La pressione cresce, ed il rischio che possa schiacciare l’attuale situazione dei Detroit Lions diviene sempre più tangibile di settimana in settimana, nonostante le vittorie facili contro le squadre mediocri. Passano le partite ed i risultati negativi tendono a non variare, ancora una volta la Motor City del versante football non decolla e non vede l’ombra di una prospettiva fresca, in grado di rendere questa franchigia competitiva ad alti livelli con un minimo di costanza. Non dev’essere facile convivere con questa sensazione di pericolo costante, che aumenta man mano che ci si accorge che le circostanze non stanno migliorando, come da premesse. A meno che, battere i Jaguars non sia vista come una cura, ma non ci pare il caso.

Matt Patricia detiene un record di 11-25-1 alla guida di Detroit.

In fin dei conti Matt Patricia è stato assunto con il compito di migliorare quanto prodotto in precedenza da Jim Caldwell, allontanato dalla sideline senza troppi complimenti nonostante due partecipazioni ai playoff in quattro stagioni ed un record di 11-5 riportato nell’annata 2014, corrispondente al maggior numero di vittorie sin dai tempi di Barry Sanders, quando, nel 1991, i Lions viaggiarono fino alla finale della Nfc poi persa sul terreno di Washington. Numeri alla mano, l’esperienza dell’ex-defensive coordinator dei Patriots nel Michigan è tutt’altro che incoraggiante: le due stagioni qui trascorse dall’allenatore con il vezzo dell’ingegneria spaziale non hanno portato segni di progresso, ci sono da registrare nove vittorie complessive nei due campionati interi sinora portati a termine, e la presente nuova campagna non è certo partita sotto i migliori auspici.

Patricia trascorre le settimane a perdere partite dove la squadra si trova costantemente impossibilitata a gestire vantaggi in doppia cifra normalmente accumulati nei primi quarti, e a rispondere alla domande dei giornalisti invocando sempre le stesse argomentazioni. Difficile tenere a bada le aspettative dei fan e soprattutto della proprietà ritrovandosi in continuazione a dover sostenere la tesi del noi non siamo questi e del devo sicuramente fare meglio durante la preparazione settimanale, perché alla fine in Nfl l’unica cosa che conta è vincere, e per far quadrare i conti è meglio farlo con una certa fretta. E se proprio non è possibile vincere, è bene cercare almeno di creare un’adeguata finestra di opportunità per farlo, sempre meglio questo piuttosto che trascorrere le stagioni a non essere competitivi e sperare di azzeccare la scelta di uno tra i molteplici giovani che ogni anno il college propone, peraltro offrendo sempre meno esperienza per via dell’esplosione di disponibilità dei cosiddetti underclassmen, quei giocatori che lasciano l’università con uno o due anni di anticipo.

Doveva essere una squadra molto votata alla difesa, se non altro visto il curriculum in materia di un allenatore determinante per i successi dei New England Patriots. Spesso nelle sue dichiarazioni Patricia tende a nominare tecnica e fondamentali, due termini assai preoccupanti se collocati all’interno del quadro generale, in quanto capaci di creare confusione sul tasso di talento effettivo a disposizione dell’attuale roster dei Lions, che se privo delle due caratteristiche appena menzionate difficilmente potrà permettersi il salto in avanti programmato da questo attuale regime. Detroit non ha dato segnali di vita nel reparto di specifica competenza dell’attuale head coach, e tantomeno sta provvedendo a fornirli in queste settimane dove le posizioni di rendimento di squadra nel panorama complessivo di lega non riescono a schiodarsi dalla tristezza degli ultimi posti delle varie classifiche difensive.

Trey Flowers è uno dei giocatori che Patricia aveva già allenato ai Patriots in veste di coordinatore difensivo.

Se si pensa ai grandi investimenti pensati per il settore diventa davvero arduo pensare alla mancanza di tecnica e fondamentali, perlomeno non relazionando il concetto a nuovi acquisti come Desmond Trufant, Jamie Collins o Duron Harmon (unitamente a Trey Flowers, approdato nel 2019), tre quarti dei quali già pratici dei versatili tatticismi di Patricia per via della comune esperienza vissuta nei pressi di Boston. Flowers non ha fino a questo momento risolto l’apatia di una pass rush ferma ad un misero 4% di sack per ciascun tentativo di pressione, dato vicino al fallimentare ed assai stridente con lo schema a uomo prediletto per gestire le coperture sui lanci, visto che il troppo tempo elargito al quarterback avversario costringe i defensive back a rimanere incollati al ricevitore per un numero di secondi più alto del necessario, finendo inevitabilmente per perdere la marcatura. E qui, che ci fosse Darius Slay negli anni passati o che ci siano Trufant e Okudah attualmente, senza aiuti dai defensive end o senza la consistenza richiesta dai blitz, non può esserci nessuna differenza sostanziale.

Le 400 yard sinora concesse di media per ciascuna uscita precedente a Jacksonville portano il marchio appena descritto, certo, ma una grossa problematica è pure generata dal fatto che contro Detroit si corre a piacimento, tanto da concedere più di 5 yard per ogni tentativo a terra. Dopo aver ricostruito la parte centrale della linea difensiva salutando giocatori un tempo efficaci o perennemente infortunati (rispettivamente Damon Harrison e Mike Daniels) i risultati non sono variati di molto, nonostante gli arrivi di Damon Shelton, tackle specializzato contro le corse anch’egli con un passato ai Patriots, e Nick Williams, prelevato dai rivali Bears ma finora nemmeno l’ombra del giocatore di situazione produttivo che si era visto a Chicago.

Eppure per la difesa sono state spese parecchie risorse anche in termini di draft, ma la resa dei collegiali selezionati non sempre ha rispecchiato gli studi effettuati dagli scout. Difficile non pensare a Jarrad Davis, tutt’altro che il pronosticato linebacker completo preso al primo round del 2017, un giocatore che oggi è presente in nemmeno metà degli snap della rotazione difensiva ed è efficace solamente nei compiti di marcatura, un identikit sinistramente simile a quello dell’attuale Jamie Collins, mentre i giudizi sono ancora in corso per giovani come Jahlani Tavai (secondo giro 2019) e Will Harris (terzo giro 2019), che per il momento rimangono solamente due giocatori poco consistenti e perciò utilizzati in un numero troppo ristretto di azioni se comparato alla posizione di scelta.

Matthew Stafford è rientrato da una frattura alla spina toracica, e non è ancora in forma Pro Bowl.

Ci sono state stagioni in cui i Lions si potevano anche permettere questi frequenti tracolli difensivi, se non altro perché dall’altra parte del guado c’era un attacco produttivo e capace di accendere il tabellone delle segnature spesso e volentieri. La situazione è drasticamente variata in negativo durante un’annata che vede Matthew Stafford al rientro da un lungo infortunio ed apparentemente regredito sotto molto aspetti tecnici a causa dell’impossibilità di affinare l’intesa con l’offensive coordinator Darrell Bevell, giunto in città l’anno scorso in sostituzione di Jim Bob Cooter. Il quarterback sembra una versione arrugginita di se stesso, che raggiunge a stento il 60% di completi e si ritrova a dover gestire un attacco dove inconsistenza (Marvin Jones) ed infortuni (Kenny Golladay) non hanno certo fornito una mano utile.

Resta sempre d’attualitĂ  il gioco di corse, una pecca che nessuno, nĂ© Patricia, nĂ© Caldwell, nĂ© Schwartz, ha saputo raddrizzare lasciando un vuoto cronico, che nemmeno l’arrivo di Adrian Peterson e la selezione di De’Andre Swift sono riusciti a colmare. Il futuro Hall Of Famer è lodabile per la decisione di non essersi aggregato ai carrozzoni-scorciatoia per il titolo come hanno fatto tanti altri del suo ruolo, il suo esempio professionale rimane encomiabile ma sfugge la motivazione per la quale si sia accontentato di un contesto dove nonostante le chiare lacune del backfield non esiste la mentalitĂ  per dedicarsi alla ricostruzione di tale aspetto. Swift è per ora ricordato per il drop nell’opener contro i Bears ma ha dato buonissimi segnali di crescita rendendo prematuro definirne tratti che al momento sono solamente provvisori, rappresenta giĂ  una buona soluzione per via della sua versatilitĂ  nello schieramento offensivo – che può avvenire anche da wide receiver – mentre chi ci rimette è Kerryon Johnson, giunto al terzo anno di esperienza giĂ  in regressione rispetto al campionato da rookie ed ora giocatore quasi dimenticato dopo non essere riuscito a costruirsi un ruolo a tempo pieno in un attacco perennemente sbilanciato verso i passaggi.

Jahlani Taivai è uno dei rinforzi collegiali per la difesa scelti negli ultimi tre anni.

Tutte le considerazioni fino a qui sviscerate valgono fino a prova contraria. Parte di questa è emersa nella più recente sfida contro i Jaguars, vinta con un 34-16 dominante, anche se va sottolineato come il banco di prova per capire se i Lions siano usciti dalle secche non possa essere questo. Vero, Tavai e Flowers hanno prodotto big play in grado di far virare la partita, la difesa contro le corse ha imbottigliato la sorpresa James Robinson lasciandolo a sole 29 yard in 12 portate, De’Andre Swift è esploso con 116 yard in 14 tentativi e due mete, dando una scossa tellurica a quel gioco di corse così asfittico.

Il punto focale del ragionamento è il comprendere se vedremo questi stessi Lions nel resto della stagione, con la propizia opportunitĂ  di racimolare qualche vittoria scaccia-pressione grazie ad un calendario che nelle prossime battute vedrĂ  incontri con Washington, Atlanta, Minnesota, Carolina e Houston, la maggior parte delle quali potrebbe risultare battibile, a patto che i ragazzi di Matt Patricia propongano ancora questa consistenza. Il vero test sarĂ  invece costituito dagli impegni divisionali, gli stessi dove Detroit non è mai recentemente riuscita a fare la differenza. La poltrona del barbuto head coach con il cappellino all’indietro è per il momento salva, ma se i Lions non dovessero riuscire a compiere il salto di qualitĂ  auspicato dalle premesse di questa assunzione sarĂ  proprio lui a pagarne per primo le conseguenze.

 

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