BEST

DALVIN COOK

Alcuni interessanti collegamenti tra le vittorie dei Vikings e le prestazioni di Dalvin Cook si erano già intuiti lo scorso anno, sancendo la convinzione che la squadra potesse percorrere una distanza proporzionale al carico di utilizzo che il running back avrebbe potuto sopportare rimanendo produttivo. Minnesota ha ottenuto il risultato più eclatante dell’ottava domenica di gioco comprendendo di possedere delle potenzialità del tutto simili a quelle della squadra da playoff vista nel 2019, per la quale il primo pensiero era correre per non forzare Kirk Cousins ad esporsi verso errori troppo costosi, più probabili su un maggior numero di tentativi, tenendo di conseguenza la difesa onesta.

Venti giorni dopo aver lasciato la gara contro Seattle per infortunio, il piano di gioco ha investito l’ex-Florida State con 30 chiamate su corsa, il massimo coinvolgimento stagionale, una strategia che ha prodotto 163 yard e 3 touchdown, cui se n’è aggiunto un quarto su ricezione dopo una gita di 50 yard in mezzo a blocchi e difensori poco competenti nel placcare. La fantastica giornata di Cook ha permesso all’attacco di concludere in meta i primi quattro drive giocati tenendo la gara in linea di galleggiamento, arrivando a confezionare l’upset nella temibile Frozen Tundra. Il running back ha acceso un’autentica sfida nella sfida rispondendo a due mete di Davante Adams – altro grande protagonista del confronto, per poi firmare il primo vantaggio porpora del pomeriggio in apertura del terzo periodo ed effettuare la corta ricezione in uscita dal backfield per il guadagno che ha spezzato la partita in due, lasciando poi alla maturanda difesa il compito di terminare la missione in maniera adeguata.

La formula ripete in tutto e per tutto la filosofia dello scorso campionato, con la differenza del dover attendere la crescita di un reparto difensivo inesperto ed il ritorno in piena salute di Cook, e l’importante affermazione presso la sede degli arci-rivali Packers conferma il come sia proprio questa la strada giusta. La chiara superstar del roster è l’unico mezzo per rendere l’attacco produttivo e in grado di guadagnare in maniera sistematica, sfociando in giornate dove Cousins può permettersi di lanciare solamente in 14 occasioni completandone il 78%, limitando i possibili turnover in cui tende ad inciampare spesso.

DOLPHINS DEFENSE

Quanto mostrato sul campo di casa da parte dei Dolphins porta con sé degli interessanti intrecci con il piano di gioco studiato dai Patriots in occasione del Super Bowl LIII. In quell’occasione la mostruosa macchina da punti chiamata Rams aveva segnato solamente tre punti facendosi divorare dagli schemi tattici pensati proprio da Brian Flores, il reale Mvp di quella partita, nonché il medesimo che ora riveste la massima carica di allenatore sulla sideline della sorprendente Miami. Evidentemente Flores ha capito meglio di altri che se Goff viene messo fuori ritmo l’attacco losangeleno è destinato ad incepparsi clamorosamente, e l’esecuzione apportata dai suoi ragazzi ha prodotto esattamente il tipo di risultato desiderato, vincendo una partita assurda se relazionata alla pochezza offensiva mostrata dal battesimo professionistico di Tua Tagovailoa.

Il punteggio finale di certo non lo dimostra, ma i Rams sono letteralmente stati cancellati dal campo per tutta la durata del primo tempo, frazione nella quale hanno commesso ben quattro turnover causati dall’estrema pressione che la linea offensiva ha dovuto fronteggiare, spesso senza potersi opporre adeguatamente. Flores ha chiamato schemi atti a generare pressione nel 33% dei tentativi eseguiti da Goff, una quantità che il quarterback californiano raramente aveva affrontato in precedenza soccombendo alla sensazione di confusione e fretta che ha poi prodotto i palloni persi che hanno deciso una gara dove l’attacco di Sean McVay ha condotto di gran lunga tutte le categorie statistiche, eccetto la più importante, sancita dai numeri scritti sul tabellone luminoso.

La difesa di Miami ha così giocato un ruolo di capitale rilievo nella prima partita da titolare di un ragazzo reduce da un grave infortunio e alle prese con il sempre difficile esordio nella Nfl, tra l’altro segnando grazie al ritorno di fumble di 78 yard effettuato da Andrew Van Ginkel. Il bottino sarebbe anche potuto essere più sostanzioso se Kyle Van Noy non fosse stato placcato ad una yard dalla endzone e se Eric Rowe – evidentemente qui gli ex-Patriots funzionano – non avesse fatto cadere a terra un intercetto che avrebbe potuto riportare comodamente in meta. Grazie al suo ottimo piano difensivo ora Flores si gode il primo record superiore al 50% di vittorie della sua breve esperienza ai Dolphins, non certo un’abitudine consolidata per una delle franchigie maggiormente assenti dai playoff negli ultimi vent’anni.

LE SECONDE LINEE DIFENSIVE DI PITTSBURGH

Quando Steelers e Ravens si incrociano sono dolori, si sa, il tasso di acidità della rivalità è sempre alto ed aumenta esponenzialmente quando c’è una division da portare a casa. In una giornata dove l’attacco ha faticato a trovare la consueta produzione la vittoria di Pittsburgh porta una firma quasi esclusivamente difensiva, sottoscritta attraverso i turnover che hanno di fatto deciso la gara. In un confronto dove il reparto guidato da Ben Roethlisberger non ha messo punti a referto per i primi trenta minuti di gioco è stato determinante l’intercetto riportato in meta da Robert Spillane, istintivo nel precedere la destinazione del lancio del solitamente accurato Lamar Jackson e svelto nel percorrere le 33 yard che lo separavano dalla meta per la prima segnatura del pomeriggio, un’azione che va ad aggiungersi agli 11 placcaggi portati a conclusione e alla copertura di un fumble decisivo occorsa nel quarto periodo, segno che il piano di contingenza stilato da Mike Tomlin per sostituire Devin Bush è stato evidentemente ben pensato.

Alla lista delle giocate decisive procurate da sconosciuti si è volentieri aggiunto pure Ali Highsmith, che a differenza di Spillane ha avuto la soddisfazione di veder squillare il cellulare il giorno del draft, altro componente secondario del settore linebacker capace di andarsi a prendere un ovale lanciato corto da Jackson agevolando non poco il lavoro offensivo, vista l’ottima posizione di ripartenza poi sfociata nel touchdown che ha ridotto le distanze a soli tre punti. Infine Isaiah Buggs, proveniente dai bassifondi della tornata di selezioni di due stagioni fa, ha realizzato l’azione che ha deciso la gara acciuffando lo sfuggente Jackson su un quarto down a due minuti dal termine, con la difesa stanca ma concentrata nel difendere con i denti i quattro punti di vantaggio che hanno infine fissato il punteggio finale, confermando l’imbattibilità di una squadra attesa dai pronostici al ritorno nel giro dei playoff, ma che non si pensava potesse proporre una simile continuità.

Vince ancora la politica di Tomlin, che una possibilità non l’ha mai negata a nessuno e sa che per eccellere non serve necessariamente essere una scelta alta ma mostrare in allenamento quanto si desidera quel posto del roster dei 53 definitivi, una filosofia che ha spesso pagato dazio quando gli infortuni si sono accumulati in maniera preoccupante. Ora è arrivato Avery Williamson dai Jets perché si sa, la profondità di ogni ruolo non è mai abbastanza, ma le seconde linee difensive di Pittsburgh hanno ampiamente dimostrato, e non certo a partire da questa stagione, di poter contribuire in via decisiva alla risoluzione positiva di uno scontro divisionale che spesso vale un miglior posizionamento nella griglia dei playoff.

HONORABLE MENTION: DK METCALF

Passano le domeniche e più sembra improbabile riuscire a fermare lo strapotere fisico imposto da DK Metcalf verso chiunque gli si pari dinanzi. Nella decisa affermazione dei Seahawks contro i 49ers la giovane superstar ha distrutto ancora una volta le secondarie opposte con una ricezione ed accelerazione da puro centometrista, e conquistato l’ennesimo pallone con il defensive back appiccicato addosso, tanto per rimarcare la sua propensione a catturare qualsiasi ovale possa definirsi contestabile dal marcatore diretto. 12 passaggi ricevuti su 15 scagliati in sua direzione, 161 yard e 2 mete, e Seattle naviga tranquilla al top della Nfc West mentre la concorrenza perde terreno.

WORST

CLEVELAND BROWNS

Pomeriggio domenicale decisamente magro quello prodotto dai Browns, che hanno perso uno scontro senz’altro interessante per le future economie dei playoff nella Afc giocando ampiamente al di sotto delle aspettative in tutte le fasi del gioco. La difesa si è fatta troppo spesso superare dalla fitta rete di passaggi corti messa in piedi dai Raiders per tutto il primo tempo, per poi subire pesantemente le corse di Josh Jacobs nella seconda fase della gara ottenendo un notevole svantaggio a livello di tempo trascorso in campo, ben 22 minuti contro i 37 di Las Vegas. Il cui reparto offensivo è invece riuscito a segnare solamente 6 punti in altrettanti drive, concretizzando il minor numero di serie giocate in singola partita negli ultimi trent’anni di football.

L’iniziale battaglia di field goal ha visto gli equilibri piegarsi nella ripresa, quando i Browns hanno concesso ben sette conversioni consecutive di terzo down in otto tentativi andando inoltre ad elargire pieno successo in fase di quarto down, una statistica letale in una gara così fortemente condizionata dagli elementi metereologici. Non era certo questa l’occasione per mettere consistentemente il pallone in aria, tuttavia quando i Browns hanno scelto di farlo sono arrivati ben quattro ovali caduti a terra, creando tutte quelle opportunità mancate che hanno fortemente inciso sul risultato finale senza peraltro riuscire a mettere in pensiero una difesa nero-argento che aveva concesso almeno 24 punti in tutte le ultime sei uscite.

Baker Mayfield non ha fatto seguire conferme alla miglior partita di carriera, che egli stesso ha salvato dalle pericolose ombre di Cincinnati, collezionando sole 122 yard con il 48% di passaggi completati. Chiaro che non si possa emettere un giudizio completo su un reparto che ha perso Odell Beckham per la stagione e che attende con ansia il rientro di Nick Chubb, il quale in una gara da giocare meggiormente a terra come questa avrebbe certamente fatto comodo sia per migliorare il tempo di possesso che per fornire quella possibilità di big play che detiene nelle sue corde, ma al momento l’attacco sembra semplicemente fermo a cercare insistentemente Jarvis Landry (4 ricezioni su 11 tentativi) quasi fosse l’unica opportunità percorribile verso la continuità offensiva.

Non aiuta una difesa troppo facilmente perforabile con il gioco intermedio, e che presenta ancora troppe tendenze nel perdere le coperture sui ricevitori e a mancare importanti placcaggi dietro la linea di scrimmage. Contro i Raiders il reparto è riuscito a forzare un solo punt, l’unico delle ultime due settimane, non certo una statistica sfavillante per una squadra che sta disperatamente cercando di tornare ai playoff, e che si aggrappa ad un record sorprendentemente positivo e ad un resto di calendario molto agevole, se non altro perché quando poi si fa sul serio rischiano di mancare gli strumenti essenziali per confrontarsi opportunamente.

LOS ANGELES RAMS

La netta differenza nell’approccio tattico alla gara ha visto i Rams sbriciolarsi dinanzi alla pass rush di Miami, che ha così portato a casa una gara che sulla carta non pareva essere così agevole da conquistare. Nulla ha funzionato nella preparazione offensiva del piano di gioco, i Dolphins hanno surclassato il fronte avversario attraverso l’uso massiccio dei blitz e delle coperture a uomo, una miscela esplosiva che ha causato tutta l’eccessiva fretta nelle decisioni prese da Jared Goff, più volte costretto all’errore tanto era il panico che girava attorno alla tasca quasi ad ogni azione.

Non è stato un problema di produzione ma di esecuzione, ed è allucinante leggere e tentare di interpretare le 471 yard di total offense prodotte da Los Angeles contro le sole 145 sortite dall’esordio di Tua Tagovailoa nella stanza dei bottoni avversari. Quattro turnover in totale, Goff mai realmente entrato in partita dopo un inizio burrascoso, un fumble riportato in meta ed un touchdown subito su ritorno di punt sono tutti episodi che hanno costruito la narrativa della gara ed escluso la difesa dei Rams da tante delle responsabilità, che vanno invece verso un quarterback che quando viene portato fuori dalla zona di comfort tende a perdersi nella confusione più totale, nonché verso la rinuncia da parte di McVay nel dosare meglio passaggi e corse, abbandonando proprio queste ultime in occasione della ripresa.

Ne sono derivate 61 chiamate di passaggio per 355 yard pressoché inutili, quando un migliore equilibrio offensivo avrebbe consentito di colpire la resistenza contro le corse di Miami, una delle peggiori di tutta la lega. Il risultato non rende inoltre giustizia ad una difesa che ha tenuto i Dolphins al 30% in fase di conversione di terzo down concedendo solamente 17 dei 28 punti subiti, oltre ad aver creato a sua volta due turnover e contribuito al +13 in termini di minuti trascorsi in campo dagli attacchi, un’altra statistica irreale se relazionata al risultato finale.

Una squadra molto, troppo alterna, che vale sicuramente i playoff della Nfc ma che deve sbrigarsi a trovare la propria identità definitiva, cercando di capire se le decisioni prese durante la scorsa offseason a causa di un salary cap a dir poco intasato possano davvero essere quelle corrette.

LOS ANGELES CHARGERS

No, non è il paragrafo dei Falcons o dei Lions, eppure i Chargers sono riusciti a mettere assieme una sinistra combinazione delle tendenze delle due squadre appena menzionate. Si inventano nuovi modi per perdere le partite, come Atlanta, e non riescono a gestire i loro a volte generosi vantaggi, proprio come Detroit. Domenica la maledizione si è ripetuta con preoccupante puntualità, sancendo la quarta gara consecutiva nella quale Los Angeles ha sprecato un vantaggio di almeno 16 punti, tanto per scrivere nuove pagine di storia dal lato sbagliato del libro, e non sempre capita di poter vincere pur facendosi rimontare da un 16-0 iniziale, perché non tutte le settimane si affrontano squadre mediocri come Jacksonville.

C’è evidentemente qualcosa che cambia nella mentalità dei giocatori di Anthony Lynn, probabilmente troppo rassicurati dal fatto di trovarsi sopra di due touchdown in un qualsiasi momento della partita, il che offre la motivazione principale di un 2-5 che non può non essere frustrante, se non altro perché quel bilancio sarebbe addirittura potuto essere positivo e rappresentare un segnale ancora più incoraggiante per una squadra costretta ad inserire il proprio rookie quarterback in campo sostanzialmente senza preavviso. I Chargers si erano misurati più che adeguatamente contro due squadre da playoff della Nfc, Tampa Bay e New Orleans, hanno ugualmente passato l’ostacolo Jacksonville rimediando in qualche modo ed hanno infine sprecato un 24-3 di vantaggio contro Denver protrattosi fino alla metà del terzo quarto di una gara divisionale, quindi più importante delle altre.

La difesa ha concesso un numero sicuramente eccessivo di big play all’asfittico attacco dei Broncos, la corsa di 55 yard portata a termine da Philip Lindsay ha certamente pesato sul cambio di inerzia della gara e a nulla è servito intercettare Drew Lock nel drive immediatamente successivo, perché è poi emersa una latitanza nella cattiveria utile a finire la partita evidenziata dal turnover commesso da Herbert in endzone nonostante la ghiottissima posizione di campo derivata. I Chargers sono lentamente crollati concedendo una serie di 80 yard ed un’altra giocata deleteria, la ricezione di 40 yard di DeSean Hamilton, fino alla beffa conclusiva, con un solo secondo rimasto da giocare per il sorpasso definitivo.

Il tutto dimostra che di talento ce n’è, ma senza quell’innata capacità di azzannare la gara quando serve i playoff sono destinati a rimanere lontani. E i rimedi, in tale caso, passano solo ed esclusivamente dalla mentalità di squadra, una questione che rischia di correlarsi strettamente alla futura reputazione di Lynn.

HONORABLE MENTION: TENNESSEE TITANS

Perdere contro gli Steelers di questi tempi ci sta, seppure per un field goal mancato che avrebbe mandato la gara al supplementare, perdere invece contro i Bengals ed entrare in una mini-striscia di due stop in fila stona invece parecchio con le alte ambizioni della squadra di Mike Vrabel. Nessun sack a referto contro una delle peggiori linee offensive della lega, una difesa incapace di fermare le avanzate di Joe Burrow e compagni, rimasti in campo per 35 minuti contro i 24 dei Titans, e il peccato di non aver sfruttato di più A.J. Brown, semi-invisibile dopo aver dominato la ben più forte difesa di Pittsburgh solo pochi giorni prima.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.