Prima di tutto permettetemi di scusarmi per il ritardo, nella mia testa ciò che sto digitando appartiene ad un passato che definire remoto sarebbe un eufemismo: c’è anche da dire che per noi nordici il concetto di “passato remoto” è molto effimero e non sempre facile da digerire, ma per la mia idea di “giornalismo” scrivere a quest’ora su quanto successo circa ventiquattro ore fa è inaccettabile ed in un certo senso inutile.
Scusatemi per il ritardo ma, fortunatamente, sono nelle fasi iniziali del tirocinio che – insieme ad un paio d’esami e la snobbata tesi – mi separa dalla fine del mio – inutile – percorso di studi: fra un anno, di questi tempi, potrei potenzialmente intrattenervi – o tediarvi, punti di vista – con enne articoli al giorno in quanto con tutta sincerità dove crede di andare uno laureato in lingue con laurea magistrale in editoria e giornalismo?
A scrivere gratis di football americano, ovviamente.

Finita la classica, fastidiosa ed inutile divagazione personale, eccomi qua a commentare con voi quanto successo ieri in quella che molto banalmente posso definire come la più strana edizione del Thanksgiving Football di sempre, anche se la presenza di Dallas e Detroit nei nostri schermi – e, anche se non è sembrato, sul campo – ci ha fornito un po’ di necessaria stabilità: a sconquassare le nostre certezze e, soprattutto, quelle di una NFL scopertasi di nuovo fragile dinanzi alla distruzione portata dal Covid-19, ci ha pensato il rinvio della terza partita in programma ieri, quel Ravens-Steelers che a questo punto spenderci cinquanta parole nel vano di crearci attorno dell’hype non ha più senso.
La situazione in casa Ravens è gravissima in quanto l’ondata di positivi non sembra intenzionata a fermarsi ed ha travolto, tra gli altri, pure Lamar Jackson: gli unici risultati positivi dei Ravens di quest’anno sono quelli dei tamponi.
Ahimè.

La giornata si è aperta con il testa a testa fra Texans e Lions, due squadre che non hanno più molto da chiedere alla stagione ma che magari con un po’ di fortuna… no, rimaniamo seri, nessuna delle due può essere ancora considerata in lizza per la postseason e ciò non può che creare del sincero rammarico nel cuore di ogni tifoso, in quanto qualsiasi domenica NFL senza Matthew Stafford e Deshaun Watson è obbligatoriamente una domenica NFL triste.
Houston Texans a Detroit per affrontare i Lions, dunque, partita un po’ così, partita che ha chiarito ogni dubbio circa il record delle squadre e, come ce ne fosse bisogno, ci ha messo nella posizione di passare una notte a contemplare l’infinito e chiederci quale dio – e perché – sia stato contrariato da Deshaun Watson, fenomeno generazionale che definire malservito non inizierebbe nemmeno a rendere l’idea: sfruttando un paio di affettuosi omaggi dell’attacco di Detroit e cavalcando l’ingiusto talento di Watson, Houston si è portata a casa un 41 a 25 che a mio avviso non rende giustizia al dominio degli ospiti.

Detroit era partita bene tramutando il primo drive della giornata in sette punti ma, vi lascio la libertà di scegliere se per generosità od inettitudine, per qualche strana ragione ha cominciato a trattare il pallone come la proverbiale patata bollente: prima Stafford ha inspiegabilmente messo il pigskin nelle manone di Watt per la più facile delle pick six poi Jonathan Williams, running back ex-Colts caduto in disgrazia, si è fatto soffiare la patata bollente per un fumble trasformato in touchdown un paio di minuti dopo grazie ad un comodo tap-in di Watson che ha pescato completamente libero C.J. Prosise in end zone.
Houston, sul 13 a 7 a causa di un extra point fallito, ha provato a ricambiare il favore con un proprio fumble – arrivato dopo un altro incredibile fumble di Detroit – sfruttato alla perfezione dai Lions che grazie al secondo touchdown della giornata di Peterson si sono portati sul +1.

Da lì in poi, signori, monologo Texans.
Prima Houston ha rimesso il muso avanti grazie alla connessione Watson-Johnson, per l’occasione marcato da Jamie Collins che avrà pur tanti pregi ma sicuramente non può correre sul profondo con un running back, poi ha incrementato il margine con un piazzato di Fairbairn che ci ha portato alla pausa lunga sul 23 a 14.
Nella seconda metà di gioco Detroit ha provato ad imporre il proprio ritmo insistendo con maggior convinzione – e successo – sulle corse ma, cari lettori, capite che qualcosa non va se dopo un drive di quasi 8 minuti una squadra riesce a portarsi a casa solamente tre punti: Watson, indisposto dall’arroganza dei Lions, ha prima permesso ai suoi di restituire il favore con un piazzato reso possibile da una lunghissima ricezione di Will Fuller poi, desideroso di chiudere al più presto la pratica Lions, ha pescato per due volte in due drive consecutivi Fuller in end zone prima sfruttandone la pura velocità e poi aiutato da uno splendido flea flicker che ha colto completamente impreparata la difesa dei Lions.
Fuller è sempre ad un colpo di vento dall’infortunarsi ma, quando in salute, è senza ombra di dubbio un ricevitore di tutto rispetto con tutte le abilità di questo mondo per essere il go-to-guy di Watson per gli anni a venire; Detroit, più disperata del solito, è riuscita a rendere più gradevole il punteggio con un touchdown – ed una conversione da due punti – dell’insospettabile Mohamed Sanu ma, come spesso accade se si parla di Lions, l’esito della partita era in ghiaccio da tempo.

Buonissima vittoria di Houston che sostanzialmente si è limitata a sfruttare ogni singolo errore dei padroni di casa grazie ad un gioco aereo contro il quale la decimata secondaria di Detroit non poteva aver alcun tipo di risposta: particolarmente impressionante l’intesa del duo Watson-Fuller che grazie alla folle velocità del ricevitore è riuscito a concludere con numeri impressionanti come 342 yards e quattro TD, numeri che ci fanno sentire in colpa a vederlo rappresentare una franchigia con un futuro compromesso dalle scelte di quello là, quello che c’era prima.
No comment sui Lions, squadra sì pesantemente condizionata dagli infortuni ma che pure quest’anno si sta rivelando troppo inetta per essere guidata da un giocatore del calibro di Stafford: troppi errori gratuiti, troppa approssimazione, troppa grossolanità e, soprattutto, troppo grave la mancanza di una vera identità che, dopo tre anni con lo stesso allenatore, oramai dovrebbe essere stata stabilita.

E poi?
Ovviamente Dallas contro Washington, partita dominata da Washington e dagli infortuni dei Cowboys: proprio come i Texans il Football Team ne ha messi a segno 41, limitando i padroni di casa a 16 miseri punti arrivati per la maggior parte durante i primi trenta minuti di gioco.
Che per Dallas non fosse giornata lo si era capito pressoché immediatamente quando nel primo drive Cameron Erving e l’inossidabile Zack Martin sono stati costretti ad uscire a causa di infortuni che hanno gettato ancor più nel baratro un reparto che ha già perso i tackle titolari Smith e Collins oltre che al ritirato Frederick: ciò nonostante Dallas è riuscita a concludere il drive con un dignitoso piazzato, a cui Washington ha però risposto con un ottimo touchdown di Logan Thomas arrivato dopo dodici giocate che hanno senza ombra di dubbio sfiancato la deboluccia difesa dei padroni di casa.

A quel punto i Cowboys ci hanno fatto il peggior dispetto possibile, ovvero farci credere che stessimo guardando una partita competitiva, poiché hanno risposto al fuoco con il più piccante dei fuochi, un touchdown da 54 yards di Amari Cooper, pescato in profondità da un magnifico lancio di Andy Dalton, un lancio che ci ha aiutato a ricordare come mai non troppo tempo fa Red Rifle fosse più spesso che non un Pro Bowler.
Washington ha riportato la contesa in parità con un field goal che ha preceduto il momento che personalmente reputo il responsabile del massacro che sto per narrarvi: McCarthy ha deciso di tentare la fortuna su 4&1 dalle proprie 34 (!!!) fallendo miseramente ed anzi, vedendosi pure fischiare una penalità per unnecessary roughness a Schultz.
La squadra di football, incredula, ha ringraziato con un veloce touchdown del rookie Gibson, un touchdown che ci ha di fatto spoilerato il canovaccio della seconda metà di gioco, anche se per dovere di cronaca devo pure riportarvi il piazzato di Dallas che ha dato portato le squadre al riposo sul 17 a 13.

La seconda metà di gioco, come già anticipato, è stata un massacro.
Pronti-via e Zeke perde l’ennesimo fumble della propria – brutta – stagione ed ecco altri tre punti per Washington, ora sopra di un possesso: Dallas a dire la verità, avrebbe pure avuto l’opportunità di riacciuffare la parità in quanto a momenti Jaylon Smith riusciva a riportare in end zone un intercetto di Alex Smith ma, come avrete modo di vedere fra qualche parola, tutto ciò ha fruttato la miseria di tre punti in quanto nonostante l’ottima posizione di campo Dallas – dentro la linea delle 5 di Washington – non è riuscita a convertire in touchdown l’unico vero errore della partita degli ospiti.
Un altro punt di Washington ha preceduto l’ennesima disfatta della giornata dei Cowboys, ovvero un disastroso tentativo di fake punt su 4&10 dalle 24 di Dallas: Washington, finalmente conscia del significato di un’eventuale vittoria, ha affidato a Gibson il dovere di chiudere la partita ed il rookie, il fenomenale rookie, ha risposto presente con un fulmineo touchdown da 23 yards.
Dopo un punt dei padroni di casa è arrivato il secondo touchdown consecutivo, il terzo della giornata, per Gibson che questa volta si è superato con una cavalcata da 37 yards: totalmente nel pallone Dalton ha sparacchiato una pick six che, analogamente a quella di Watt, è stata messa a segno da un pass rusher, Montez Sweat.

Washington ha vinto con grande personalità una partita che di fatto li candida ad un ruolo da protagonisti in NFC East – so che non suona come complimento, ma fidatevi che l’intenzione era proprio quella – e, molto probabilmente, questa è la partita che convincerà il coaching staff a cavalcare fino al termine della stagione l’entusiasmante Gibson, rookie che ha confezionato la miglior prestazione della propria carriera proprio nella partita più importante della vita: con un pass rush di primissimo livello ed un attacco che con Smith sembra aver trovato un rispettabile equilibrio, Washington a mio avviso ha tutte le carte in regola per portarsi a casa una sorprendente qualificazione ai playoff, anche se dubito fortemente siano in grado di farci strada una volta dentro.

L’incubo di Dallas invece non sembra essere destinato a finire tanto a breve in quanto a questo punto non avrei idea di chi altro si potrebbe infortunare: con una linea d’attacco del genere rifornire lo scialbo Zeke di portate non è più possibile e, purtroppo, aggrapparsi ad un Dalton chiamato al miracolo di dover tenere in campo il più a lungo possibile l’attacco nel tentativo di preservare la – pochissima – brillantezza della difesa non credo sia realizzabile.

Pure questo Thanksgiving è andato e, se guardiamo il calendario, constateremo la più dolorosa delle verità: siamo già a dicembre, pure quest’anno.

3 thoughts on “NFL: un giorno del Ringraziamento particolare

  1. Per me Smith è sempre stato un QB sfortunato, non ha mai trovato una sua dimensione e forse non ha mai giovato alla sua carriera che le squadre che lo hanno panchinato o scartato siano successivamente arrivate al Superbowl… ma secondo me è un ottimo game manager e anche se non appartiene all’elite QB, è molto meglio di tanti sbandierati giovani, ma anche di suoi coetanei che hanno raccolto forse più di quello che avrebbero dovuto a causa di una infilata di partite on fire con la giusta squadra (Flacco? Foles?)

    • Contento x lui dopo il brutto infortunio subito.
      Coi 49ers senza quella commozione celebrale forse la sua carriera sarebbe stata totalmente diversa..

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