Mi impegno spesso a non storpiare titoli di film canzoni o serie tivù nel tentativo di creare un titolo originale per i miei articoli, ma visto che oramai Natale è alle porte – se Natale si può definire, anche se io e le feste non abbiamo poi questo gran rapporto – perché non servirsi di un titolo di uno dei più grandi classici del periodo per introdurre la più grande sorpresa della stagione?

Scrivo da anni – troppi – su questo sito ed una grande costante nella sezione commenti è stata la più o meno oggettiva superiorità della NFC sulla AFC: quanti di voi, vuoi per frustrazione o per provocazione, mi hanno lanciato almeno una volta il classico «vorrei vedere (inserire nome squadra AFC) come sarebbe messa ora se giocasse in NFC»?
Tanti, e non dovete assolutamente vergognarvene, in quanto sotto sotto la pensavo anche io così: la NFC, la conference dei super-Saints, dei sempiterni Seahawks, dei Packers che sono quelli che hanno Aaron Rodgers, le incognite matte della NFC South, i Cowboys di Dak e Zeke, una a turno fra Vikings e Bears, i 49ers, i Rams, insomma, tutte le squadre – tranne quella di football – nell’ultimo lustro hanno avuto modo di far sentire la loro voce in NFC.

La AFC, invece, cos’era? Era quella conference in cui una division era dominata di default dai New England Patriots, una division così a senso unico da costringermi a leggere migliaia di volte il più pigro dei commenti, ovvero «I Patriots sono diventati i Patriots principalmente grazie alla loro division», ma non solo: la AFC era anche quel luogo magico in cui la disfunzionalità di Bengals e Browns era racchiusa in una stessa division, la conference della AFC South, locus amoenus dove Jaguars, Texans e Titans si sono dati il turno per il titolo di peggior squadra della NFL e, non dimentichiamolo, casa della AFC West, la division dove militano i Chargers.
Occorre approfondire o state iniziando a comprendere cosa significhino per me i Chargers?
Insomma, secondo autorevoli pareri, la AFC era il “posto giusto del mondo dove nascere” se si coltivavano ambizioni playoff – vincere sul serio in AFC nel primo ventennio di questo secolo è stato parecchio complicato per colpa di VoiSapeteChi -, mentre in NFC ogni singola vittoria valeva doppio, valeva l’acritica ambizione – ed arroganza – di criticare gli dei del football per aver condannato la propria squadra a quel supplizio chiamato National Football Conference mentre «I Patriots vincevano i Super Bowl perché in division con i Jets».

Poi il 2020 ha cambiato pure questo paradigma, impossessandosi dell’unica certezza presente nella scatola cranica sia di tanti appassionati sia nei meandri delle coscienze di molti esperti portati a credere che sì, la AFC fosse oggettivamente più facile, come se in questa lega le cose fossero poi veramente destinate a durare chissà quanto.
Dopo dieci settimane la situazione in AFC è questa: sapete che sta per arrivare l’elenchino puntato.

  • Nove squadre hanno vinto almeno sei partite;
  • In ogni division almeno due squadre hanno vinto sei partite;
  • Due squadre hanno vinto più di otto partite;
  • Sei squadre si trovano appaiate sul 6-3;
  • Nel 2019, a questo punto della stagione, solamente cinque squadre AFC avevano accumulato più di sei doppievù;
  • Nel 2018, solamente quattro.

No, in questo articolo non andrò a paragonare la AFC con la NFC in quanto a mio avviso confronti del genere non hanno alcun senso, soprattutto a metà stagione, ma credo sia doveroso concentrarsi per un attimo su ognuna delle nove sorelle che si daranno battaglia da qui alla fine per i sette – e non più sei – posti playoff: potrebbe tranquillamente essere che l’anno prossimo, sempre a questo punto della regular season, le squadre NFC con almeno sei vittorie siano dieci, pertanto che senso ha cimentarsi in affrettati e mal ragionati paragoni in una lega chiamata Not For Long in cui l’unica certezza è la crescita del fatturato?

Al momento a farla da padroni sono i Pittsburgh Steelers dall’alto del loro 9-0, record però guardato con ingiusto sospetto da buona parte del mondo NFL: non sono sicuramente perfetti come può suggerire lo zero sotto la voce sconfitte, ma vi garantisco che se devono ancora perdere una partita un motivo ci sarà e no, non è il loro calendario, in quanto hanno avuto modo di battere Titans, Ravens e Browns, squadre che fanno parte del terribile sestetto a sei vittorie.
Pittsburgh ha avuto dei passaggi a vuoto, è indiscutibile, ma in un modo o nell’altro è riuscita sempre ad uscire dal campo con un gigantesco sorriso dato, a mio avviso, dalla consapevolezza di aver messo a fianco della miglior difesa della lega un attacco competente guidato da un quarterback a cui a gennaio non tremeranno le ginocchia: non credo siano ancora la miglior squadra della NFL, ma ci sono dannatamente vicini.

Come diceva un filosofo noto per il proprio eccentrico stile di vita, per gli outfit notoriamente sobri e per il sapiente uso della figure four leglock, to be the man you gotta beat the man: nessuna squadra incarna al meglio il concetto di The Man rispetto ai Kansas City Chiefs, campioni in carica ed attualmente un gradino sotto agli Steelers nelle graduatorie a causa di una sorprendente sconfitta rimediata contro Las Vegas. Parlare di loro con freschezza è al momento impossibile, tutto ciò che vi basta sapere è che Patrick Mahomes sta giocando meglio del solito e, per esperienza personale, quel solito molto spesso era semplicemente troppo per qualsiasi altra squadra: non me ne vogliano i tifosi degli Steelers e gli stessi Steelers, ma i campioni in carica sono i campioni in carica per un motivo e quest’anno, a questo punto della stagione, sono ben più spaventosi rispetto a quanto lo fossero 365 giorni fa.

Buffalo… oh, Buffalo: questi erano ad un Hopkins di distanza dall’affacciarsi al bye week sull’8-2, record che lascia veramente poco spazio all’immaginazione.
Dopo un primo mese esaltante ed una flessione protrattasi per un paio di settimane Buffalo sembra aver ritrovato la retta via con l’esaltante vittoria sui Seattle Seahawks: la sconfitta patita contro Arizona non cambia la realtà dei fatti ed il valore di questa squadra, squadra il cui salto di qualità sarà misurato solamente una volta arrivati ai playoff, parte del “calendario” nella quale credo potranno giocarsela alla pari contro chiunque. La difesa, soprattutto, sta dando prova di decisi passi in avanti e nonostante il fuorviante trentello rimediato nelle ultime due settimane sarà il vero ago della bilancia ai playoff: non vuoi, non puoi giocartela punto a punto contro Patrick Mahomes ed i Kansas City Chiefs.

Apriamo ora il capitolo sulle sei sorelle a quota sei vittorie: seguirò un ordine che nella mia testa coincide con l’ordine decrescente del valore assoluto delle varie squadre.
Si ha sempre fretta e voglia di parlare di cose belle, no?

Possiamo definire i Miami Dolphins come la più grande sorpresa del 2020?
Ah no, scusate, avevamo stabilito ad inizio articolo che tale onore fosse riservato alla ritrovata “competitività” della AFC.
Lo ammetto, ero convinto che il panchinamento di Ryan Fitzpatrick potesse sconquassare gli equilibri in campo – e non – di una squadra che sembrava aver trovato sé stessa, ma sbagliavo, in quanto Ryan Fitzpatrick non gioca nel reparto responsabile del loro successo: la difesa di Miami si è trasformata in una delle più grandi potenze della lega principalmente grazie all’abilità – e genio – del proprio allenatore, in quanto questo reparto esprime sul campo la personalità del proprio condottiero traducendone magnificamente l’acume tattico in produzione inopinabile.
Poter ora contare su un quarterback fresco, frizzante, preciso ed affidabile come Tagovailoa non può che aiutare, in quanto l’ex-Alabama – che non voglio definire come game manager, termine che odio – sta consistentemente mettendo i suoi nella posizione di giocarsela alla pari e vincere contro chiunque: nelle tre partite giocate da titolare Tua ha trascinato Miami al successo contro Rams, Cardinals e Chargers, non esattamente il trittico più facile con il quale assaggiare il campo evitando sistematicamente qualsivoglia errore.
Miami è e sarà una squadra incredibilmente rognosa perché, apparentemente, è allergica allo sbaglio essendo al contempo estremamente abile nell’indurre gli avversari ad esso: prima o poi mi aspetto un calo fisiologico, soprattutto perché stiamo sempre parlando di una compagine guidata da un rookie, ma non vorrei mai trovarmeli davanti ai playoff.

Stanno senza ombra di dubbio vivendo un momento difficile, ma il 2019 ci ha insegnato a non permetterci mai di dare per morti i Tennessee Titans: Tennessee, al momento, sta faticando in entrambe le fasi del gioco e se le difficoltà difensive erano in qualche modo pronosticabili l’atipica opacità offensiva sta cominciando a costar loro partite. La perdita di Lewan si sta facendo sentire sia sulle corse che nel gioco aereo, ma sono convinto che questa squadra abbia tutte le carte in regola per rimettersi sulla giusta carreggiata e tornare a macinare vittorie: aver fondato la propria filosofia sul gioco di corse e sul mondo da esso aperto comporta anche vantaggi di questo genere, poiché a mio avviso la loro è una fondazione solida alla quale appellarsi nei momenti di massimo sconforto per ritrovare la via del successo.
Aspettatevi dosi massicce di Derrick Henry nelle prossime settimane, ancor più massicce del solito.

Il mio dubbio, se si parla di Indianapolis Colts, risiede tutto nel quarterback: potranno fare strada ai playoff, ammesso si qualifichino, nonostante l’inconsistenza di Rivers? Troveranno un modo per compensare agli inevitabili errori oramai diventati sinonimo del suo cognome?
Indy arranca in attacco a giornate alterni ma, fortunatamente, può sempre contare su una difesa che gioca ad una velocità insensata e che grazie a buone dosi di talento e sovrumana intensità riesce a limitare qualsiasi attacco incroci il loro percorso: Reich deve trovare un modo per rendere più efficiente il gioco di corse, in quanto togliere quante più responsabilità possibile a Rivers credo sia la miglior idea in assoluto per togliersi grosse soddisfazioni.

Mi piacciono i Las Vegas Raiders.
Tutto qua? No, però mi sembrava giusto esplicitarlo, ed anzi, ora mi concedo pure il lusso di ribadirlo: mi piacciono i Las Vegas Raiders!
Las Vegas è una squadra incredibilmente ben allenata, fisica e con una chiara idea di football che sta vincendo partite nei modi più disparati possibile: punto a punto contro in uno shootout contro i Chiefs? Check. Guadagnandosi ogni singola iarda in condizioni climatiche disastrose contro i Browns? Check. Distruggendo sulla linea di scrimmage i molli Broncos? Check. Sfruttando gli errori e le imprecisioni degli allora arrugginiti Saints? Check. Assecondare i Chargers nel loro chargerismo e batterli nel modo più beffardo possibile? Check.
Las Vegas sa adattarsi alla situazione – aspetto molto positivo in ottica playoff – ed il proprio quarterback, il bistratto Derek Carr, raramente commette errori in grado di compromettere le possibilità di vittoria: pure questo, in ottica playoff, è perlomeno incoraggiante.

Toccata e fuga in Maryland, per parlare dei “miei” Ravens: Baltimore è troppo, troppo, troppo prevedibile ed oramai gli avversari hanno capito come contenere l’esplosività di Lamar Jackson. L’assenza di mani affidabili non permette ai Ravens di cambiare il proprio modo di giocare e, di conseguenza, adattarsi alle situazioni: Baltimore ha solo un modo di vincere, quello di cui tutti siamo al corrente e quando gli avversari trovano un modo di otturare i gap ed inceppare i meccanismi del gioco di corse, molto probabilmente Jackson e soci non saranno in grado di vincerla poiché dovranno fare maggior affidamento ai passaggi.
La difesa, poi, non porta consistentemente pressione – senza mandare a blitzare pure il vescovo – ed eccoci qua, davanti ad una squadra a corto di idee e ricolma di infortuni in ruoli chiave che a questo punto non credo sia destinata a far strada ai playoff.
Ammesso ci si qualifichino.

Chiudiamo con i Marroni di Cleveland, i Cleveland Browns: il cervello umano tende a adattare la realtà ai fatti più recenti ed ai propri pregiudizi, gettando frettolosamente in secondo piano aspetti altrettanto importanti – ma più attempati – indispensabili per formulare giudizi sensati. Tutto ciò per dirvi che se ci basassimo solo sulle ultime due partite il quadro clinico dei Browns non appare particolarmente incoraggiante, ma occorre tenere presente che entrambe le partite sono state giocate in condizioni meteorologiche disastrose e che con il ritorno di Chubb sono equipaggiati per aver successo anche su vento ed acqua. La difesa, anche se ben lontana dalla perfezione, può contare sul miglior pass rusher della lega, Myles Garrett, mentre l’attacco come già detto è in grado di sfiancare qualsiasi reparto difensivo a suon di corse rese possibili dalla brillantezza del duo Chubb-Hunt: i Titans ci hanno insegnato non troppo tempo fa che vincere a gennaio cavalcando i propri running back sia possibile anche nel 2020, perciò attenzione a questi Browns.

Alle spalle di queste nove realtà troviamo squadre come Patriots, Chargers, Texans e Bengals, squadre con il talento – in panchina o in campo – necessario per giocarsela ad armi pari contro chiunque, squadre il cui record è in un certo senso bugiardo e che ci mettono davanti ad una conference nella quale, Jets a parte, ogni squadra sembra poter essere inserita in una realistica discussione playoff: non saprei dirvi se il futuro della AFC sarà così roseo – soprattutto per noi spettatori – o se tale successo altro non è che un altro sintomo di questo incurabile mostro chiamato 2020, ma è indubbio che affermare che questa conference sia inferiore alla sorella è perlomeno anacronistico, anche per chi si è sempre dilettato in tale esercizio.
Eccezion fatta per Steelers e Chiefs, qualificarsi ai playoff in questa conference sarà di per sé una piccola impresa alla quale noi, annoiati spettatori assetati di sangue, non avremmo mai creduto di poter assistere già da quest’anno.

5 thoughts on “Una poltrona per nove: la AFC non è solo Chiefs

  1. Abbiamo elogiato DA Costa per l ottimo lavoro svolto in questi anni, ma faccio fatica a comprendere il perche’ sia tralasciato il discorso WR. Dopo il meraviglioso duo boldin t.smith
    e’ stato un susseguirsi di ricevitori cambiati ogni anno.. forse solo steve smith fa eccezione.
    Troppa responsabilita’ su lamar…
    Vorrei un tuo autorevole parere

    • Se il parere è mio sicuramente non è autorevole!
      Ricevitori… è dura. Baltimore ha costruito un receiving corp funzionale al proprio gioco, che come ben saprai privilegia le corse, perciò ricevitori come Boykin e Snead sono molto brillanti – e ben disposti – nel run blocking, aspetto di gioco fondamentale per Baltimore mentre Brown, il piccolo Brown, è stato preso come “Tyreek Hill”: tutto potrebbe funzionare se solo a) Jackson smettesse di mancare Brown in profondità – dove Brown è spesso e volentieri libero – b) il running game fosse quello dell’anno scorso.
      L’idea di Baltimore era quella di costruire un receiving corp attorno ad Andrews e Brown completandolo con ottimi run blocker – Snead e Boykin, che poi Boykin è pure una buona presenza in red zone per il fisico – e mani affidabili, in quanto Duvernay e Proche sono stati presi al draft principalmente perché sure handed.
      Il running game, come abbiamo avuto dolorosamente modo di constatare, non sta filando come quello dello scorso anno e tale inefficienza sta avendo un effetto domino sull’intero attacco dei Ravens: mi mancano i tempi in cui durante l’offseason prendevamo gente come Boldin e Steve Smith…
      Sono preoccupato, fra le tantissime cose, per l’apparente perdita di entusiasmo di Marquise Brown, mi brucerebbe il sedere andare a letto consapevole che lo scorso anno avremmo potuto prendere A.J. Brown e Metcalf al suo posto.

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