Quante volte nel corso della nostra esistenza ci chiediamo se esiste davvero un destino, quante volte ci rimane sospesa, tra le labbra e la mente, la fatidica domanda “cosa sarebbe successo se…”, quante volte ci siamo trovati di fronte al classico momento topico di una storia, un elemento assolutamente imprevedibile, che può cambiare la nostra vita e quella delle persone che ci stanno accanto; per ogni tappa del nostro percorso, del cammino che affrontiamo, ci troviamo di fronte a delle scelte da effettuare ed ognuno di noi le affronta come meglio crede, creando un sorta di strampalato mix tra le esperienze vissute, le emozioni, la ragione, a volte vince la testa, altre il cuore, altre ancora si segue l’istinto e, se si è credenti, ci si fa il segno della croce nella speranza di aver selezionato il sentiero corretto da seguire.

Nella vita di Jeff Hostetler di questi attimi, di cosiddette sliding doors ce ne sono state parecchie, alcune meno importanti o determinanti di altre, ma indubbiamente lo hanno accompagnato per buona parte della sua esistenza segnando indelebilmente i suoi percorsi di uomo e di atleta fin dalla sua nascita, avvenuta a Jerome, Pennsylvania, il 22 Aprile 1961; discendente degli Amish inizia a far parlare di se ai tempi del liceo mettendosi in luce in ben quattro sport, atletica, baseball, basket, football, ed emergendo tra le fila degli Indians su entrambi i lati della palla, rigorosamente ovale, dividendosi tra i ruoli di quarterback, runningback e linebacker, con il quale ottiene una nomina nel First Team All American All-State.

Conquistatosi il diritto per una borsa di studio da studente-atleta presso la vicina Penn State University gioca con i Nittany Lions 3 partite nel corso della freshman season, 1980, ma dopo aver perso lo starting spot in favore di Todd Blackledge decide di trasferirsi a West Virginia, ed osservato l’anno di pausa post trasferimento previsto dalle normative NCAA diventa QB titolare dei Mountaineers a partire dalla stagione 1982 e il suo esordio è di quelli indimenticabili, lanciando per 321 yards e 4 TD pass in casa degli Oklahoma Sooners, numeri 9 del ranking, per una vittoria 41-27 che all’epoca fece parecchio scalpore.

Completato il suo primo appuntamento con il destino, la seconda parte della carriera universitaria di Hostetler è un susseguirsi di trionfi personali e di squadra che hanno l’epilogo perfetto nella vittoria del Hall of Fame Bowl 1983, l’antivigilia di Natale, quando WVU supera 20 a 16 i Kentucky Wildcats tra le mura del Legion Field di Birmingham, Alabama; davanti a 42,000 spettatori il numero 15 completa una rimonta storica con 2 lanci in endzone negli ultimi due quarti, chiudendo la sua avventura nei Mountaineers alzando al cielo il trofeo e diventandone uno dei migliori giocatori di sempre.

Leader all-time per passaggi completati, tentati, percentuale di pass completati, TD pass, pass efficency, passing yards e total offense, Jeff si presenta al Draft NFL della primavera 1984 come uno dei pezzi pregiati della posizione, e mentre si prepara a sposare la sua Vicky, figlia del HC di West Virginia Don Nehlen, viene scelto dai New York Giants nel corso del terzo round, secondo quarterback selezionato dopo il collega Boomer Esiason, suo avversario sui campi della NCAA con i Maryland Terrapins.

Sbarcato nella Grande Mela come backup della stella Phil Simms nei primi quattro anni fa pochissime apparizioni sul terreno di gioco anche a causa della concorrenza con l’altro QB di riserva Jeff Rutledge, e gioca la sua prima partita dall’inizio solo nel 1988, quando conduce i blue newyorkesi ad una vittoria in trasferta a New Orleans; tornato titolare in un Monday Night Football della stagione successiva, anche questo vinto contro i Minnesota Vikings, torna nell’oblio dividendosi tra il ruolo di holder e qualche terzo down in cui il suo compito principale è quello di consegnare l’handoff al runningback di turno.

Amareggiato e deluso per le poche chances concessegli Hostetler arriva a proporre al coaching staff di cambiare ruolo allenandosi come WR e bloccatore per gli special team, ma ogni tentativo di ritagliarsi uno spazio maggiore all’interno del roster fallisce e a ridosso della stagione 1990 medita di ritirarsi dal football professionistico, conscio di aver comunque arricchito la propria bacheca personale con l’anello del Super Bowl XXI, seppur vinto da semplice riserva, osservando i compagni dalla side.

Proprio l’anno che fa da spartiacque tra le decadi ottanta e novanta del ventesimo secolo è però quello nuovamente decisivo per Jeff che si trova  di fronte ad un’altra sliding door; lo sfondo è il Giants Stadium, la partita quella della quindicesima settimana con i Buffalo Bills, il preambolo l’infortunio al piede che costringe Simms ad uscire dal campo, la scena madre l’head coach Bill Parcells che da le ultime direttive al suo quarterback di riserva, e poi con una secca e decisa pacca sulla spalla lo invita a fare la sua entrata sul terreno di gioco.

Pochi passi, pochi semplici passi di corsa e Hostetler entra in nuova, seconda, fase della sua vita sportiva professionistica, lancia per 97 yards, senza TD pass ne intercetti, ma non riesce a cambiare il corso della partita e condurre i suoi alla vittoria, cosa che invece farà nelle due week successive contribuendo attivamente alle due win contro Cardinals e Patriots, decisive per l’accesso ai playoffs e ottenere il turno di riposo nel Wild Card weekend.

Una volta rotto il ghiaccio Hoss, così viene chiamato dai compagni di squadra, diventa inarrestabile e senza commettere errori guida New York fino al Super Bowl dopo aver superato i temibili San Francisco 49ers nel Championship NFC; con 20 pass completati su 32, 214 yards, 1 TD pass e nessun intercetto lanciato, sfruttando altresì una grande prestazione difensiva del reparto guidato da Lawrence Taylor, vince il secondo Vince Lombardy Trophy della carriera, e questa volta può alzarlo al cielo personalmente, sentendolo finalmente suo.

Una vittoria che gli consegna le chiavi dell’attacco dei Giants la stagione successiva, terminata però anzitempo a causa di un infortunio alla schiena che di fatto lo penalizzerà anche nell’offseason seguente, costringendolo ancora una volta a partire come riserva di Simms in quello che sarà il suo ultimo anno nella Big Apple; nella primavera del 1991 Jeff viene infatti lasciato libero dalla franchigia newyorkese e decide, dopo una vita interamente passata sulla costa est degli States di spostarsi verso ovest, firmando un contratto quadriennale con i Los Angeles Raiders, nei quali avrà finalmente la possibilità di essere un titolare indiscusso.

Nelle quattro stagioni californiane Hostleter riesce a condurre i Silver&Black ai playoffs in una sola occasione, al termine della season d’esordio, quando la loro corsa viene fermata nel Dvisional Playoff dai Buffalo Bills, sette giorni dopo aver vinto il Wild Card match per 42 a 24 con i Denver Broncos, ultima partita di playoffs disputata nella Città degli Angeli fino alla season 2017, quando i Rams ospiteranno i Falcons; “aggressive, accurate, veteran signal caller…” così viene presentato sul sito di quei Raiders che lascia al termine del torneo 1996, dopo aver ottenuto 34 vittorie in 64 partite lanciando 11,162 yds, 69 touchdowns, 49 intercetti e prima di tornare a est, per un ultimo ballo con i Redskins.

A Washington Jeff torna a vestire I panni dello strating quarterback nelle tre partite finali della stagione 1997, rientrando alla guida del team capitolino in seguito all’infortunio subito dal collega Gus Frerotte proprio nella sfida contro i “suoi” vecchi Giants; quel giorno Hoss offre probabilmente la sua peggior prestazione da professionista facendosi pizzicare in ben 3 occasioni dai difensori avversari, proprio lui che ai tempi del college era considerato uno dei QB più precisi ed accurati della NCAA e che aveva chiuso la carriera nei Mountaineers con il miglior rapporto tra passaggi tentati ed intercetti lanciati, 0,279.

Concluso il percorso da giocatore professionista con 16,430 yards e 94 TD pass all’attivo Hostetler torna a Morgantown, in West Virginia, da dove la sua vita aveva cambiato corso per la prima volta, prendendo la strada decisiva verso il successo, e nel luogo in cui era praticamente iniziato tutto, compresa la storia d’amore che lo lega ancor oggi alla moglie Vicky, ha aperto la sua impresa di costruzioni e dato nuova linfa alla sua fondazione, la Hoss Foundation, attraverso la quale lui e i suoi familiari aiutano le persone in difficoltà.

Nata nel 1991 come un atto di riconoscenza per aver svoltato tanto la carriera quanto la sua stessa vita, la fondazione si occupa di soddisfare le esigenze dei bambini e delle famiglie che si trovano a dover fronteggiare malattie, problemi fisici, o crisi finanziarie, cercando di raggiungere l’obiettivo che da sempre si è imposta la famiglia Hostetler, ovvero fare la differenza nella vita degli altri; perché d’altronde, come lo stesso Jeff ha sempre ammesso “le parole sono vuote senza alcuna azione dietro di esse”.

2 thoughts on “Football Graffiti – Jeff Hostetler, The Sliding Doors Man

  1. Che ricordi quel.superbowl contro i bills.
    Cmq il vecchio casco dei giants è bello

  2. Ricordo molte cose di quel SBowl. L’errore di Scott Norwood sul field goal finale, lo sguardo di delusione di Jim Kelly, Thurman Thomas, Ottis Anderson MVP a sfiancare la difesa di Buffalo e mangiare tanto tempo con le sue corse, arrivando al culmine di una di queste a roteare il braccio colpendo la povera safety. L. Taylor, G. Reason, M. Bavaro e tanti altri, con la coppia Purcells Hostetler a gestire il cronometro tenendo pochissimo in campo l’attacco di Buffalo.

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