Emmitt Smith agli Arizona Cardinals.
Joe Namath ai Los Angeles Rams.
Cris Carter ai Miami Dolphins.
Earl Campbell ai New Orleans Saints.
Joe Montana ai Kansas City Chiefs.
Ed ora quasi certamente Tom Brady ai Tampa Bay Buccaneers: l’esclusivo club di leggende che “fanno strano” con una maglia diversa da quella da loro resa cimelio storico grazie ad anni di leggendaria eccellenza si arricchisce nel modo più clamoroso possibile potendo ora annoverare quello che, se non vivessimo nell’era dell’Internet e dell’hipsteria d’opinioni, sarebbe considerato all’unanimità il miglior quarterback di sempre.
Tom Brady, signori, non è più un giocatore dei New England Patriots: dopo venti magnifici anni costellati di anelli, titoli divisionali così scontati da diventare qualcosa di così noioso per cui non valga quasi più la pena fabbricare appositi cappelli e T-shirt Tom, record su record ed egemonia su un’intera conference, Brady ha deciso di cambiare aria e, analogamente a quanto fatto da un altro sportivo tanto dominante quanto polarizzante, portare il suo talento sotto il rassicurante sole della Florida.
Considerando l’età di Brady e la predilezione degli anziani americani per il cosiddetto Sunshine State come meta dove trascorrere con meritata serentià gli ultimi anni della propria esistenza, unire i punti e lanciarsi in ripetitive analogie sarebbe alquanto facile ma, ve lo chiedo per favore, evitate di peccare d’originalità e compendiare quest’autentica notizia epocale con meme facili e scontati.

Tom Brady, dunque, sarà quasi certamente un giocatore dei Tampa Bay Buccaneers e salvo qualche legittima riserva su “quanto effettivamente ne abbia ancora” questo matrimonio, sulla carta, sembra perfetto per molteplici motivi.
Il primo, ed a mio avviso il più banale, riguarda il semplice fatto che la dirigenza dei Bucs voglia Brady: certo, anche il padre putativo Kraft desiderava ardentemente tenersi stretto il giovanotto che ha reso grande la sua organizzazione, ma altrettanto – almeno stando a ciò che sappiamo finora – non si può dire di Belichick, che a mio avviso non aveva particolare interesse ad assecondare le richieste di quello che per vent’anni è stato il suo perfetto partner in crime.
Tampa Bay ha bisogno di Brady e delle attenzioni mediatiche – sovente pericolose – che lo seguiranno, ha disperatamente bisogno di un vincente nella posizione più importante del gioco: dal 1976, il loro anno di nascita, i Buccaneers hanno la peggior percentuale di vittorie di tutta la NFL e facilmente molti fan non saranno nemmeno al corrente che nel 2002, guidati da Gruden e da una difesa così terrificante da essere entrata di prepotenza in ogni playbook, questi vinsero il primo ed ultimo Super Bowl della propria storia.
A risollevare le loro sorti e conseguentemente reputazione ci avrebbe dovuto pensare l’iper-talentuoso Jameis Winston ma a suon di decisioni stupide – dentro e fuori dal campo – l’ex prima scelta assoluta è stato in grado di alienarsi la fiducia di chiunque, compreso quell’Arians ingaggiato – quasi – esclusivamente per “sistemarlo”: a differenza dell’infinitamente più giovane e meno titolato collega, Brady non necessita di riparazione alcuna e, teoricamente, li mette immediatamente in posizione di vincere.
Difficilmente una squadra che non prende parte ai playoff dal lontano 2007 sarà in grado di dominare l’offseason attirando quanta più attenzione possibile, ma con l’arrivo di Brady come si suol dire Oltreoceano, Tampa Bay is the place to be: frase idiomatica improbabile per una squadra così irrilevante, ma questa è la magia di Tom Brady.

Il secondo motivo è quello più tecnico e che probabilmente ha inciso maggiormente nel processo di scelta: il supporting cast e lo staff tecnico dei Buccaneers – più precisamente Bruce Arians – non hanno eguali nella lega.
Il duo Evans-Godwin, non me ne vogliano i deludenti Beckham-Landry o gli sciolti Diggs-Thielen, è stato il miglior one-two-punch della scorsa stagione e poter direzionare l’ovale a due giocatori così talentuosi e complementari è un lusso di cui pochissimi quarterback possono fregiarsi: Evans è facilmente il ricevitore più consistente e consistentemente sottovalutato della lega mentre Godwin, esploso lo scorso anno sotto la guida di Arians, è uno degli slot receiver più completi ed affidabili che possiate attualmente trovare. Un eventuale rinnovo del rigenerato Breshad Perriman garantirebbe a TB12 un pericolosissimo deep threat e non dobbiamo dimenticarci della coppia Howard-Brate: spero siate tutti al corrente dell’amore di Brady per quel 12 personnel, ovvero due tight end contemporaneamente in campo, su cui non è più stato in grado di contare a Foxborough dopo la caduta nel baratro di Aaron Hernandez.
La linea d’attacco, nonostante rischi di perdere il tackle Demar Dotson, è sicuramente competente in quanto lo scorso anno si è posizionata al settimo posto nell’apposita graduatoria di PFF ed al momento l’unica cosa che trattiene il reparto offensivo dei Buccaneers dal poter essere considerato senza macchia è il running game: Jones e Barber non sono mai stati in grado di produrre con consistenza e ciò l’ho sperimentato sulla mia pelle scommettendo su RoJo al fantasy football, anche se questa è un’altra storia.
Arians, seppur non titolato come Belichick, è legittimamente considerabile come uno dei migliori allenatori della nostra generazione e la sua reputazione di quarterback whisperer potrebbe aiutare il futuro 43enne ad eludere per l’ultima volta il passare degli anni: non è sempre facile convivere serenamente con il coriaceo e sanguigno due volte allenatore dell’anno ma dopo due decadi di convivenza con Bill Belichick non mi sento di escludere che Brady sia in grado di sopportare tutto ciò con serenità.

L’abbondante spazio salariale, nonostante si ridurrà notevolmente una volta ufficializzato il contratto, permetterà al front office di colmare le ultime lacune presenti ed un draft solido potrebbe garantire a Brady il miglior roster possibile per vincere ora, in quanto non devo sicuramente dilungarmi in futili spiegazioni sul fatto che Tampa Bay si trovi nel più assoluta win now mindset: come potrebbe essere altrimenti se si affida il proprio futuro prossimo ad un quarterback più vicino ai cinquanta che ai trenta?
Da quanto detto finora sembra che la NFL sia destinata a soccombere sotto l’arrembaggio dei Bucanieri guidati da Capitan Brady, ma badate bene che sto parlando in via del tutto ipotetica: e se Brady non ne avesse più?
E se la convivenza con Arians si rivelasse più difficile del previsto?
E se ci trovassimo dinanzi all’ennesimo, inevitabile fallimento di un cosiddetto Dream Team?
Nulla in National Football League è certo, soprattutto se si sta parlando di un 43enne reduce dalla peggior stagione in carriera – coincisa comunque con una dozzina di vittorie – e da una scottante eliminazione ai playoff nella quale, per la prima volta, è apparso totalmente impotente e privo di quella magia che lo ha reso immortale: immagino che non ci metteremo molto a capire a chi imputare le colpe per tale tonfo.

Credo che prima di chiudere sia necessario provare a rispondere alla vera domanda dell’offseason, ovverosia il perché di tutto ciò: perché Tom Brady ha abbandonato l’impero da lui costruito?
Credo che nessuno per molti anni sarà in grado di trovare una risposta esauriente a tutto ciò, ma immagino che la percepita mancanza d’attenzioni – e di corteggiamento – di Belichick e conseguentemente di chiunque al di fuori di Kraft – e Edelman – lo abbia fatto sentire non voluto, non più necessario: per la prima volta da vent’anni, a mio avviso, Brady è stato vittima di quella Patriots’ way per cui il nome sulla maglia altro non è che un mero dato anagrafico totalmente incapace di garantire un posto nel roster o un contratto percepito dal giocatore come giusto.
Belichick, molto probabilmente, in cuor suo sa che Brady a circa trenta milioni all’anno non avrebbe garantito a New England la miglior possibilità di vincere e secondo i meccanismi della sopracitata Patriots’ way, ciò basta per garantire a chiunque un biglietto di sola andata per qualsivoglia meta lontana da Foxborough: insensibile e freddo, non lo metto in dubbio, ma seguendo fedelmente questo modus operandi l’Incappucciato ha creato la più grande dinastia della storia NFL e, a mio avviso, dello sport.
Per i prossimi mesi avremo modo di assistere a continui confronti fra la ricchezza dei Buccaneers e la presunta penuria d’armi offensive dei Patriots, per i prossimi mesi chiunque sia under center a New England sarà costantemente sotto esame tramite ingiusti e fuorvianti paragoni con il quarterback più titolato della storia del gioco e francamente per quanto noioso ciò possa rivelarsi ammetto di coltivare un certo entusiasmo, in quanto siamo davanti ad uno dei più grandi colpi di scena – anche se è parso chiaro da mesi che la tenuta di Brady ai Patriots fosse agli sgoccioli – della storia del gioco.

Brady, dal canto suo, sarà altrettanto sotto pressione per dimostrare di aver preso la scelta giusta e riuscire nel suo intento di vincere a quasi quarantacinque anni d’età: tale pressione, però, credo impallidirà dinanzi a quella a cui lo stesso Brady si sottoporrà autonomamente.
Nonostante tutte le montagne scalate e tutti i pronostici ribaltati in carriera, questa si preannuncia essere la più grande sfida della vita di Tom Brady.

3 thoughts on “Analisi a caldo di Tom Brady – quasi certamente – ai Tampa Bay Buccaneers

  1. A 43 anni, con una generazione di fenomeni che ti pressa, con una squadra che non ha mentalità… Al massimo, forse, farà i play off….

    • Credevo che andasse ai colts (folli a prendere l incostante Rivers) o ai chargers.
      Almeno si godrà il sole della calda florida

  2. Ormai è finita. Ha trovato chi gli da altri tanti soldi, una linea d’attacco buona per prendere poche botte, e via. La stagione scorsa, il playoff, ci hanno detto tutto. Finish.

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