In assenza dei risultati forniti dal rettangolo verde numerato, non resta che affidarsi alle proprie sensazioni. L’argomento come sempre è destinato a tagliare in due l’opinione di settore, dividendo chi sostiene che l’approdo di Cam Newton dalle parti di Boston sia un mal celato affare colossale e chi preferisce attendere il giocatore al varco, con tutti i se ed i ma che di rito il medesimo si porta appresso per via di una cronologia di problemi fisici assolutamente non indifferente.

La parte della questione che sembra invece mettere d’accordo più o meno tutti riguarda l’abilità di Bill Belichick nel concludere affari a condizioni migliori rispetto a chiunque altro. Non siamo certo qui a tessere lodi con il prosciutto negli occhi, ci mancherebbe, pure i Patriots hanno eseguito delle firme non del tutto convincenti in passato e l’esempio più recente – Antonio Brown – dimostra apertamente che nemmeno il prestigio della franchigia riesce automaticamente ad eliminare le profonde problematiche personali di campioni dal cervello spesso scollegato, ma dall’altra parte della medaglia c’è sempre una cospicua dose di trofei a fungere da biglietto da visita, un potere contrattuale che non tutti possono sbattere sul tavolo quando giunge il momento di chiudere la trattativa, chiave fondamentale per convincere nuovi adepti di prestigio che mai in precedenza hanno sollevato il Lombardi Trophy.

Ed ecco che l’annuale accordato per il minimo salariale – il quale può giungere a 7.5 milioni di presidenti americani spirati nel caso di incentivi raggiunti – emerge quale ultimo coniglio estratto da cilindro del mago con il cappuccio felpato. In primis perché la struttura dell’accordo prevede incentivi basati sui risultati che Newton otterrà qualora dovesse vincere il ruolo di titolare al camp, lasciando al vile denaro il compito di motivare un giocatore che ha molto da dimostrare nel settore dell’integrità fisica, in secondo luogo perché come sempre i Patriots hanno operato con la giusta lungimiranza, senza chiudere la porta a nessuno, rimandando le decisioni sul ruolo più importante del gioco alla prossima offseason, dopo che avranno valutato l’effettivo stato di forma dell’ex-Auburn potendo decidere più avanti quale sarà, a seconda degli eventi, la strategia migliore da attuare.

Ci sono vantaggi un po’ per tutti. Newton ha accettato l’unica opportunità che gli garantisce di potersela giocare immediatamente da titolare anziché starsene sulla linea laterale con delle cuffie addosso in attesa del primo infortunio utile, e se le cose andranno bene potrà battere cassa in occasione della prossima free agency, presso New England o verso chiunque abbia necessità di un franchise quarterback in una Lega dove tale figura è assente in un largo numero di compagini. Jarret Stidham, che dall’episodio parrebbe uscire come il classico cornuto e mazziato, avrà invece la grande opportunità di imparare senza venire gettato da subito in pasto ai leoni, anche perché diciamocelo pure, le prospettive dei Pats con un’inesperienza del genere in successione a Tommy The Legend non erano certo quelle di fare i playoff con il consueto agio.

Non ci perde nessuno: Newton ha una congrua opportunità di rientrare nel giro che conta senza gravare pesantemente sul salary cap. Se ha successo i Patriots lo rinnovano o lo taggano. Se non ha successo tra un anno di nuovo via libera a Stidham, che sarà ultra-motivato dal fatto di essere stato accantonato quest’anno, fornendo utili indicazioni sulla competitività del suo carattere.

C‘è inoltre da considerare che questo nuovo scenario consente inoltre alla franchigia di rientrare con immediatezza nel novero delle contender, rimettendo in discussione tutte le proiezioni che vedevano i Bills già con la testa protesa in avanti per la conquista della Division, discorsi che andranno ora opportunamente ricalibrati. In fondo, anche il marketing vuole la sua parte, e la debordante personalità di Newton cozza a puntino con il vuoto lasciato da quel Hall Of Famer ancora in attività. Altrove.

Così come i Patriots hanno vinto il Super Bowl a ripetizione quando pareva non potessero mai e poi mai farcela, anche Bill Belichick, in vista della prossima auspicabile stagione, aveva in mente un programma chiaro quando sembrava non avercelo. Le selezioni effettuate al Draft non erano andate a toccare le necessità primarie della squadra, latitante soprattutto in attacco di figure che potessero garantire una produzione offensiva di alto livello. Nessuno sguardo ai quarterback, men che meno ai ricevitori: le uniche novità rilevanti sono difatti i due nuovi tight end, Keene ed Asiasi, i cui profili parlano di eccelse qualità in fase di bloccaggio, di certo nulla che riguardi le doti in ricezione di un più noto collega che si divide tra il campo e le mega feste con cui si gode la notorietà, rientrato dal ritiro giusto in tempo per tentare una cavalcata oggi basata nell’umidità della Florida.

L’arrivo di Newton basta da solo a cambiare l’aspetto delle carte in tavola, salute permettendo. A chi sostiene che le caratteristiche dell’ex-numero uno dei Panthers siano difficili da adattare al sistema offensivo di New England serve effettuare un opportuno revisionismo storico per comprendere come Belichick abbia vinto mutando la pelle in ogni circostanza dove ciò fosse richiesto, facendo adattare i giocatori alla filosofia anziché cadere nella trappola contraria. La costanza di risultati costruita negli anni ha prodotto un dominio tale da potersi permettere di dettare determinate condizioni accettando il pensiero corrente in loco, un adeguamento che tantissimi giocatori hanno accettato senza troppe proteste – Tom Brady l’ha fatto sino allo sfinimento – sapendo che ciò avrebbe condotto direttamente alla vittoria più prestigiosa. Motivo per il quale anche un estroso come Cam non dovrebbe avere problemi di coesistenza con un head coach abituato a mettere la sua orma su ogni minuzioso dettaglio, e che conosce un solo modo di fare le cose: il suo.

E’ legittimo e logico presumere che Newton – qualora fosse il titolare – verrà preservato da un eccessivo numero di snap che prevedano una soluzione personale su corsa per ovvie ragioni di natura fisica, con qualche dovuta eccezione per le situazioni interne alla redzone, dove massa muscolare e le doti atletiche possono produrre sei punti più facilmente di quanto sembri. Sarà determinante – come sempre – la creatività di Josh McDaniels, un coordinatore offensivo affermato e capace di esporre concetti sempre differenti utilizzando tutte le armi a disposizione.

In caso di pieno recupero, per Newton potrebbero essere stilate delle giocate di potenza per guadagnare sostanziose yard già al primo down, o magari per convertire i terzi tentativi, settore nel quale Cam ha registrato una resa altissima in particolar modo nella sua stagione da Mvp, il 2015. New England possiede un fronte offensivo ben collaudato, Joe Thuney e Shaq Mason costituiscono una rara coppia di guardie ad alta efficienza in entrambe le fasi di bloccaggio ed il prossimo rientro del centro David Andrews, fermo per tutto l’anno passato a causa di un’embolia polmonare, aggiunge altra qualità ad un pacchetto che ritroverà il titolare fisso delle tre stagioni consecutive precedenti al 2019.

Progettando l’ipotetica partenza da titolare per Stidham si pensava già ad un sistema offensivo che prevedesse equità tra le chiamate di corsa e passaggio, idea mutuata dalle prime esperienze da starter di Brady, creando circostanze secondo le quali l’efficienza nei bloccaggi avrebbe dovuto aiutare Sony Michel a produrre portando via pressione dall’inesperto quarterback, mantenendo nel contempo l’imprevedibilità data dalle eccellenti doti in ricezione di James White, reperibile sul corto rendendo possibili soluzioni meno rischiose sul corto senza intaccare l’accumulo di yard, e la possibilità di giostrare i nuovi e già menzionati due tight end, il fullback Dan Vitale (sostituto del prezioso James Develin) e il power back Rex Burkhead a piacimento soprattutto nelle ultime 20 yard.

E’ un quadro versatile e di ottime potenzialità, in particolar modo se vi si aggiunge la figura di un quarterback mobile, che per i Patriots di Belichick rappresenta un qualcosa di assolutamente inedito.

Uno degli aspetti più importanti del gioco di Newton riguarda invece la precisione nel raggiungere il proprio bersaglio, abilità nella quale si è spesso dimostrato altalenante al di là delle evidenti problematiche alla spalla, che di recente ne avevano indubbiamente indebolito la consistenza. Anche nell’epoca di massima forma fisica l’ex-Panthers ha sempre alternato prestazioni dominanti a fasi maggiormente frustranti provocate dall’abitudine mai abbandonata di lanciare veri e propri missili irraggiungibili per chiunque, anche dai suoi stessi ricevitori. Il possibile playbook dei Pats, da questo punto di vista, difficilmente prevederà soluzioni troppo profonde, sia per l’accennata mancanza di costanza nella precisione che per la necessità di togliere l’ovale dalle mani del quarterback nel più breve tempo possibile, raggiungendo l’obiettivo di non esporlo troppo ai possibili colpi che arrivano quando si tiene la palla in mano per quei due secondi in più del dovuto.

Chiaro, l’entusiasmo c’è ed è giusto che vi sia, ma si sappia che nulla di tutto ciò sarà una passeggiata. Cam Newton, negli anni più recenti, ha tentato di risolvere problemi continui alla cuffia dei rotatori del braccio con cui lancia, ed ha più recentemente avuto a che fare con l’odiosa frattura di Linsfranc, terrore di tutti gli atleti professionisti per la difficoltà nel ritornare all’efficienza di movimento precedente. Un assortimento di problematiche assai preoccupante, che non per questo si determina essere un destino già segnato, anzi. Così insegnano le esperienze di Ryan Tannehill, dato per finito dopo due rotture consecutive del crociato anteriore ed inaspettatamente riemerso tra i più grandi protagonisti della scorsa stagione, e più nel passato di Steve McNair (sostanzialmente l’uomo bionico…) e Randall Cunningham, entrambi capaci di confezionare stagioni da All-Pro al rientro da infortuni molto rilevanti.

Qualora si dovesse invece trattare di una semplice questione gravitante attorno al Covid-19, evento che ha impedito a Newton di farsi visitare dai medici di una qualsiasi squadra e di effettuare provini dal vivo, tutto rischia di diventare il solito, colossale affare messo in piedi da quella mente diabolica ma dannatamente vincente di Bill Belichick, che con uno schiocco di dita ha improvvisamente ripristinato la visibilità dei Patriots nella cartina geografica delle pretendenti al trono.

Superman is in the (new) building. Per la gioia degli occhi di chi guarda da fuori, c’è da sperare che quella salute sia di nuovo tornata al 100%. Nel caso, ci sarà da divertirsi parecchio.

 

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