Sappiamo bene di essere ripetitivi quando, per inquadrare il rendimento di una franchigia, portiamo quale esempio la conduzione manageriale della medesima. Tuttavia il metro di giudizio non può che poggiarsi su questo, perché seguendo i migliori modelli della Nfl, quelli più vincenti, si comprende molto chiaramente come il successo possa essere costruito solo con lungimiranza e capacità di eseguire un ottimo lavoro di scouting, mischiandolo ad un oculato utilizzo della free agency, tutti fattori che concorrono alla buona salute economica del roster e ai conseguenti risultati dettati dalla prova sul campo.

Sam Darnold non è ancora il franchise quarterback che i Jets attendevano.

I Jets sono invece una disgrazia continua, non lo scopriamo certo oggi, e alla correttezza della tesi contribuisce soprattutto la decennale assenza da una postseason che a New York è diventata uno sportivamente tragico miraggio. Con la sola eccezione della campagna 2015, ove la squadra rimase immeritatamente fuori dai playoff nonostante l’ottenimento della decima vittoria stagionale nell’unica annata fruttifera della gestione di Todd Bowles, i bianco-verdi hanno ottenuto una media di 5.87 vittorie dal 2011 ad oggi, pagando scelte dirigenziali scellerate che mai sono andate a curarsi delle effettive esigenze del roster e che hanno spesso puntato le proprie risorse su giocatori dal talento valutato troppo in alto rispetto all’effettiva resa poi mostrata nel rettangolo di gioco.

Il record di 0-4 a seguito della gara persa giovedì notte contro i Broncos somiglia tanto alla partenza dell’anno passato, quando a metà campionato si era registrato un demoralizzante 1-7 prima di infilare la serie positiva a buoi già abbondantemente scappati, definendo un 7-9 assai poco veritiero rispetto alle potenzialità del collettivo. Il conto delle decisioni prese dall’ex-general manager Mike Maccagnan è ancora molto salato e duraturo, ed il nuovo regime ha bisogno di ulteriore tempo per imprimere la propria orma nel cambio culturale che tanto ai Jets per cominciare a scalare le marce verso l’alto. In fin dei conti Joe Douglas, il successore di Maccagnan, sta convivendo con un capo allenatore che non ha scelto lui e si trova a dover rimediare ad un numero di falle tale da doversi certamente prendere più di una semplice offseason per riuscire a ripararle tutte, come la tardiva ricostruzione di una linea offensiva non consona a questi livelli e firme come quelle di Le’Veon Bell, costose e poco fruttifere.

Le’Veon Bell non è più produttivo come a Pittsburgh.

Commentando a suo tempo l’assunzione di Adam Gase ci eravamo sbilanciati positivamente anche noi se non altro facendo due opportuni conteggi verso quanto svolto a Denver con Peyton Manning, voce a curriculum che non poteva certo essere sottovalutata, anche se parte del ragionamento deve necessariamente includere la prima vera esperienza di head coach, vissuta a Miami senza particolari glorie ed una voglia eccessiva di intrufolarsi negli aspetti che andavano oltre il proprio compito.

Tale trascorso ai Dolphins pareva aver evidenziato uno dei lato più negativi di Gase, il fatto di desiderare un maggiore controllo del personale interferendo in qualche modo con il lavoro del general manager, oltre al mai celato disappunto per le economie concesse a Bell, oggi troppo lontano dal giocatore all-purpose che fu a Pittsburgh. L’argomento più caldo riguarda però lo sviluppo di Sam Darnold, la giovane e grande speranza, il franchise quarterback, il quale ha sinora mostrato solamente bagliori di un talento che ha maggiore necessità di essere direzionato e sviluppato, tante sono ancora le tendenze ad errare nelle valutazioni dei lanci.

Il primo anno, quello da matricola, è sempre giustificabile appiccicandovi sopra la classica etichetta americana per questi casi, quella dei growing pains, quei dolori che crescono man mano che si accumula esperienza, si sbaglia, si corregge, e si costruisce un domani migliore. Darnold il carattere l’ha sempre avuto molto deciso e non ha mai mancato di mostrarlo, c’è da dire che un ruolo marginale ma comunque non ignorabile l’ha giocato anche la sfortuna di restare un mese fermo a causa della mononucleosi proprio all’inizio del suo secondo campionato professionistico, ritardando un progresso bloccato anche dall’inadeguatezza della protezione in fase di passaggio, fattore che lo ha spesso costretto ad affrettare in modo poco produttivo alcune decisioni assecondando pure la tendenza a tenere troppo il pallone, causando turnover e frequenti perdite di yard. Ed ora che il fronte a cinque, nonostante le sconfitte, aveva comunque trovato modo di giocare meglio, sono arrivati parecchi infortuni a destabilizzare nuovamente la situazione, come testimoniato dalle numerose botte prese fino a questo momento da un ragazzo che non molla davvero mai e che ha la giocata spettacolare nel suo arsenale, come ampiamente dimostrato dallo straordinario touchdown su corsa siglato ai danni della difesa di Denver.

A parziale discolpa di Darnold giunge in ausilio anche la situazione delle cosiddette skill position, posizioni avare di talento o comunque minate dai numerosi problemi medici che stanno affliggendone i vari appartenenti. Bell potrebbe essere una valvola di sfogo molto importante ma la poco aggraziata decisione di rimandarlo in campo nonostante il problema al quadricipite patito all’esordio non ha prodotto altro che un’assenza prolungata ed evitabile, e la batteria di ricevitori deve momentaneamente fare a meno del rookie Denzel Sims e del velocista Breshad Perriman, la cui firma ha fatto storcere il naso agli estimatori di Robbie Anderson, lasciato andare verso la Carolina del nord. Migliorare cifre che vedono i Jets risiedere nei bassifondi più oscuri della lega per produzione di yard, punti e primi down è impresa assai ardua se il gioco di corse è letteralmente inesistente – Frank Gore è una leggenda, ma non è eterno – e se la miglior risorsa offensiva è Jamison Crowder, più che consistente lavoratore dello slot ma non certo il ricevitore primario che serve per alzare la qualità di gioco.

Quinnen Williams è la speranza della linea difensiva, ma deve migliorare la disciplina.

Numerosi sono i problemi difensivi, nonostante l’esperienza fornita da un coordinatore come Gregg Williams, presenza che non ha contribuito ad evitare i 131 punti già concessi dopo sole quattro apparizioni, statistica valida per il trentesimo posto di lega. La recente prestazione contro i Broncos è assai emblematica dello stato difensivo di squadra, dal momento che le 359 yard di total offense concesse stonano assai con lo scarso rendimento offensivo fino a questo momento messo in mostra dalla squadra diretta da Vic Fangio, così come pesa l’inefficacia dimostrata contro un Brett Rypien alla prima partenza da titolare della carriera – parliamo del terzo quarterback della depth chart – e la giornata della vita concessa a Tim Patrick, autore di 113 yard ed una meta dopo aver raccolto sei dei sette passaggi scagliati in sua direzione.

In questi giorni è stato messo sotto esame tutto il reparto, partendo da una linea difensiva assai deficitaria nella produzione di sack e indisciplinata nella gestione delle penalità. Da tempo si attendono notizie di Henry Anderson, divenuto oggetto misterioso proprio a seguito della ricca estensione contrattuale firmata al termine della stagione 2018 e firmatario di un solo sack nelle ultime 17 uscite; Quinnen Williams ha mostrato occasionali progressi nella fornitura di pressione ma si è reso responsabile di due colpi in ritardo sul quarterback che hanno generosamente esteso altrettante serie di giochi di Denver; la pass rush fornita dai linebacker esterni è pressoché nulla, e Williams ha ottenuto i migliori risultati dai blitz dei defensive back.

C’era una volta Jamal Adams. Ora non più.

Tanti, troppi, sono gli errori mostrati in fase di placcaggio che riconducono alle polemiche emerse la settimana scorsa riguardo i metodi di allenamento di Gase, e la rotazione delle secondarie – dopo aver testimoniato la fuga di Jamal Adams – è troppo corta e propensa a perdere le marcature in un batter d’occhio, con la conseguenza dei tanti big play già elargiti agli avversari sinora affrontati.

Prospettive già sufficientemente nere dopo un solo mese di gioco sono addirittura aggravante da un’occhiata agli impegni che seguiranno, ove i Jets si troveranno ad incrociare le armi con squadre contro le quali potranno assai difficilmente proporre una gara competitiva, dato che si parla di Cardinals, Chiefs, Bills, Patriots e Chargers con il serio pericolo di dover attendere la doppia sfida contro Miami per sperare nella prima vittoria stagionale. Se l’ultima parte del calendario propone i soli Browns quale confronto vicino all’abbordabile, allora i dovuti conteggi sono presto fatti e la stagione della parte bianco-verde di New York pare semplicemente destinata ad ottenere due traguardi: la prima scelta assoluta del prossima draft ed il licenziamento di Adam Gase.

E’ appena cominciata, ma è pure già finita qui.

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