BEST

DERRICK HENRY

Altra partita ed altra stagione straordinaria quella del running back dei Titans, fondamentale per salvaguardare la vittoria di una division che Tennessee si stava lasciando scappare a favore dei Colts in maniera rocambolesca, acciuffata grazie ad un calcio andato a segno solamente dopo aver sbattuto sulla parte interna del palo. Henry ha raggiunto quota 250 yard in 34 portate e segnato una meta di 52 yard in una gara che sulla carta i Titans avrebbero dovuto vincere con maggiore facilità, ma si sa, le prospettive di questa squadra sono costantemente dettate da quanto Mike Vrabel ed il suo staff riescono a limitare i danni in difesa.

Il numero 22 ha oltrepassato le 200 yard per la terza volta nel presente campionato (due di queste sono arrivate proprio contro i Texans), diventando altresì il primo giocatore dal 2012 a superare la quota stagionale di 2.000, ottavo giocatore della storia Nfl a riuscirvi, oltre che guidare nuovamente la lega per yard e mete su corsa per il secondo anno consecutivo, centrando un’impresa degna di LaDainian Tomlison in un’epoca come quella odierna, sostanzialmente votata al gioco su aereo. L’aspetto più significativo della faccenda è rappresentato dal fatto che Henry difficilmente verrà considerato con cognizione di causa per il premio di Mvp, sia per l’occhio di riguardo che si tende sempre a dare ai quarterback, sia per l’altissima qualità del football offerto quest’anno da Aaron Rodgers, l’indiziato principale per l’alzare la statuetta quando giungerà il momento dei vari riconoscimenti di fine anno.

Viene da pensare che la strada dei Titans nei playoff sarà direttamente proporzionale alla resa di Henry, che quando il football si fa più importante, sporco e ruvido ci sguazza letteralmente dentro. Gli avversari della Wild Card saranno i Ravens, per cui sarà determinante controllare l’orologio mischiando adeguatamente corse e lanci ricordando che tutto inizia sempre a causa della grande concentrazione che le difese devono forzatamente dedicare al forte running back, il che è anche un metodo sicuramente efficace per tenere il pericoloso Lamar Jackson fuori dal campo per il maggior tempo possibile. Questo sarà invece compito di un reparto che ha gentilmente donato 38 punti alla derelitta Houston costringendo Henry a fare ancora una volta gli straordinari, un compito dal quale l’ex-Alabama non si è mai tirato indietro.

AARON RODGERS

Il numero 12 dei Packers ha concluso in maniera consona una stagione regolare da Mvp, premio per il quale non dovrebbe avere grossa concorrenza. La gara contro i Bears è stata l’ennesima contraddistinta dalla grande efficacia e dalla sensazione di onnipotenza, con Rodgers a completare 19 dei 24 passaggi tentati per 240 yard e 4 passaggi da touchdown senza commettere alcun turnover, demolendo Chicago per 35-16. Il regista di Green Bay supera così il suo primato personale per percentuale di completi con il fragoroso 70.7%, alzando l’asticella dei suoi personali passaggi vincenti in singola stagione a quota 48. Ed è pure l’unico quarterback della storia a lanciare un minimo di 40 passaggi da touchdown con 5 o meno intercetti, portando nel frattempo la sua squadra alla conquista della prima posizione assoluta della Nfc ottenendo l’unica settimana di riposo a disposizione della conference.

Per i Packers si tratta del secondo 13-3 consecutivo e della possibilità concreta di avanzare fino al Super Bowl, evento dinanzi al quale l’anno scorso si sono opposti solamente i 49ers. Il rating di Rodgers, 121.5, è il secondo migliore di ogni epoca, dietro al 122.5 che egli stesso aveva registrato nel 2011, anno del primo dei suoi due premi di Mvp di carriera, e tutto arriva a coronamento di un campionato trascorso nella massima fiducia nei propri mezzi nonostante le lunghe chiacchiere occorse in offseason in concomitanza della discussa selezione di Jordan Love al primo round. Nulla di quanto ottenuto quest’anno sarebbe stato possibile senza Aaron Rodgers, che ha mantenuto costantemente alto il livello del suo gioco anche in assenza di pilastri offensivi come Davante Adams ed Aaron Jones, muovendosi dietro una linea offensiva che ha spesso dovuto operare dei cambiamenti a causa dell’indisponibilità di alcuni giocatori, e che deve ora rinunciare al prezioso David Bakhtiari.

I Packers sono ora attesi da una meritata settimana di riposo, in attesa di conoscere l’avversario da affrontarsi in occasione del secondo turno di playoff. Non dovrebbe esserci nulla in grado di mettersi nel mezzo tra Rodgers ed il terzo premio Mvp di carriera, anche se la missione principale resta quella di completare il tanto sudato inseguimento alla seconda vittoria al Super Bowl, evento che si è rivelato più sfuggente di quanto non si pensasse anni fa, quando Aaron pareva destinato ad entrare nel novero dei quarterback in grado di vincere molteplici trofei assoluto. Non resta che approfittare di una Nfc che pare non proporre nessun avversario in grado di essere dominante così come lo sono stati i Packers, incontenibili in attacco e iper-aggressivi in difesa, una miscela che di questi tempi potrebbe essere esplosiva nei confronti di chiunque – Saints compresi – e che potrebbe seriamente garantire la presenza presso il Raymont James Stadium di Tampa, il modo migliore per festeggiare un’annata davvero sensazionale.

CLEVELAND BROWNS

Tecnicamente l’evento è occorso a 2021 già in corso, ma i Browns ricorderanno per sempre il disgraziato anno precedente per aver finalmente rotto il sortilegio di una mancata qualificazione ai playoff che perdurava dalla stagione 2002. Qualche idea per capire quant’è durata questa agonia? All’epoca il quarterback titolare era Tim Couch, l’allenatore era Butch Davis, LeBron James non era ancora approdato in Nba e gli avversari di postseason erano gli stessi Steelers battuti domenica e che andranno riaffrontati nel fine settimana in quest’aria della quale i tifosi avevano completamente scordato la fragranza, con Baker Mayfield a prendere gli snap dopo che ben 27 quarterback si sono alternati nelle differenti sfortune cominciate diciotto anni fa.

La qualificazione è arrivata in pieno stile Browns, con l’acquisizione di un parziale vantaggio di 24-9 appena fatto ingresso nel quarto periodo a dimostrazione di una partita molto ben giocata dal punto di vista difensivo, ciononostante si è rivelato necessario il sigillo finale posto dallo stesso Mayfield con la corsa che ha conseguito il primo down che serviva per terminare le possibilità degli Steelers, giunti ad un passo dal pareggio grazie a due drive vincenti confezionati da Mason Rudolph. La squadra non ha voluto far mancare un’ultima respirata di tensione al pubblico di casa, arrivando a strappare il biglietto vincente non prima di aver fermato un tentativo di conversione da due punti, ricoperto un onside kick che ha lasciato con il fiato sospeso tutta la città, e conquistato quello storico primo down grazie alle gambe di quel Mayfield scelto nella speranza di tornare ai playoff, che ora assaggerà per la prima volta in carriera dopo aver contribuito alla fine dell’oblio.

Si chiude in bellezza la grande regular season giocata sotto le direttive di Kevin Stefanski, ora candidato d’obbligo per il premio di allenatore dell’anno, nella speranza che questo regime possa portare la stabilità che per quasi vent’anni è mancata alla franchigia. Il coach al primo anno sulla sideline di Cleveland ha raggiunto la quota di 11 vittorie a ventisette anni di distanza dall’ultima occasione in cui i Browns si erano fregiati di tale traguardo, quando un certo Bill Belichick coordinava le operazioni. La vittoria contro Pittsburgh ha inoltre sancito una nuova stagione da 1.000 yard per Nick Chubb, che proprio domenica ha centrato la sesta partita stagionale in tripla cifra, due ottenimenti di grande rilevanza se considerate le quattro partite saltate per infortunio dal running back, che sarà tra le chiavi offensive più importanti nel rematch che attende Cleveland all’Heinz Field, in un match assolutamente equilibrato ed incerto con l’obiettivo di raggiugere il Divisional per la prima volta dal lontanissimo 1994. E sì, in quell’anno c’era sempre Belichick…

HONORABLE MENTION: JONATHAN TAYLOR

Grazie alla figuraccia dei Dolphins contro i Bills il quadro dei playoff della Afc ha conservato un posto caldo per i Colts, chiamati alla non difficile impresa di dover battere i Jaguars per ottenere la qualificazione desiderata. Taylor ha preservato la sua miglior prestazione di carriera per la gara più importante dell’anno, battendo un record di franchigia con 253 yard su corsa e segnando due fondamentali mete, oltre a far registrare altre 56 yard su ricezione. Nelle ultime sei partite Taylor ha ottenuto 123 yard di media su corsa per ciascuna gara, diventando il running back più prolifico nella Afc di questa porzione di campionato dietro al solo Derrick Henry e togliendo parecchia pressione dalle spalle di Philip Rivers, rendendo il gioco offensivo dei Colts multi-dimensionale al punto da non dover troppo esporre il sanguigno veterano. Una prestazione con il punto esclamativo, che andrà confermata contro la temibile difesa dei Bills in occasione della Wild Card che Indianapolis ha acciuffato con l’ultimo posto disponibile.

WORST

DOUG PEDERSON

Chi scrive tiene non poco alle sorti di Washington, quindi le conseguenze delle decisioni di Doug Perderson hanno fatto particolarmente piacere, ma chi scrive è soprattutto appassionato del gioco, nei confronti del quale il rispetto non deve mai mancare. Il capo allenatore degli Eagles ha invece gravemente mancato di rispetto al football americano tutto, dove in qualsiasi condizione atmosferica e di punteggio ci si sacrifica per arrivare dignitosamente in fondo alla partita, facendo invece la figura di colui in grado di sottomettersi dinanzi alla possibilità di guadagnare qualche posizione in più al draft andando nel contempo a danneggiare i New York Giants, che di una vittoria di Philadelphia avrebbero beneficiato andando a giocare inaspettatamente (ed immeritatamente) i playoff.

Pederson ha rimosso dal campo Jalen Hurts nel quarto periodo con gli Eagles sotto solamente per tre punti, esponendo una non troppo velata bandiera bianca. Una mossa ignobile, soprattutto perché giustificata davanti ai microfoni della stampa con l’evidentemente falsa necessità di dare a Nate Sudfield gli snap che meritava dopo anni trascorsi a tenere la lavagnetta a bordocampo, una decisione che si può prendere sul 38-3, ma non certo sul 17-14 con la corsa ai playoff ancora aperta per gli avversari. Ci vuole dignità. E non c’è stata nessuna dignità nello schierare un regista capace di fornire solamente una prestazione poco commentabile, eretta su un misero 5/12 per 32 yard con un intercetto ed un fumble commesso in uno scambio con il centro, e per carità, Hurts non aveva certo fatto meglio con 7/20 per 72 yard ed un intercetto, ma se non altro tra i due era quello che dà le migliori possibilità di vittoria – aveva comunque all’attivo due mete su corsa – in una situazione con un solo field goal di distacco.

Difficile e doloroso mettersi nei panni dei tifosi e dei giocatori dei Giants, che in precedenza avevano battuto i Cowboys ottenendo la speranza di passare al posto di Washington grazie alla doppia vittoria stagionale contro la squadra della capitale americana. Philadelphia era nelle condizioni di poter vincere una partita che gli uomini di Ron Rivera hanno faticato come sempre a gestire dal punto di vista offensivo prima di vedersi offerta la vittoria su un piatto d’argento. Non è inusuale vedere quarterback mai visti prima scendere in campo all’ultima giornata di operazioni, è un evento più che comprensibile quando vi sono delle valutazioni da eseguire in vista dei futuri movimenti di mercato, ma allora in questo caso la partita avrebbe dovuto finirla Hurts, un rookie che aveva bisogno di snap e di essere giudicato in vista dell’anno prossimo a maggior ragione in relazione alle decisioni che aspettano Carson Wentz, che per questa partita era inattivo, e non una riserva senza prospettive future la quale non ha fatto altro che confermare di non appartenere a questa lega. I Giants, come tutte le squadre della Nfc East, non meritavano i playoff. Perderli così, tuttavia, corrisponde ad un’azione criminale, ed infangante per la reputazione dell’altrimenti solido Pederson.

MIAMI DOLPHINS

Il compito era il più agevole di tutte le altre concorrenti della Afc, bastava semplicemente vincere e la prima postseason degli ultimi cinque anni sarebbe diventata realtà. I Dolphins non solo non sono riusciti nell’impresa, hanno mancato di farlo contro una squadra che aveva già ottenuto la sua qualificazione, che ad un certo punto ha rimosso la maggior parte dei titolari dal campo, ed ha ugualmente sbattuto in faccia a Miami 56 dolorosissimi punti, un promemoria pesante per un campionato giocato con grandi speranze seppellite proprio quando sembrava fatta.

I Bills hanno segnato in tutti i modi possibili e con tutti i reparti a loro disposizione, Josh Allen ha terminato la sua miglior regular season di carriera con tre passaggi da touchdown nel solo primo tempo prima di accomodarsi in doccia e lasciare il posto a Matt Barkley, il quale ha approfittato per lanciare il suo touchdown pass più lungo di sempre (56 yard) proprio nella ripresa. Miami, titolare di un passivo medio di neanche 19 punti a partita, ne ha concessi 56 nella gara più importante dell’anno e come se non bastasse è cresciuta l’incertezza che attornia il ruolo di quarterback, dove Tua Tagovailoa ha giocato ancora una volta in maniera erronea ed inefficace. Il rookie ha lanciato tre intercetti ed ha fatto addirittura sentire l’assenza di Ryan Fitzpatrick, il quale avrà certamente i suoi difetti ma se non altro permette sempre di aprire il portafoglio di soluzioni offensive sul profondo, una dimensione che l’ex-Alabama non è sinora mai riuscito ad aggiungere a questo attacco.

I Dolphins hanno perso un’occasione importante, potevano essere una delle storie più belle dell’anno proponendosi con una difesa giovane e aggressiva, capace di mettere sotto scacco tantissimi avversari grazie all’inventiva schematica di Brian Flores, ed avrebbero potuto raggiungere i playoff rispettando il naturale progresso di questo nuovo regime, che aveva gettato tutte le basi possibili ed immaginabili nelle due stagioni precedenti a questa, quand’erano mancati solamente i risultati positivi. Sarebbero inoltre potuti approdare alla postseason potendosi persino permettere di inserire a torneo in corso la loro scelta più alta dell’ultimo draft, ma alla fine della fiera i momenti migliori dell’attacco sono giunti in concomitanza delle prestazioni più significative di Fitzpatrick, con il quale si è dimostrato di poter osare molto di più. Miami esce dalla regular season con le ossa letteralmente rotte, senza l’inerzia positiva che si sarebbe altrimenti potuta trasportare nella prossima stagione, quando Tagovailoa dovrà far vedere molto di più rispetto a quanto si sia potuto testimoniare quest’anno.

CINCINNATI BENGALS

Anche quando non c’è più nulla per cui lottare nel football è essenziale non perdere mai la propria dignità. Domenica i Bengals hanno ampiamente dimostrato di non essere particolarmente interessati alla loro, giocando una gara deprimente contro Baltimore chiudendo molto male un campionato per il quale le due settimane precedenti a questa fungevano da momento di positività e speranza per il futuro grazie a due affermazioni consecutive, tra le quali un’esplosione – contro Houston – che aveva portato alla conquista di 37 punti e 540 yard di total offense.

La gara contro i Ravens è invece da cancellare completamente e getta nuove ombre sul futuro di Cincy. Il 38-3 finale è eloquente nell’esemplificare il come la squadra di Zac Taylor non abbia affrontato l’impegno con la giusta concentrazione e motivazione, facendo acqua in tutti i suoi reparti. L’attacco ha giocato malissimo con Brandon Allen a completare solamente 6 dei 21 passaggi tentati per 48 yard e due intercetti, con un rating pari a…zero. La difesa ha fatto anche di peggio, andando a concedere 404 yard su corsa rompendo un record di franchigia negativo che durava da 51 anni, quando ne vennero elargite 313. Curiosamente, il record assoluto di 407 yard – trattasi dell’era del Super Bowl – appartiene proprio ai Bengals, che vent’anni fa calpestarono i Broncos grazie soprattutto alle prodezze di Corey Dillon.

Cincinnati ha concesso una corsa di almeno 16 yard a cinque differenti giocatori dei Ravens in una giornata dove 3 dei 10 completi siglati da Jackson sono risultati essere passaggi da touchdown. A.J. Green – colonna giunta all’ultima apparizione in nero-arancione – non ha ricevuto un solo pallone per la sesta volta in stagione, e la stessa sorte è toccata pure a Tee Higgins, poi uscito per infortunio, che ha giocato in ogni caso una buonissima annata da matricola. La netta sconfitta evidenzia l’impossibilità stagionale di confrontarsi adeguatamente contro Baltimore, alla quale sono stati segnati solamente due field goal sommando i due scontri divisionali previsti, mettendo fine ad un altro disastro e dando luogo all’ennesima offseason con la prospettiva di una scelta alta, ed un futuro tutto da ricostruire assieme al ginocchio di Joe Burrow.

HONORABLE MENTION: HOUSTON DEFENSE

I Texans avevano già dato il loro massimo giocando in maniera vergognosa contro Cincinnati due domeniche fa, i Titans erano avversari di tutt’altra caratura ma non per questo la difesa può essere giustificata per l’ennesimo crollo verticale nel momento più importante della partita. Ka’imi Fairbairn aveva appena fissato il punteggio sul 38 pari a ventidue secondi dal termine dei tempi regolamentari, e non restava dunque che difendere adeguatamente contro un attacco schiacciato sulle proprie 25 yard in situazione di ovvio passaggio. Le secondarie di Houston sono invece andate a spasso concedendo una ricezione di 52 yard ad A.J. Brown in maniera inspiegabile, permettendo a Sam Sloman di inchiodare i punti della vittoria divisionale a favore di Tennessee. Difesa da rifare, prima che DeShaun Watson decida di scappare da un’organizzazione senza né capo né coda.

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