Per i Kansas City Chiefs sarà il Super Bowl delle seconde possibilità. I curiosi intrecci insiti nella storia della franchigia vanno difatti a creare una serie di curiose unioni che condividono il numero due quale minimo comune denominatore: prima di ogni altra cosa la squadra della famiglia Hunt tenterà di vincere il secondo Vince Lombardi Trophy della sua storia cercando il completamento di una lunghissima redenzione che perdura dal 1970, anno nel quale il leggendario head coach Hank Stram e l’indimenticato quarterback Len Dawson regalarono alla città il traguardo più prestigioso del football americano. Seconda opportunità sarà anche per Andy Reid, che torna al Super Bowl per la prima volta in carriera dal 2004, anno nel quale iscrisse se stesso ed i suoi Eagles all’elenco di illustri vittime mietute dai New England Patriots nella finalissima, e che oggi si ripresenta dinanzi a tale palcoscenico quale titolare del settimo posto ogni epoca tra gli allenatori più vincenti della storia, il ranking più alto tra coloro che non hanno mai vinto il titolo. Proprio quest’anno Reid ha peraltro superato Marty Schottenheimer, altro head coach del tutto spoglio di titoli, il quale a Kansas City ha allenato qualche anno arrivando ad un passo dal Super Bowl con Joe Montana, ex-49ers, in un’altro giro di coincidenze molto interessante.

Patrick Mahomes ha condotto i Chiefs a due profonde corse consecutive nei playoff a soli 24 anni.

Infine, seconda chance è anche per l’edizione 2018 dei Chiefs, quelli che avevano intuito e sviluppato le capacità da automa di Patrick Mahomes giocando una regular season straordinaria e compiendo una memorabile scalata fino al Championship della Afc dove – tanto per cambiare – i sogni di gloria si erano frantumati ancora una volta contro Brady e Belichick in una gara decisa solamente da un overtime beffardo, nel quale lo stratosferico attacco di Kansas City non aveva potuto godere della possibilità di giocare un possesso offensivo per via di un regolamento intriso di polemica, lasciando aperta una ferita molto profonda proprio perché nessuno può oggi conoscere il possibile epilogo di un confronto dove le ipotesi sul cosa sarebbe accaduto se Mahomes avesse potuto dirigere almeno un drive sono molteplici e fondate.

La marcia dei Chiefs targati 2019 è stata molto simile alla campagna di successi della stagione precedente, in parte caratterizzata da alcune incertezze giunte in un momento differente dell’anno ma in ogni caso contraddistinta da quella serie decisiva di successi consecutivi in grado di sparare nuovamente in orbita i ragazzi di Reid, nonostante una parziale involuzione offensiva spesso ben bilanciata dagli evidenti progressi mostrati da una difesa che nel 2018 aveva fatto acqua un po’ ovunque.

Stesso bilancio, 12-4, ma storia del tutto differente. L’anno dell’effettivo esordio di Mahomes a seguito del tutorial trascorso ascoltando i preziosi consigli di un eccellente professionista come Alex Smith aveva portato un parziale di 9-1 poi marchiato dalla sconfitta per 51-54 in un Monday Night storico giocato contro i Rams, lasciando poi spazio ad un paio di incertezze consecutive sul finire della regular season. Quest’anno la squadra ha mostrato la stessa identica consistenza pur risultando meno appariscente dal lato offensivo, dovendo gestire quattro sconfitte in sei partite – alcune delle quali senza il giovane fenomeno, alle prese con un infortunio al ginocchio miracolosamente non devastante – per poi terminare la fruttuosa corsa alla bye week nel primo turno di playoff con la seconda posizione assoluta della griglia, complice il 6-0 ottenuto tra novembre e dicembre ma soprattutto grazie all’inattesa sconfitta dei Patriots contro Miami nella diciassettesima settimana di contese.

Andy Reid allenerà il suo secondo Super Bowl di carriera.

La continuità mostrata dalla franchigia del Missouri è a tratti passata inosservata, parzialmente nascosta dalla comprensibile e spasmodica attenzione mediatica riservata a Lamar Jackson ed alla cavalcata di una Baltimore che sembrava proiettata direttamente alla finalissima di Miami senza nemmeno passare dal via, ma anche dal pensiero che i Patriots non sarebbero ingloriosamente usciti già in fase di Wild Card eliminando l’ostacolo probabilmente più importante, una squadra che negli anni scorsi aveva fatto dei playoff il proprio terreno di miglior esperienza e maggior agio. Muovendo per un istante lo sguardo verso la stagione regolare trascorsa ci si può accorgere che in realtà i Chiefs si erano già aggiudicati entrambe le sfide dirette contro le rivali appena menzionate, anche se poi è necessario effettuare i dovuti aggiustamenti contando su un clima che la postseason inevitabilmente cambia quand’è ora di proiettarvi un possibile rematch, perché alla fine dei giochi ogni partita ha sempre una sua storia ed un suo svolgimento diversi, e nel football americano contano moltissimo il momento di salute del roster, l’inerzia che una squadra possiede in un determinato momento, e tutta una serie di micro-fattori impossibili da analizzare con precisione se non altro per la loro enorme quantità in un gioco fatto di secondi e sincronia nei movimenti.

Laddove l’inerzia di Ravens, Patriots – ma anche di quei 49ers concorrenti non diretti e prossimi avversari al Super Bowl – ha portato via l’attenzione dal sostanzioso cammino di Kansas City, lo stato di salute ha invece contato moltissimo evidenziando ancora una volta la capacità di Reid nel costruire un roster attrezzato con la corretta profondità nell’affrontare le intemperie date dai sempre presenti acciacchi fisici. Fortunatamente l’assenza di Mahomes non si è protratta troppo a lungo e Matt Moore ha svolto un più che egregio lavoro di subentro terminando le sue due partenze da titolare a quota 1-1, la batteria di ricevitori ha compiuto un importante passo in avanti quando Tyreek Hill è stato costretto a saltare quattro gare per l’infortunio alla spalla e pur senza contare su una superstar di grande calibro ognuno tra Robinson, Watkins, Pringle ed il consistente rookie Hardman ha svolto con perizia il proprio compito pur dovendo fronteggiare qualche drop eccessivo, contribuendo al mantenimento del primo posto Nfl in percentuale di conversione di terzi down. Infine, un gioco di corse già non molto producente ha perso Damien Williams a lungo, ritrovando la sua certificata efficacia nelle ultime venti yard giusto in tempo per un finale di stagione costruito sulle cinque mete nelle ultime tre esibizioni, ivi includendo i playoff, ambiente nel quale il running back ex-Dolphins negli ultimi due anni si è sempre distinto positivamente.

Tyrann Mathieu, The Honey Badger, è stato tra gli acquisti determinanti della offseason.

Se Mahomes non può certo essere giudicato dal sostanziale dimezzamento di passaggi da touchdown tra una stagione e l’altra, perché sarebbe altrimenti corretto sia evidenziare la riduzione di intercetti da 12 a 5 ed una postseason composta da 8 mete e nessun turnover, una valutazione senz’altro positiva va assegnata ad una difesa assai progredita rispetto al 2018, ma anche nei confronti di un inizio stagionale meno concreto. Si è sicuramente toccato con mano il frutto del lavoro eseguito da Steve Spagnuolo, assunto quest’anno da Reid per cercare proprio quella svolta che per molti costituiva l’ultimo ostacolo da abbattere per raggiungere la terra promessa, ed i fatti hanno effettivamente confermato questa tesi.

La questione non si è volta automaticamente verso la pass rush com’era presumibile pensare visto che la nota efficacia delle difese 4-3 di Spagnuolo – basti pensare ai Giants del Super Bowl – vive proprio sull’aggressione al quarterback, un esercizio che i Chiefs non hanno svolto con la continuità necessaria nonostante l’arrivo di elementi come Clark, Okafor e Ogbah. Il vero barometro difensivo va difatti assegnato alle secondarie, un anno fa sistematicamente bruciate in copertura ma quest’anno in grado di eliminare nella maggior parte delle casistiche la prima opzione del quarterback, complice l’alto grado di rendimento del nuovo arrivato Tyrann Mathieu, reduce da una stagione spettacolare, al quale si sono abbinate le ottime prove del rookie Juan Thornhill – poi fermato dalla rottura del crociato in occasione della Week 17 – e dal secondo anno Charvarius Ward, un gruppo al quale si sono aggiunte le puntuali giocate del più esperto Daniel Sorensen, giocatore di situazione ma assai determinante.

Si può certamente disporre di queste qualità ma non è detto che ciò sia sufficiente per fare strada nei playoff, ragione per la quale i Chiefs hanno dovuto estrarre tutta la capacità reattiva di loro conoscenza. Nell’incredibile gara contro i Texans lo 0-24 di svantaggio è corrisposto al ritorno di Mahomes ad esibizioni degne di una consolle umana, mentre la settimana successiva si è impedito ai sorprendenti Titans di esercitare il consueto dominio reso possibile dalle corse di Derrick Henry e dalla congiunta mobilità di Ryan Tannehill, rimontando un parziale di 7-17 e tenendo il temuto running back di Tennessee a 7 yard in tutta la ripresa. Proprio quest’ultima sarà una chiave di lettura fondamentale per interpretare il Super Bowl, altra situazione nella quale la difesa dovrà fronteggiare un gioco di corse creativo e sistematicamente in grado di produrre yard positive, facendo fronte alla necessità di non farsi aggirare dai numerosi spostamenti pre-snap dettati dalla fantasia di Kyle Shanahan.

Sarà uno scontro tra filosofie completamente differenti ma assimilabili per ingegno, la dinamica rete di passaggi dei Chiefs verrà opposta all’imprevedibile gioco di corse di San Francisco, Mahomes incontrerà Garoppolo in un confronto che sa di cambio di testimone tra generazioni nel ruolo di quarterback nell’anno in cui Brady e Brees sono usciti di scena prematuramente, ed i blitz intelligenti di Steve Spagnuolo, il cui back seven dovrà attentamente restare guardingo nei confronti delle esplosive opzioni offensive dei Niners, cercherà di avere la meglio nel confronto a distanza con la fortissima pass rush di Robert Saleh.

Lamar Hunt, fotografato con lo sfondo dell’Arrowhead Stadium.

I Chiefs sono ad un passo da una vittoria ancor più significativa, in quanto modo assai pertinente di onorare la memoria di Lamar Hunt, storico proprietario della franchigia sin dai tempi del suo concepimento avvenuto in Texas, ed accreditato per aver inventato il termine Super Bowl dopo averlo scherzosamente riportato all’interno di una lettera scritta nel luglio del 1966 indirizzata all’allora Commissioner della Nfl, Pete Rozelle.

Sarebbe inoltre il coronamento del lungo sogno di Reid, che è anche l’aspirazione massima di chiunque abbia la fortuna di occupare uno dei trentadue posti disponibili sulle sideline professionistiche, un traguardo rincorso a lungo tra l’esperienza di assistente a Green Bay ai tempi di Brett Favre, i tanti anni vincenti a Philadelphia senza mai ottenere il titolo, il dolore per la perdita del figlio Garrett proprio nell’anno del licenziamento dagli Eagles, ed i vani tentativi di fare breccia nella Afc di questi ultimi anni nonostante le consistenti regular season condotte dall’esperienza e dalla minuziosità di Alex Smith, solo per cadere con colpevole puntualità dinanzi all’appuntamento con le vittorie nei playoff.

Domenica notte, nonostante da parte di chi scrive non sussista un particolare gradimento per l’ipotetica vincente, sarà davvero difficile rinunciare a sostenere con simpatia e rispetto questo allenatore da Hall Of Fame, cui manca solo il l’agognato Vince Lombardi Trophy per definire una carriera illustre, longeva e paragonabile solo a quella delle leggende del passato e del presente, come quel Belichick che già una volta gli ha negato l’anello, e che proprio un anno fa è andato a regalargli la più amara tra le beffe di questi ventun anni trascorsi a rivestire con successo il ruolo di head coach ad un passo dal Super Bowl scorso.

Tempo ancora qualche giorno, e scopriremo se sarà Patrick Mahomes, 24 anni ed una brillante carriera già in essere, a regalare al baffuto Andy la più bella soddisfazione della sua esperienza sportiva.

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