Patch sulle maglie e sul campo da gioco, logo riadattato per l’occasione, miriadi di pubblicità, speciali su YouTube proposti dal sempre ottimo NFL Films – senza dimenticare quel gioiellino di NFL Throwback -, classifiche dei migliori cento giocatori all-time, dei migliori cento personaggi, dei più grandi innovatori, delle più grandi squadre… insomma, la National Football League non si è fatta scrupoli a ricordarci ad ogni piè sospinto che la stagione conclusasi una decina di giorni fa fosse la centesima: non che me ne possa lamentare, in quanto poter tuffarmi settimanalmente nella ricca ed articolata storia della lega tramite le sopracitate classifiche mi ha permesso di vivere il football in un modo totalmente nuovo ed infinitamente piacevole, poiché osservare il genuino entusiasmo con cui Belichick incensava ed analizzava le prodezze dei migliori cento giocatori di sempre mi/ci ha permesso di scoprire un lato della sua personalità sempre minuziosamente nascosto.
Nella centesima stagione abbiamo imparato che William Stephen Belichick non solo sa essere un gran chiacchierone, ma ha pure un sorriso che non ha problemi a sfoggiare: potrei concludere l’articolo già qui.

Anno nuovo, successo vecchio: negli ultimi cinque mesi la NFL ha avuto modo di confermarsi come la lega regina dell’intero panorama sportivo americano, trovando un modo per incrementare – per il secondo anno consecutivo – gli ascolti di un impressionante 5%, ribadendo per la millesima volta il fatto che il football americano sia lo sport degli Stati Uniti.
È piuttosto facile comprendere i perché di tale successo, in quanto a mio avviso abbiamo assistito ad una delle stagioni più imprevedibili, competitive e scoppiettanti di sempre, abbiamo visto stelle nascere, carriere risorgere, dinastie sorgere e soprattutto qualcuno di diverso dai Patriots alzare al cielo il Lombardi: chiamatelo poco!
Ciò che più mi porterò dentro di questa esperienza è aver maturato definitivamente la consapevolezza di non capire assolutamente nulla di questo sport, in quanto se qualcuno di voi ad agosto mi avesse parlato di Green Bay, Tennessee e San Francisco ai Championship Games molto probabilmente vi avrei regalato la più grande risata della mia ancor breve esistenza: ciò che mi consola è che essendo il figlio illegittimo dell’unione fra niente e nulla nessuno avrà modo di creare un mio video nel quale per sette minuti sputacchio con irritante sicurezza ed arroganza sentenze sulle stagioni di varie squadre prevedendo un 3-13 per i Titans ed un 11-5 per i Browns.
Sì, sto parlando del simpatico ma troppo sicuro di sé Adam Rank: l’umiltà rimane la regina delle virtù indipendentemente dal proprio posto di lavoro e dal personaggio creato nel tempo.

Abbiamo imparato che in uno sport così competitivo fondato su valori come orgoglio ed amor proprio tankare intenzionalmente non è proprio semplice: non ho mai visto un roster che urlasse “ZERO SEDICI” più di quello dei Dolphins, eppure hanno trovato il modo di vincere ben cinque partite togliendosi pure lo sfizio di sabotare l’intera postseason degli odiati New England Patriots. Ricordate, chiedere di perdere a degli individui che mettono a repentaglio il proprio futuro su questo mondo non è particolarmente facile, in quanto uscire dal campo ricolmi di lividi al punto di essere scambiati per la Pimpa vale sicuramente il tentativo di provare a trasformare tali porpore in vittorie in grado di garantire a questi portatori poco sani di dolore un futuro in questa lega; ricordate, soprattutto, che affidare a Ryan Fitzpatrick il comando di una squadra che deve perdere è un’idea quasi peggiore che metterlo al comando di una squadra che deve vincere: la Fitzmagic è anche questa, no?
Sempre rimanendo nel contesto di Miami e dei Dolphins, chi l’avrebbe mai detto che Ryan Tannehill sarebbe stato uno dei più grandi protagonisti – e sorpresa – della stagione? Chi avrebbe mai potuto pensare che in poco più di tre mesi sarebbe stato in grado di salvare una carriera che sembrava pronta a riservargli per qualche anno il ruolo di backup – con esperienza – fino ad un anonimo ritiro? Pronosticare un successo simile pure per la prossima stagione non credo sia possibile e realistico, ma ciò non deve comunque sminuire quanto fatto da lui e dai Titans, squadra che con uno stile di gioco tanto anacronistico quanto concreto ha saputo prendersi gli scalpi di Ravens e Patriots, due delle principali candidate per contendere la AFC a quei Chiefs che poi si sono portati a casa il Super Bowl; sarà estremamente interessante vedere se il front office dei Titans rischierà l’all-in sul duo Henry-Tannehill ricoprendoli d’oro in offseason o se bollerà l’esaltante cavalcata come one year wonder.

Non si può parlare della stagione 2019 senza menzionare i Cleveland Browns, o meglio, senza anteporre loro il poco lusinghiero titolo di delusione dell’anno: solo gli scemi parlano per proverbi, ma in questo caso è doveroso ricordare che Roma non sia stata costruita in un giorno e… nuovo allenatore e nuovo general manager? Oh Gesù, questi Browns si rifiutano di imparare dai propri errori: se non altro… se non altro niente, oramai i Browns li abbiamo girati su se stessi così tante volte che trovare il lato positivo di una situazione in questa miniera di mediocrità e risentimento non è più umanamente possibile.
Contento Haslam, contenti tutti… tranne i pluri-abusati tifosi.
I quattro – per alcuni cinque -mesi di football ci hanno insegnato una lezione già tediosamente acquisita, ovvero che la riconoscenza è un qualcosa destinato a scadere settimanalmente: tutto ciò calza a pennello Lamar Jackson ed i Ravens, tanto lodati ed ammirati durante la regular season quanto gettati nella spazzatura senza alcun ripensamento e pentimento dopo la precoce eliminazione ai playoff. In una sola notte, in una sola partita, l’MVP – secondo l’opinione popolare e sempre razionale dell’Internet- ha disimparato a lanciare, ha dimostrato di essere un perdente, di non avere il killer instinct, di non essere clutch, di essere il responsabile dello scoppio della bolla immobiliare del 2008… insomma, di essere l’incompetente feccia della disciplina nonché parodia di un quarterback.
Passer rating di 113.3, 39 touchdown a fronte di sei intercetti completando il 66% dei lanci tentati da una parte, dall’altra il ben ragionato ed empiricamente dimostrato “non sa lanciare, è un prodotto del sistema di gioco dei Ravens”: se qualcuno ha poi voglia di far notare a tali tifosotti che la debacle ai playoff può essere vista come incidente di percorso del sistema di gioco dei Ravens osserverà immediatamente la maestria di questi soggetti nel girare la frittata e addossare ogni singola colpa a Jackson.
Se vince e produce numeri storici è grazie al sistema, se perde è colpa sua: che posto fantastico l’Internet.

Ricorderemo la scorsa annata come quella nella quale, una volta per tutte, le esigue possibilità di un ritorno di Colin Kaepernick sono definitivamente evaporate a seguito di un workout che definire disastroso non renderebbe giustizia al clamoroso fumble commesso dalla NFL: mi viene da dire che questa pagliacciata possa tranquillamente essere vista come la più grande macchia di una stagione altrimenti fantastica e, per una volta, senza eccessivi drammi o controversie, Antonio Brown a parte.
L’apertura al mondo delle scommesse, oltre che a causare introiti gargantueschi, ci ha pure insegnato nuove accezioni del concetto di patriottismo: non è patriottico inginocchiarsi durante l’inno come segno di protesta per concreti problemi sociali ma è totalmente accettabile mettere quote riguardanti la durata dell’inno cantato da Demi Lovato prima del Super Bowl o, addirittura, sulla durata del “free” finale.
Coerente.

Piccole proteste a parte, questa magnifica stagione di football ci ha messo davanti con rinnovata decisione e convinzione ad un ricambio generazionale nel ruolo principe della disciplina, il quarterback: il Super Bowl MVP è un ventiquattrenne, l’MVP un ventitreenne ed i vari Watson, Allen, Prescott e Wentz sembrano pronti a prendere le redini di questa lega e spartirsi i riconoscimenti individuali ed i titoli di squadra per i prossimi anni, mentre i vari Brady, Brees e Rivers si trovano tutti davanti ad un bivio reso incredibilmente più arduo dall’età decisamente avanzata.
Abbiamo visto di tutto, perciò permettetemi di fare una breve carrellata di alcune delle storie che ci hanno più intrattenuto e fatto discutere durante questa stagione: la nascita – e prematura morte – di Minshew Mania, l’incapacità di Dallas di vincere le partite che contano, il clamoroso fallimento dell’holdout di Melvin Gordon, gli infortuni degli Eagles, il vergognoso spreco di talento degli Atlanta Falcons, l’apparente rinascita della Steel Curtain, il ritorno sulla terra dei Rams e specialmente del duo McVay-Goff, la sfortuna cronica dei Detroit Lions, l’ennesimo infortunio di Cam Newton, l’incredibile abilità dei Chargers nel perdere ogni partita anche solo vagamente combattuta, la mononucleosi di Darnold, la capacità d’adattamento e sopravvivenza dei New Orleans Saints, la proibitiva competitività della NFC East e, dulcis in fundo, i trenta maestosi, storici, incomparabili ed irraggiungibili intercetti di Jameis Winston.
Non credo di aver mai visto un giocatore del genere, un talento capace di lasciarti a bocca aperta dopo un lancio che molto probabilmente solamente altri due o tre esseri umani sono in grado di realizzare che però al termine dello snap successivo è in grado di portare milioni di teste ad interagire in modo dolorosamente intimo con altrettante inermi ed incolpevoli pareti: Tampa Bay è ricolma di talento e sembra una squadra ad una decina di errori di distanza dal poter competere contro chiunque ai playoff.
L’unico problema è che questi errori portano tutti la firma dello stesso autore, Jameis Winston: che sempre sia lodato.

La cosa che ho avuto modo di imparare principalmente grazie all’ossessività con la quale mi è stata proposta sulle varie testate dalle quali tento di assimilare quanta più conoscenza possibile è che Mitch Trubisky è stato scelto al draft prima di Patrick Mahomes e Deshaun Watson: probabilmente la colpa, pure in questo caso, è imputabile al kicker, quella figura che ha dato al povero Steve Bartman un po’ di meritata pace e riposo, in quanto essere il nemico pubblico numero uno di un’intera città tende ad essere stancante e logorante.

Il flusso di soldi continua ad aumentare, la qualità dello spettacolo in campo si conferma piuttosto alta, l’inconsistenza ed incompetenza degli arbitri rimane divertente materiale da dibattito ed un tanto necessario quanto rinfrescante ricambio generazionale è pronto a fornirci centinaia di nuove storie grazie alle quali comporre articoli del genere e, soprattutto, continuare a venerare questa disciplina e soffrirne clamorosamente la mancanza: il tutto coperto dall’inconfondibile velo d’ipocrisia di una lega che si dichiara “genuinamente” preoccupata per la salute dei propri giocatori salvo poi spingere per incrementare la durata della stagione.
La centesima stagione, in sintesi, ci ha messo davanti ad ogni possibile ragione per la quale amare con totale disillusione e distacco questa lega: ed ora sotto con la XFL che a quanto pare questa volta merita di essere guardata e soprattutto di essere presa sul serio.

Per quanto ci riguarda, tranquilli, ci sentiremo con costanza e puntualità in questi mesi, non temete ché per noi pigiatori-semi-professionisti-ma-molto-professionali-di-tastiere la offseason non esiste: il nostro obiettivo è quello di rendere ciò realtà pure per voi.

One thought on “Un ultimo sguardo alla centesima stagione NFL

  1. Grazie Mattia con questo bellissimo articolo hai già iniziato a non farci mancare troppo questa meraviglia di sport ed a non farci sentire in offseason. Buon lavoro.

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