All’improvviso l’apocalisse: questa è la situazione attuale dei Baltimore Ravens.

Alla vigilia del Thanksgiving infatti, lo showdown che vedrà impegnati Jackson e soci arriva niente meno che contro i loro più acerrimi rivali, quegli Steelers cavalcanti l’onda in modo trionfale ed inattaccabile, unici in 50 anni assieme a Packers (2011) e Panthers (2015) ad arrivarvici undefeated, e pronti ad estromettere quasi definitivamente i “cugini” divisionali dalle discussioni playoff.

Già, incredibile a dirsi poco più di qualche settimana fa, ma Baltimore è oggi tutto fuorchè sicura di rientrare nel lotto delle magnifiche sette, avendo disperso per strada più che punti o sconfitte, quelle caratteristiche che le avevano permesso la recente rinascita nel gotha del football mondiale, ovvero sia varietà offensiva, mentalità resiliente e fiducia nei propri mezzi; peculiarità che per i motivi che andremo ad analizzare, ci paiono ora prossime allo zero.

Oltre a dover rincorrere una misera W per riagganciarsi al treno affrontando l’ostacolo più duro, si aggiungono a tale sforzo una serie di negatività difficili da gestire. In primis la pandemia in corso, che secondo gli ultimi rumors pare abbia attecchito molteplici membri dell’organizzazione, rendendo ad oggi dubbioso ogni tipo di preparazione alla gara; poi la frattura che ha estromesso dai giochi una stella come Stanley e gli infortuni che stanno fiaccando altri elementi determinanti quali Calais Campbell, Jimmy Smith e Brandon Williams, con Andrews e Judon acciacchi freschi di giornata. In più latente appare un nervosismo di fondo che non fa mai bene, esploso in tutta la sua forma domenica, allorquando le storie tese fra Harbaugh, Vrabel e Butler hanno vergognosamente portato al saluto rifiutato di fine match fra i due head coach, – sebbene l’accaduto in seguito sia stato ridimensionato – inequivocabile segno del complicato periodo che l’allenatore di Toledo sta vivendo insieme ai suoi.

Comunque osservando l’attuale record e il calendario, a parte la già accennata supersfida di metà settimana, le speranze di agguantare la postseason sono integre eccome, pure se Pittsburgh confermasse i pronostici adesso a senso unico. Ciò darebbe la possibilità ad una franchigia storicamente più pericolosa partendo “da dietro” nella rincorsa ai balli finali, di rientrare in ritmo e autostima piano piano, affrontando poi la testa di serie di turno con meno pretese e responsabilità, puntando successivamente alle vette estreme già raggiunte nelle epoche Ogden/Lewis/Flacco.

Il problema però sta proprio qua, nelle troppo alte aspirazioni, che stanno distruggendo un bellissimo giocattolo che aveva reso fieri entrambi i coaching staff nella vecchia tornata, quando le primissime posizioni di categoria sorridevano a Greg Roman, Don Martindale e proprio John Harbaugh, capo motivazionale se ce ne è uno. L’upset subìto dalla stessa Tennessee nel vecchio divisional ha acceso la spia delle menti dirigenziali, da DeCosta fino agli allenatori da sideline, arrivando persino al tycoon Bisciotti.

La “disattivazione” di Lamar Jackson e quindi di quasi tutta la O-zone da parte dei Titans, deve aver spinto il coach a virare di 360° per rendere meno monodimensionale un attacco esclusivamente schiavo del genio e sregolatezza dell’indiscusso MVP, convinto perciò che in futuro un’eventuale regular season senza patemi sarebbe stata seguita da un percorso più variegato nel win or go home.

Il tentativo di “normalizzare” il running quarterback si sta bensì rivelando un pericolosissimo boomerang, che annebbia le idee al giocatore durante l’inedita pressione negli snap, genera insicurezza in ambedue i reparti, crea preoccupanti amnesie clutch e toglie appunto quell’alone di sorpresa che aveva distinto la trascorsa campagna, dato che quest’anno i rivali si approcciano a Baltimore sin dallo start come ad una contender da titolo, qualifica che evidentemente ha abbassato il livello di guardia dell’intero roster, portando a galla una mentalità non vincente.

Le discussioni su Jackson sono infinite ma fuori luogo e prive di logica a nostro avviso, semplicemente perché di registi come lui sui quali proseguire i dibattiti comincia ad essere affollato il mondo intero, iniziando da Murray, avvicinato anch’egli a gossip MVP, per passare ai vari Watson ed Hill, senza contare Allen, Jones, i nuovi Tagovailoa e Burrow e i mammasantissima Wilson e Mahomes, tutti a proprio agio nello scramble. Inoltre dal college le future superstar corrono eccome, e fra i profili Heisman, leader di categoria e futuri primi giri, escludendo gli “antichi” Trask e Mac Jones, sia Lawrence che Ehlinger, Fields, Ridder o Zach Wilson vengono al pari di molti altri sfruttati in rushing mode secondo veri e propri playbook prestabiliti.

Non va nemmeno dimenticato l’upgrade che il ragazzone da Louisville ha immesso nel pacchetto Ravens, allorquando sostituì l’oramai spento Flacco, provocando quella scintilla necessaria per riattivare da solo un reparto privo di idee, conquistando ogni singolo compagno di squadra, attratto dalle sue sortite continue contro veri e propri muri, alla ricerca di pezzi di terreno.

Detto questo però, doveroso è ricercare anche i limiti – numerosi – che Jackson ha sin dall’inizio fatto trasparire dietro il centro, e che non permettono perciò di modificarlo in un passer normale.

Più facile ci apparirebbe un processo di trasformazione di Murray ad esempio, innanzitutto per preservarne un fisico minuto e nettamente in difetto rispetto all’armadio di Baltimore, e poi perché la qualità di rilascio che Kyler ha nel suo braccio dista anni luce da quella del collega, ragion per cui limitarne gli assalti in avanscoperta avrebbe più senso e andrebbe a trarre massimo rendimento dall’egregia visione di gioco che il former Oklahoma ha dato a vedere finora. In questi lidi invece, non ci sembra lontanamente possibile che il Lamar One Man Show 1.0 possa ripetersi a condizioni tattiche diverse da quelle del 2019.

Per avvicinarsi ai sommi livelli offensivi di Chiefs, Saints o Steelers non basta eliminare schemi trick per assecondarne difatti la verve, se poi egli stesso non guarda aldilà degli spazi verdi da percorrere a piedi come primaria opzione, perdendo così quei decimi di secondo preziosi che fanno svanire gli smarcamenti in avanti. Visionando poi il depth chart dei Cardinals, notiamo inoltre delle differenze madornali, con Hopkins, Fitzgerald e Kirk tris d’assi che farebbe felice chiunque e quindi non paragonabili alla moria di target decenti a disposizione di Jackson.

Le molteplici flag al limite a vantaggio del big three a tinte Steelers, di Evans, Michael Thomas o degli stessi portenti ad Arizona, arrivano per la loro capacità a sgusciare via e per l’attitudine NFL a spettacolarizzare il prodotto, tutelando l’outstanding play a discapito della resistenza difensiva: tutto a svantaggio di un team alla Ravens.

Se d’altronde Andrews è l’unico top performer fidato persino sul lungo è tutto dire, così come lo stesso Marquise Brown, sovente deluso per la poca “considerazione” tecnica, sta fallendo prove su prove, droppando palloni basilari nelle scarne volte in cui è chiamato in causa, e se il redivivo, voglioso ma anche arrugginito Dez Bryant – descritto dominante nelle practice settimanali – lo sopravanza spesso ci viene da riflettere; ipotizzare infine Snead o Duvernay in lizza per il ruolo di wr n.2 fa semplicemente ridere.

La crisi in avanti di Baltimore va di pari passo pure dalla scarsa forma dei running back, e il primato NFL di ben 4 uomini con 200 plus iarde e la quasi precisa divisione dei compiti e spartizione di portate fra Ingram, Edwards e Dobbins non presuppone purtroppo risultati soddisfacenti, con l’ex Saints ultimamente sparito dai radar di Harbaugh a vantaggio del rookie.

Altra pecca clamorosa è un asfittico game plan, che se arriva con consuetudine ad ottenere terzi down, sfruttando l’arma Lamar che catalizza l’attenzione, non riesce più a permettere un costante controllo dell’orologio e giocate a sensazione da fine match, “obbligando” il qb ad incartarsi con l’ovale in mano, facendogli perdere attimi preziosi per fuggire dal sack ed iniziare le famigerate scorribande. Esempio lampante le due catastrofiche L su Pittsburgh e Tennessee (inframezzate dall’ottima prestazione a Indianapolis e la pessima dal maestro Belichick), la prima avvenuta dopo una grande partita, persa però proprio per la differente natura delle due rivali, l’una fredda e glaciale nei drive scottanti e l’altra confusionaria con troppe ma farraginose idee, e l’altra buttata al vento per un inutile big play in vantaggio rassicurante, la classica penalità su un 3/1 vitale e un inquietante crollo generale che sta investendo ogni settore, in primis una retroguardia talmente stanca dalle “stecche” del comparto avanzato da fallire 4 tackle su AJ Brown e aprire il varco finale ad Henry.

Baltimore a nostro parere è perciò destinata a vivere e morire come sempre fatto nella sua giovane ma gloriosa epopea, fatta di ferocia difensiva, corse, clock control e partite punto a punto, abbandonando l’idea di cambiare pelle e raggiungere le vette di Kansas City e Pittsburgh, le armi delle quali sono qui impossibili da imitare.

D’altronde se la maggior parte del monte ingaggi (55 milioni) è impegnato in difesa su fenomeni quali Judon, Peters, Campbell, Humphrey e Ngakoue un motivo ci sarà, aggiungendo pure che Queen è pronto ad ereditare la legacy formato casacca 52.

I Ravens sono a un bivio; evitare il fallimento epico che il mancato accesso ai playoff provocherebbe è l’obiettivo primordiale di Harbaugh e i suoi, rimettendosi a testa bassa e mirando alle vecchie armi, nonostante una maggiore attenzione altrui, augurandosi ovviamente che il trio via ground ritrovi la condizione ideale e i target in ricezione riescano a liberarsi soprattutto sul breve, per mantenere il possesso ovale e dettare le condizioni del match.

Puntare al Grande Ballo però, con la concorrenza di oggi, ci sembra purtroppo fuori portata dei Corvi.

One thought on “Il bivio dei Baltimore Ravens

  1. Ottima analisi, il calendario non è sfavorevole
    ma l l’avversario principale sono loro stessi.
    Oltre che in difesa si sarebbe dovuto investire sui ricevitori, uno a livello di hopkins intendo.
    Riguardo lamar non so se sia una scommessa vinta o persa , certo ad oggi è involuto

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.