Analizzando l’operato di una qualsiasi squadra Nfl è determinante collegare i risultati all’insediamento di un determinato regime. Non va mai dimenticato che le franchigie sono strutturate come un’azienda multinazionale, e come tali devono funzionare nella massima armonia possibile, con tutte le persone rivestite delle cariche più alte chiamate a rispondere delle proprie scelte all’interno del loro settore di competenza. Il general manager è una figura-chiave in questo tipo di ragionamento, perché il lavoro svolto va giudicato diversi anni dopo il suo arrivo e deve tenere conto di tanti fattori, su tutti il fatto di prendere per mano gestione e contabilità di una realtà dove le decisioni precedenti non sono state prese da lui.

Per queste ragioni è corretto sostenere che il futuro dei New York Jets comincia esattamente ora. Joe Douglas è giunto al terzo anno di un lungo e faticoso lavoro di ristrutturazione del roster bianco-verde, ma questa si presenta come la offseason che più di altre andrà a determinare la validità del suo lavoro per la franchigia. Fino a questo momento il suo compito primario è stato quello di cercare di risollevare una nave affondata con puntualità preoccupante, a causa delle fessure create da un regime precedente molto più preoccupato del successo personale che non di quello collettivo. Da questo punto di vista è senza dubbio un’ottima notizia quella del rientro negli Stati Uniti del proprietario Woody Johnson dopo tre anni spesi nel ruolo di ambasciatore americano presso il Regno Unito, periodo nel quale la conduzione degli affari di famiglia, Jets compresi, era stata affidata al fratello Christopher.

Il 18-46 con cui la squadra ha concluso l’esperienza sotto la direzione dell’altro Johnson non è chiaramente imputabile completamente a questi, ma risulta comunque emblematica proprio per le evidenti lacune riscontrate nella struttura societaria. Il proprietario pro-tempore aveva dato troppa libertà d’azione sia al vecchio general manager, Mike Maccagnan, permettendogli di creare il disastro che si è poi traslato sul campo, mancando nella corretta gestione del rapporto con Adam Gase, altra testa calda che ha premuto ogni bottone possibile per giungere ad avere un maggior controllo nelle decisioni finali per il roster assecondando le voci che lo vedevano come principale responsabile del sollevamento del vecchio general manager, il quale era in ogni caso giunto in una posizione indifendibile tra contratti pesantissimi di free agency e valutazioni completamente errate in sede di draft.

Di conseguenza oggi Douglas ha la strada spianata per effettuare le sue decisioni e meno tempo per giustificarsi per operare con materiale non suo, senza più i condizionamenti portati dal doversi rapportare con un head coach messo lì da altre persone e con altri presupposti. Il percorso odierno l’ha portato a comprendere come operare nei confronti di Sam Darnold, un possibile franchise quarterback più volte spacciato come il salvatore della patria newyorkese ed ennesima immaginaria re-interpretazione del nuovo Joe Namath, un concetto figurativo che ben illustra da quanto tempo i Jets stiano cercando un regista in grado di farli vincere con costanza. Douglas ha tenuto il polso fermo ed agito come da sua indole, senza fretta, assistendo ai vari eventi che potevano condizionare la strada verso il draft, dove grazie al 2-14 registrato nel 2020 potrà scegliere nella seconda posizione assoluta.

Il gioco di attesa ha già prodotto dividendi, magari non istantaneamente leggibili, ma che posseggono una chiara logica di fondo relativamente alle economie di casa. Douglas, proveniente dalla scuola di quell’Ozzie Newsome capace di costruire solide fondamenta vincenti per i Baltimore Ravens, valorizza molto le scelte alte e non prende scorciatoie per sommare talento al talento senza coerenza alcuna. L’approccio esercitato con estrema cautela in entrambe le free agency gestite da Douglas è un segnale interessante, privo delle frenesie che avrebbero potuto troppo facilmente portare il Deshaun Watson di turno a New York, inglobando un indiscutibile e giovane fenomeno che sarebbe tuttavia costato tantissimo in termini di futuro nelle altre posizioni per l’elevato numero di scelte alte che Houston avrebbe correttamente preteso di ricevere in cambio, peraltro senza conoscere l’esito delle investigazioni che stanno travolgendo il quarterback in questo preciso momento, un particolare che all’epoca delle chiacchiere uscite su Watson e i Jets non faceva ancora parte del quadro, ma che avrebbe attratto altra pubblicità negativa verso una franchigia già messa male di suo. Tenere Darnold con il peso della spada di Damocle del possibile esercizio dell’opzione per il suo quinto anno sarà inoltre molto meno costoso del ripartire da un rookie.

Con lo stesso atteggiamento, ma senza rinunciare a spendere, non ci si è tuffati a capofitto nel cercare il primo grande nome disponibile, come evidenziato dai giocatori abbinati ai contratti più costosi elargiti in questa sessione di mercato, uno per l’attacco ed uno per la difesa.

Corey Davis (37.5 milioni di dollari) non era attraente come Kenny Golladay, Allen Robinson (potenzialmente libero, salvo poi accettare il franchise tag dei Bears) o JuJu Smith-Schuster, ma offre garanzie nelle cifre meno evidenti, reperibili con un’attenta ricerca di dati in rete ed utili per avere una valutazione più completa di un ricevitore che pareva semplicemente essere pronto per un grande contratto a seguito della classica annata d’esplosione. Davis ha avuto molto successo in un sistema come quello dei Titans, strutturato su passaggi corti ed intermedi che potessero esaltarne le qualità atletiche, praticando una filosofia molto simile a quella che verrà attuata dal nuovo offensive coordinator newyorkese, Mike LaFleur. Ha inoltre ricevuto il 70.7% dei passaggi giunti in sua direzione, percentuale che paragonata a quanto prodotto da ogni ricevitore dei Jets dal 1998 ad oggi risulta comunque la migliore, e nemmeno di poco, tanto che per avvicinarsi è necessario riesumare nomi come Eric Decker (66.1%) e Laveranues Coles (66%).

Lo stesso discorso è applicabile per Carl Lawson (45 milioni di dollari), non un granché se ci si ferma superficialmente a leggere i 5.5 sack portati a segno l’anno scorso, in realtà l’iniezione di pass rush di cui la difesa aveva disperatamente bisogno, se non altro perché in carriera ha prodotto un rating di pressione del 14.1 in relazione agli snap presenziati, un dato numericamente eccellente che deve fornire l’idea di come ci sia un effetto benefico generato dal rapidissimo primo passo di questo edge rusher, che anche quando non colpisce direttamente provoca delle opportunità per i compagni, una situazione di cui i più soggetti ai raddoppi come Quinnen Williams potranno trarre evidente vantaggio. E’ un atteggiamento profondamente diverso dal firmare C.J. Mosley pagandolo più del dovuto solo per evitare di farlo rientrare alla squadra d’origine con un garantito di 47 milioni di dollari, una delle pesanti eredità lasciate da Maccagnan prima del licenziamento, solo per vederlo giocare 119 snap totali nei due anni successivi.

Facendo luce nelle mosse più recenti dei Jets non emerge una squadra in grado di cambiare il suo destino perdente nell’immediato, ma se non altro risalta quella superiore qualità organizzativa che con la giusta pazienza potrebbe finalmente condurre la franchigia verso la strada corretta. Douglas è al banco di prova definitivo dopo aver scelto il suo allenatore, Robert Saleh, e variato il precedente rapporto dove general manager e head coach potevano relazionarsi indipendentemente con il proprietario senza una precisa scala gerarchica, costruendo oggi una gradinata dove Saleh si rapporterà a Douglas, e questi renderà esclusivamente conto a Johnson.

Tempo qualche settimana e sceglierà anche il suo quarterback, una decisione cementata dalle straordinarie qualità messe in mostra da Zach Wilson al Pro Day di BYU e indirettamente condizionata dalla salita dei 49ers alla terza posizione assoluta, che ha lasciato i Carolina Panthers troppo lontani per acquisire un regista di questa promettente nidiata generando il definitivo interesse ad imbastire la trade per Darnold, che mentalmente fa bene a tutte le parti coinvolte e dalla quale Douglas ha ricevuto altri pezzi per il futuro (sesto giro 2021, secondo e quarto 2022) per proseguire i lavori in corso in un roster ancora troppo lacunoso in tanti ruoli.

Il prossimo sarà il draft che definirà più di ogni altra cosa l’operato di Joe Douglas ai Jets. Al general manager andrà il compito di rivedere i suoi stessi errori del passato (lasciar andare Robbie Anderson rimpiazzandolo con Breshad Perriman, contribuire nella non corretta gestione della crescita di Sam Darnold mancando di procurargli il talento necessario) e di cominciare a tappare quelle fastidiose falle che hanno appesantito la solita e noiosa apatia che circonda la squadra da troppo tempo. La struttura societaria sembra sistemata, la parte consistente del mercato è passata, ed ora non resta che indovinare il più alto numero di scelte possibile.

 

4 thoughts on “New York Jets, via libera ai nuovi orizzonti

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