E’ il 20 marzo 2020 quando l’NFL ufficializza lo shockante addio di Brady al suo incontrastato feudo bostoniano, aprendo così gossip e chiacchiere sul perchè del commiato e le conseguenze che tale separazione avrebbe portato da un lato o dall’altro. “Saranno più deboli i Patriots senza Tom o viceversa?” è il tormentone che circola ovunque e tuttora presente, almeno fino a un paio di settimane fa.

Poi, all’improvviso, New England ha scoperto tutti i fantasmi e le debolezze a non avere più dietro il centro un occhio smart come quello del Goat, sebbene 43enne, e Tampa Bay, sua nuova dimora per 50 milioni biennali, ha iniziato ad inanellare convincenti performance all around, grazie all’inedita straordinaria tecnica della difesa di Todd Bowles, mischiata da formidabili nuove leve quali Whitehead, la “sensazione” 2020 Antoine Winfield Jr e Carlton Davis nelle retrovie, oggi elite e punto di forza rispetto al passato recente, e Devin White nel front seven, e veterani mestieranti ancora in auge, come Suh, Lavonte David e il mito Pierre-Paul, all’attacco di Byron Leftwich, che da un paio di week ha messo nel mirino tutti i mostruosi bersagli del roster.

Manna dal cielo per quel volpone a casacca 12, ben protetto pure qui come nel Massachussetts fra gli altri dal prodigioso Wirfs della Big Ten e i vari Marpet, Cappa e Donovan Smith ai lati di Ryan Jensen, e per quel vecchio stratega della sideline che prende il nome di Bruce Arians, finalmente dopo una sottovalutata ma egregia carriera passata a generare offense atomici, pronto ora ad issare il marchio Bucs nelle vette infinite.

Giù le mani comunque da Belichick, a mio avviso incolpevole dell’improvvisa involuzione recente di Newton, e vittima del conto che il Covid ha presentato ad inizio anno, quando gli opt out in doppia cifra hanno generato una moria di starter che avrebbe sfiancato chiunque.

Detto questo rimaniamo perciò neutrali su quale fra le due icone sia più povera senza l’altra, semplicemente perché ad oggi New England è un team di seconda fascia, mentre i Buccaneers delle ultime uscite cominciano a far veramente paura.

In quella scelta primaverile, oltre alla grandezza interiore e l’umiltà di un campione più unico che raro, capace di rimettersi in gioco nel focoso clima tropicale della Florida, offrendo i servigi ad una tifoseria da tempo depressa, rispetto alla grigia e cupa ma vincente costa nord atlantica, ha influito certamente la presenza dell’unico HC guru assieme ad Andy Reid sia a livello tecnico che umano nel dedicarsi in primis alla O-Zone e rivitalizzare o far esprimere al meglio le performance dei propri registi.

Si aggiunga poi agli occhi di Brady l’ossatura base di una franchigia già ricca di talenti ma persa purtroppo fin dal fallimentare draft 2015 a correre dietro agli umori di James Winston, mastodontico bust al pari della susseguente seconda overall Marcus Mariota, ma comunque al top 3 nel ranking per yard e punti totali, segno inequivocabile della mano istrionica e variegata del capo allenatore a prediligere talentuosi big play out wide, che formidabili ed estrosi profili quali Evans, Godwin e OJ Howard (purtroppo adesso out for season) possono generare in qualunque momento.

Bene, se aggiungiamo il più forte giocatore di football dell’ultimo ventennio a destinare le proprie attenzioni senza commettere però più gli errori clamorosi del predecessore a un tuttora giovanissimo tris d’assi di tal calibro, alla maturità dei vari Gronkowski e McCoy e all’esplosione di Scott Miller e Ronald Jones, lui peculiare con Fournette pure negli screen, ecco che abbiamo l’attacco probabilmente più ingestibile del mondo.

Con l’intelligenza e la freddezza di un cecchino simile, si bypassa il numero di iardaggio totalitario (15mo step) a favore della precisione (31.7 pts per game/3° piazza), prediligendo ovviamente i tentativi al lancio, e si primeggia per quarti e terzi down, ora al 6° e 13mo posto, contando anche il penoso 5/13 dell’unico brutto incidente di percorso nella primordiale uscita in Louisiana, quando i dubbi sulla decisione di Brady attanagliarono un po’ tutti, il vostro scriba per primo.

Questo perché la famigerata sigla di marzo avvenne quando l’incubo Coronavirus non era così tangente e le premesse per allenarsi bene, usufruendo di un’estate ricca di amichevoli o training camp per affinare nuove tattiche, erano messe in preventivo da un campionissimo sì di tale caratura ma pure pignolo nello studio. Così non è stato, e la ruggine offensiva delle iniziali 4 gare la si è pagata al cospetto di una rivale d’elite e una saracinesca in copertura.

Nel momento in cui scriviamo però, le umilianti performance ai danni di Packers e Raiders, quest’ultimi tutto tranne che squadra cuscinetto, ma anzi pregevole agglomerato di genio e sregolatezza, pongono ai nostri occhi i Bucs quale team rodato, fatto e finito, e fra le squadre maggiormente ricche di outstanding performer futuristici in ambedue le fasi ma già sicurezze, e di leggende che possano condurli al titolo sotto la loro ala protettiva, Brady e Pierre-Paul su tutti. Ciò ci spinge, sebbene in anticipo coi tempi, ad aggiungerli in NFC a Seahawks e la stessa Green Bay come compagini che maggiormente ci hanno impressionato nel punto odierno della stagione.

Inoltre, l’annessione di un’icona di tale portata, che però nel rettangolo di gioco sputa sangue più di prima, fa discorsi motivazionali al termine di drive andati male o rincorre ancora come un bimbo lo scorer di turno, sprona chiunque al suo fianco a dare il massimo, e veterani in cerca di redenzione o ex superstar al ribasso ad unirsi al progetto, come i già citati Gronkowski, McCoy, Fournette e – prossimamente – Antonio Brown.

Anche l’esperienza di Suh e JPP in difesa, al limite della depressione la scorsa tornata, prende in mano oggi – forse proprio per l’upgrade Brady – la totalità dei reparti e sopravvive persino alla dipartita di Nassib e soprattutto del fenomenale Shaquil Barrett, incontrastato numero 1 NFL per sack (19.5), performandone nonostante ciò una cifra in proporzione addirittura superiore, suddividendo il compito con ben nove uomini grazie a periodici blitz, extra rusher e dropback pressure assenti ieri. La stratosferica attuale ottava posizione per punti incassati e la terza in Tot Yds avvengono per merito dell’eccellente completezza appunto sia nell’asfissiare il quarterback nemico che a leggere in pari misura le esecuzioni sul profondo, che ergono Dean, Murphy-Bunting e company ai vertici per intercetti e mete subite: numeri sensazionali se si guarda alla patetica scorsa annata.

In attaccoas usualArians e Leftwich ordinano le corse il giusto, e si avvalgono dell’ottimo run-blocking di Gronk & Co più che altro per liberare la visuale al loro asso con l’ovale fra le mani e permettergli molteplici opzioni non tanto via terra ma sull’ampio, around the field e in short pass, sfruttando per di più la novella verve after catch del “toro” Fournette, apparsoci ancora inarrestabile nelle avventure casco contro casco. Così facendo Brady, dopo gli ultimi anni passati a rispettare gli ortodossi diktat del santone di Boston, che ne limitarono la vena offensiva riducendone attempt a dismisura, si ritrova ora ad osservare una miriade di prodigiosi target liberi in lontananza e sull’ampio (Evans e Miller), dietro il front seven (Godwin, Gronkowski, Howard, Johnson e Watson) e ai suoi lati con l’ex Jaguars, Jones e il vecchio McCoy. Il risultato della linfa vitale ritrovata in veneranda età sono i 18 td che lo pongono dietro soltanto a Wilson, il superamento all time a Drew Brees nella pass list (559) ed insistenti rumors sulla corsa MVP; inoltre la NFC South, ormai mozza per il definitivo allontanamento di Atlanta e l’assenza di appeal in Carolina, riduce proprio ai due iconici qb la sfida divisionale.

Oltre alla star da Michigan moltissime le menzioni d’onore da fare, partendo da Jason Pierre-Paul, edge rusher da 3 fumble forzati e 5.5 sack (4°NFL) con almeno uno in 5 delle 6 gare disputate e 26.5 totali in appena 30 partite da quando è qui (nono nella storia della franchigia), e tuttora determinante come all’inizio della sua straordinaria carriera nell’ergersi a leader maximo della difesa, da nominare al pari di Davis e Lavonte David, finalmente breakout player all’età della maturità (30).

I progressi di Gronkowski visti di recente, sia nel bloccaggio che in ricezione (8 target per 78 receiving yard), fanno capire che il rodaggio per se stesso e il suo partner in crime stiano in esaurimento e come il season ending injury di Howard in week 4 lo farà elevare a bersaglio preferito.

Jamel Dean è oggi fra i più veloci, atletici e “lunghi” CB del mondo, per di più outside corner con Murphy-Bunting nello slot, e titolare del secondo primato di 23 passes defensed dalla tornata da rookie (2019), alle spalle proprio di Carlton Davis con 29.

Star suprema del creativo pass-rush-package di Todd Bowles è Devin White, regista magistrale nello scegliere playmaking opportunities e al solito presente in più spot a ridosso del backfield, con variazioni di blitz e four-man rush combination, come si vede dai 10 tackle, 3 tck for loss, 1 sack e due qb hit.

La ciliegina sulla torta che sbaraglierebbe la concorrenza si chiama Antonio Brown, reduce da copiose grane personali e gravosi demoni dentro la propria anima, ma se in palla inarrivabile prestigiatore offensivo. L’accordo “umile” per un anno a 1 milione potrebbe derivare dalla voglia di redimersi una volta per tutte e raggiungere il GOAT in questa nuova oasi felice, grazie a Brady rientrata nell’olimpo NFL e con tutte le carte in regola per arrivare fino in fondo.

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