno un paio di cose in comune molto sinistre, ossia un record negativo ed un reparto offensivo che per motivi diversi non riesce a produrre.
Miami, priva di Tagovailoa, contro i rinati Raiders ieri ha faticato immensamente a muovere le catene e, potete concedermelo, per lunghi tratti è stata semplicemente inguardabile: la linea d’attacco annaspa, il gioco di corse non ingrana – e come potrebbe con Brissett under center? – e l’enorme talento dei ricevitori, per ovvi motivi, non viene sfruttato a dovere: la difesa malgrado tutto continua a tenere botta ma con un attacco spesso incapace di evitare il three and out la stanchezza avrà sempre e comunque modo di imporsi sulla brillantezza.

Gli Steelers, non fosse che sono spesso costretti a rimontare, avrebbero numeri di total offense da mani nei capelli poiché il gioco di corse, malgrado l’indiscutibile talento di Harris, è a malapena in grado di produrre tre yard a portata mentre il gioco aereo, con un Roethlisberger sempre più limitato, è troppo prevedibile per essere preso sul serio: se a tutto ciò aggiungiamo gli infortuni che con beffarda precisione stanno colpendo tutti i giocatori più talentuosi, comprendere le origini della loro sterilità diventa terribilmente facile.
La speranza, per entrambe le squadre, è che le linee d’attacco con pazienza – non troppa – trovino modo di performare a livelli perlomeno accettabili in quanto trovo alquanto interessante il fatto che l’ottimo lavoro di due difese del genere sia vanificato dall’incapacità dei rispettivi attacchi di muovere le catene e permettere a loro di rifiatare: mettere a tabellone punti? Ma figuriamoci, per carità, mi basterebbe aiutassero un minimo i reparti difensivi.

Nulla è compromesso, ma in una AFC sempre più competitiva faccio fatica ad immaginarmi due squadre del genere ai playoff nel 2021: sono finiti i tempi in cui per vincere erano necessari dieci punti ed una difesa di primissimo livello.
Tifate Steelers o Dolphins? Bene, avete validi motivi per essere preoccupati.

Un discorso del genere è applicabile pure alla squadra della capitale, anche se devo confessarvi che al momento sono abbastanza deluso dalle prestazioni del reparto difensivo che malgrado l’immenso potenziale concede più di 30 punti a partita: certo, i 43 subiti contro i Bills sfalsano palesemente il dato, ma attenzione che sto notando sistematiche difficoltà offensive che contro i Giants possono essere mascherate da qualche sporadica big play ma che contro squadre come i Bills costano l’opportunità di rimanere in partita.
Gibson tentenna e con Samuel infortunato l’attacco è terribilmente simile a quello dello scorso anno e se la difesa non trova il modo di soffocare il quarterback avversario a suon di pressione difficilmente possono competere contro certe squadre.
C’è ragione di preoccuparsi? Direi di sì, soprattutto se si tiene in considerazione il livello dei Cowboys e la sorprendente competitività degli Eagles.

Lasciando perdere Jaguars e Jets, squadre giovani ed in mano a quarterback rookie che per forza di cose stanno faticando, la città che ha motivi legittimi per guardare al futuro con apprensione è Indianapolis: come già detto sopra, uno 0-3 non preclude matematicamente l’accesso ai playoff ma in una conference del genere sicuramente non lo favorisce.
Le sconfitte sono arrivate per mano di Titans, Rams e Seahawks, squadre che lo scorso gennaio erano impegnate ai playoff e ciò può essere considerato un alibi: al contempo, però, dobbiamo ricordarci che hanno deciso di affidarsi a Wentz per compiere un salto di qualità che li avrebbe messi nella posizione di vincere consistentemente contro squadre del genere.
Gli infortuni ed una certa sterilità nei pressi della end zone stanno costando loro partite, ma ciò che mi lascia più perplesso è la voluta mancanza di playmaker: il front office aveva mezzi e opzioni per mettere Wentz in una miglior posizione per aver successo ma ciò nonostante hanno deciso di rinnovare la fiducia ad un paio di giovani di buone speranze come Campbell e Pittman che si stanno comportando bene ma… manca qualcosa.

Ai Colts continua a mancare qualcosa e credo che malgrado le ovvie difficoltà del calendario nessuno potesse preventivare un avvio del genere; mi sembra ovvio non abbiano preso Wentz per accontentarsi della consapevolezza di essere sempre e comunque competitivi contro squadre da playoff: in questo caso è arrivata l’ora di preoccuparsi, un roster così talentuoso non ha alcuna ragione per stazionare su un deprimente 0-3.

Sui record negativi di Giants, Falcons, Lions, Bears, e Texans non ho molto da dire, in un certo senso erano tutti preventivabili ed accettabili, piuttosto concluderei con due parole sui New England Patriots ché nelle ultime ore ho visto la parola “problema” essere associata in più occasioni a Mac Jones: ma state scherzando?
Una partita del genere capita a qualsiasi rookie – soprattutto contro una buona difesa come quella dei Saints – e identificare in lui il capro espiatorio – dopo tre sole partite! – delle difficoltà offensive dei Patriots non ha senso: New England avrebbe bisogno di skill player in grado di fare la differenza, Hunter Henry, Jonnu Smith, Kendrick Bourne e Nelson Agholor sono tutti buoni giocatori che calati all’interno di un attacco come pezzi complementari possono rendere ad alto livello ma che senza una stella polare attorno alla quale gravitare difficilmente faranno la differenza.
Al momento fatico ad immaginarmeli ai playoff, ma non sono sicuro fosse realisticamente quello il loro obiettivo con un rookie under center.

Tutto può ancora cambiare, c’è tempo, ma attenzione che arrivati oramai ad ottobre ciò che abbiamo visto non può essere semplicemente bollato come “football estivo”.

2 thoughts on “NFL: per chi vale la pena preoccuparsi?

  1. Il problema di Boston non è Mac Jones che, poverino, giustamente “needs time”. Il problema è di chi pensava di poter tornare ai fasti passati nel giro di 5 minuti con un nuovo QB (vedi Belichick).

  2. Leggo con piacere che il RB Nate McCrary è tornato a Baltimora. Il trio Murray-Freeman-Bell non mi convince molto.

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