Non ci si può nascondere dietro un dito, perdere in NFL fa semplicemente schifo: indifferentemente dal tuo nome, dalle aspirazioni del front office, dalle premesse ed aspettative coltivate in offseason e dalle dinamiche che hanno determinato tale risultato, perdere fa sempre e comunque schifo.
Ogni singola squadra delle otto viste in campo lo scorso weekend è arrivata a due passi dal Super Bowl seguendo strade completamente diverse e, chiaramente, non tutte quattro le compagini uscite dal campo perdenti hanno accolto la elle nello stesso modo: interrogarsi sulle loro prospettive future, con un occhio di riguardo a quanto appena successo, ha decisamente senso, poiché ho come il presentimento che fra un anno molte di loro saranno ancora ben lontane da quel meritato purgatorio chiamato offseason.

Andiamo in ordine cronologico: i primi ad aver visto i propri sogni infrangersi sono stati i Minnesota Vikings, probabilmente la meno delusa delle squadre eliminate. A scanso di equivoci, chiariamo immediatamente che ogni squadra sopravvissuta fino a questo punto della stagione ha legittime e motivate aspirazioni al Lombardi, quindi una sconfitta è indubbiamente bruciante ed avvilente, però in queste ultime settimane Minnesota ha imparato due importanti lezioni: la prima è che Kirk Cousins può vincere i cosiddetti big games, la seconda, ben meno rassicurante, è che la linea d’attacco, nonostante gli investimenti negli ultimi draft, rimane l’anello debole di una catena nella quale tale titolo sembrava indiscutibilmente in mano alla secondaria. Giocare contro un front seven come quello di San Francisco indubbiamente non aiuta, ma in dieci anni di football americano non credo di aver mai visto un massacro di simile portata: senza tirare in ballo i freddi numeri, in ogni maledetto snap Cousins non poteva nemmeno effettuare la prima lettura senza essere pressato, in quanto la folle fisicità dei pass rusher di San Francisco ha fatto sembrare gli adulti grandi e decisamente grossi della linea d’attacco dei Vikings poveri teenager ancora alla ricerca della propria vocazione nella vita.
Tutto ciò per dirvi che sì, puntare il dito contro Cousins sarà sempre e comunque tanto facile quanto pigro visto il contratto, anche in giornate nelle quali non ha mai avuto una legittima speranza: in una partita in cui il running game, concetto al quale è stato costruito attorno l’intero attacco, è in grado di produrre solamente 21 yards in dieci portate comprendere la dimensioni del dominio fisico attuato dal front seven di San Francisco diventa facile anche senza tirare in ballo Cousins.
Qualcuno potrebbe rinfacciarmi che un vero franchise quarterback è in grado di elevare sempre e comunque il talento – o mancanza d’ello – intorno a sé, ma permettetemi di dire che ciò è veramente complicato se ci si trova costantemente in faccia un paio di difensori prima che i propri ricevitori abbiano percorso dieci-quindici yards.

Il 2020, a mio avviso, sarà un anno tanto simile quanto diverso: l’inesistente spazio salariale non permetterà loro di tappare falle tramite la free agency, e con una quasi certa riconferma del nucleo che li ha trascinati fino a questo punto di stagione aspettarsi una replica di quanto visto in questi mesi è estremamente sensato, anche se sarà interessare vedere come opererà il reparto offensivo senza Kevin Stefanski.
In definitiva, signori, i Minnesota Vikings sono questi, una squadra estremamente fastidiosa da incrociare ma non sicuramente imbattibile: la vittoria contro i Saints, però, ha improvvisamente cambiato la narrativa su Kirk Cousins ed il suo contrattone che, lasciatemelo dire, con il passare degli anni non è più così esorbitante ed apparentemente nosense.

Maledetto ordine cronologico: mi tocca tornare sul luogo del delitto e tentare ancora una volta di mettere giù quattro/cinquecento parole sul clamoroso collasso dei Baltimore Ravens.
Permettetemi di dire che chiunque abbia trovato il coraggio di ridere di Lamar Jackson e criticarlo in modo infinitamente ingiusto ed ottuso oltre che ad avere una vita alquanto triste capisce pure poco di football: non sto cercando di assolvere il numero 8 dalle proprie colpe, non ci vuole Peter King ad affermare che la prestazione fatta vedere sabato sia abbondantemente deludente, però nel gioco di squadra per eccellenza imputare le colpe di una sconfitta ad un singolo giocatore è alquanto sciocco, soprattutto se suddetto giocatore ha guadagnato più di 500 yards. Da solo.
Ciò che più mi lascia perplesso del 28 a 12 Titans è quanto velocemente lo staff tecnico di Baltimore abbia rinunciato, ignorato e dimenticato il proprio punto di forza, nonché il motivo principale dietro il loro sorprendente 14-2: il gioco di corse. Sono consapevole del fatto che Jackson abbia totalizzato ben venti portate, ma qualcuno saprebbe spiegarmi come mai Ingram e Edwards abbiano ricevuto solamente otto hand-off? Perché, sotto “malapena” di due possessi, Baltimore ha rinnegato svergognatamente la propria identità tentando di impersonare una goffa imitazione dei Kansas City Chiefs?
Ingram non era ancora al 100%? Perché non affidare il carico ad un running back che ha ampiamente dimostrato di poter essere uno dei migliori power back della lega?
Ovviamente gli atipici turnover e gli ancora più incredibili flop su quarto down sono risultati essere l’ago della bilancia, ma fra qualche anno, ripensando a questa partita, la prima cosa che farà capolino nella mia mente sarà l’ostinazione con cui l’offensive coordinator Roman ha rinnegato tutto ciò in cui crede: è come se Tom Brady di punto in bianco iniziasse a puntare il dito contro il gelatino all’avocado per la deludente – per i suoi standard – stagione appena vissuta.

Fortunatamente il salary cap almeno per il prossimo anno non sarà un problema, in quanto la quasi totalità dell’attacco è sotto contratto pure nel 2020, pertanto investire in difesa e magari aggiungere qualche paia di mani in grado di ricevere ai playoff saranno obiettivi tutto sommato raggiungibili: lo 0-2 ai playoff porta il tifoso esaltato e poco razionale a definire Jackson come meteora che ci ha regalato qualche bel momento in regular season, ma credetemi quando vi dico che ci sono tutti gli ingredienti necessari per definire questi Ravens guidati dal buon Lamar come una delle prossime perenni contender.
Principalmente grazie al proprio quarterback.
Che poi, detto fra noi, non credo avranno la sfortuna di incrociare il loro destino con quello di un Derrick Henry del genere ogni singolo anno… o almeno spero.

Houston… oh, Houston.
Come si può parlare di una sconfitta del genere? Va bene che non è finita fino al fischio finale e che bla bla bla, cliché sportivo a caso, bla bla bla, ma sul 24 a 0 anche il più folle tifoso dei Chiefs aveva ben donde di credere che forse Kansas City si stesse scavando una fossa troppo profonda da cui riemergere, anche per i loro standard.
Come non detto.
Dinanzi al 24 a 0 con cui Houston ha chiuso i primi quindici minuti di gioco uno avrebbe potuto meravigliarsi al cospetto dell’apparente brillantezza difensiva: sì, nel caso in cui questo “uno” non stesse guardando la partita, in quanto ad aver reso possibile tutto ciò ci ha pensato una serie infinita di errori di Kansas City. Era quindi questione di tempo, almeno nella mia testa, prima che i valori in campo emergessero e che la difesa di Houston venisse travolta da quella magnifica ed armoniosa marea rossa che è l’attacco di Kansas City. Il semplice fatto di aver incubato sensazioni del genere ci dice tutto ciò che dobbiamo sapere sia sul valore dei Chiefs che sull’inettitudine della difesa di Houston, reparto che qualche anno fa era fra i più temuti e rispettati della lega: ora come ora la loro secondaria non incute timore neanche al più docile quarterback rookie che siete in grado di nominare e pensare di contenere Travis Kelce chiedendo al povero Lonnie Johnson Jr. di diventare la sua nuova ombra… non credo sia la migliore delle idee.
Le responsabilità dietro tale sconfitta, tale incompetenza d’organico e dietro ogni cosa negativa che accade a Houston città è da attribuire a Bill O’Brien, de facto general manager che non ha mai dimostrato nulla per meritare tale titolo: nel momento in cui si è assunto la responsabilità di costruire la squadra seguendo le sue idee e rispondendo delle proprie azioni solamente al cospetto del presidente McNair, se la difesa – infortuni a parte, che però fanno parte del gioco – è da un paio di anni così incompetente, la colpa è da attribuire solamente a lui.

Immagino che pure nel 2020 combatteranno, partendo da favoriti, per la division – Titans ed orgoglio dei Colts permettendo – e che in un modo o nell’altro accederanno ai playoff per la quinta volta durante la gestione O’Brien e che, una volta arrivati lì, puntualmente emergeranno tutti i loro limiti e boom, fuori al Divisional Round; sempre che trovino la Buffalo di turno che regali loro la possibilità di giocare tale partita.
È una questione prettamente filosofica: se ai piani alti va bene arrivare semplicemente ai playoff allora la strada intrapresa è quella giusta, nel caso però volessero sfruttare l’accecante talento di Watson, potrebbe essere necessario un cambio di guardia in panchina.

Chiudiamo con Seattle, la squadra che a mio avviso può essere definita la più sfortunata in assoluto – Eagles a parte – di questa postseason, una squadra costruita intorno al running game, fatto funzionare magnificamente dall’ispiratissimo Chris Carson che ha scoperto in Rashaad Penny un’ottima spalla e… per Dio, due infortuni gravi in due settimane, wow.
Il ritorno di Marshawn Lynch mi ha scaldato il cuore e mi ha permesso di vederlo varcare le porte della end zone un altro paio di volte, ma suvvia non facciamo i naif: i running backs di Seattle, nelle due partite di playoff, hanno accumulato 58 yards in 34 portate o, se preferite, 1.7 yards a portata. Questi non solo non sono numeri da football vincente, non sono semplicemente numeri da football NFL.
Russell Wilson ha tutte le abilità necessarie per essere un pocket passer e comandare un gioco aereo estremamente efficace, ma considerando come sono stati costruiti questi Seahawks quest’anno ciò non era possibile: la linea d’attacco rimane ancora gravemente inadatta a proteggerlo ed al di fuori del duo Lockett-Metcalf il corpo ricevitori è decisamente troppo scarno per preoccupare eccessivamente le difese altrui, pertanto comprendere le ragioni dietro il 21 a 3 con cui si sono presentati alla pausa lunga diventa piuttosto facile.
Il talento di Wilson da solo è quasi riuscito a riacciuffare per i capelli pure questa partita, ma molto semplicemente non vedo possibile imputare colpe o negligenze in loro direzione: gli infortuni hanno rubato loro l’identità ed in questo weekend di football abbiamo avuto modo di vedere quanto questa parola possa essere importante nel periodo più scottante della stagione.

Credo che le loro prospettive per la prossima annata rimangano le stesse, e che con qualche investimento in difesa le possibilità di arrivare al Super Bowl aumentino esponenzialmente: rinnovare Clowney, nonostante i tanto miseri quanto ingannevoli tre sacks messi a segno, deve essere una priorità, in quanto pochi difensori sono in grado di far sentire il loro impatto sulla partita senza che il foglio delle statistiche sia in grado di rendere la necessaria giustizia.
Con anche la sola parvenza di un running game molto probabilmente Seattle sarebbe riuscita a presentarsi a San Francisco per il terzo capitolo di ‘Hawks-‘Niners, ma come già detto più e più volte, gli infortuni fanno parte del gioco, così come le sconfitte e le eliminazioni.
Il bello dello sport è proprio questo: c’è sempre l’anno dopo.

5 thoughts on “NFL: lo stato di salute delle perdenti al Divisional Round

  1. Ravens e Vikings quelle messe meglio tra le due. Seattle e Houston per come stanno sono destinate a finire spesso ai playoff e farci poca strada.
    Le 4 rimaste in corsa sono tutte fortissime (checchè si possa pensare dei Titans: nessuno ha mai battuto i Patriots per caso) e chiunque vinca sarà meritevole.
    Pregasi notare cosa accomuna le contender: pocket passer (ai Ravens manca).

  2. Secondo me cousins è un buon QB, non un fenomeno ma un direttore d’orchestra preciso e affidabile, non è colpa sua se Minnesota ha deciso di pagarlo come fosse Aaron Rodgers o Tom Brady. E, onestamente, anche pensando di sostituirlo, chi c’è in giro meglio di lui il cui team accetterebbe una trade? Forse Cam, ma se si presenta quello di qualche season fa.
    Concordo su Jackson, in generale Baltimore mi sembra abbia sofferto la pressione del favore di pronostico e non ha trovato nessuno che la treascinasse fuori dagli impicci. Cosa che ho visto fare a kelce tra i chiefs. È stato lui a trascinare squadra e pubblico nel momento dello 0-24, mahomes ci ha messo il suo talento e la capacità di cogliere il fuoco negli occhi del suo TE che fino a quel momento aveva sbagliato tutto, Jackson quell’aiuto non lo ha avuto.
    Infine Houston è un po’ il contrario di Minnesota. Grande talento nel ruolo di QB e buchi negli altri reparti, dovrebbero fondere le due franchigie, diventerebbero imbattibili. :)

  3. Il bello di questo gioco è che Houston anziché fare catenaccio come spesso sono solite fare le squadre di calcio ( italiane? ) sopra di molto ha provato a chiudere un 4 down e quindi ad incrementare il vantaggio con la finta di punt. Per me la cosa più bella che hanno fatto. Coraggio e ancora coraggio, gli è andata male, avrebbero perso lo stesso? Quasi sicuro perché la Mahomes/Kelce marea stava salendo, ma che atteggiamento!!! Splendidi!

  4. Caro Mattia, mi spiace ma i tuoi Ravens hanno fatto il massimo e nulla potranno fare di più in futuro, salvo miracoli, con il buon Lamar in regia. Baltimore non ha sicuramente perso solo per colpa sua, ma come dico da sempre, quando hai a QB uno che corre e basta (praticamente)…. allora per vincere qualche cosa devi veramente avere tutti gli altri reparti davvero superiori alla media di molto. E sfortunatamente non è questo il caso dei Ravens. Il buon Lamar è anche migliorato a dire il vero sui lanci, ma mai nella vita sarà quel signal caller che vi tirerà fuori dai problemi col lancio giusto al momento giusto o con la scelta giusta imprevedibile: non ha il braccio preciso, non ha l’occhio e nemmeno il timing per potersi confrontare con gente tipo Brees, Brady, Russell, Rodgers o Mahomes. Quindi, a mio parere, finchè c’è lui al timone, questo sarà il massimo alla portata in futuro per Baltimore. I Vikings credo abbiano ricevuto una lezione che non dimenticheranno per molti anni: la loro linea offensiva è stata DISINTEGRATA dalla pass rush (n. 1 NFL) dei 49ers!!! Non pensavano certamente di essere ancora così indietro nella OL e così il loro futuro sarà mirato al miglioramento di questo reparto. Cousins non è e non è mai stato un QB stellare, però, adeguatamente protetto, è sicuramente abbastanza per portarli lontano. Seattle secondo me può essere soddisfatta di quanto fatto. La squadra di Carroll è palesemente in fase di transizione e ricostruzione, ma ha già fatto molto. Il QB c’è, lo staff pure. La squadra ha smantellato negli ultimi due anni gran parte della difesa e ha bisogno di qualcosa di più in attacco (manca qualità tra i WR e anche a TE). Non credo che neppure loro si attendessero già una stagione così positiva. Devono riempire il telaio con pochi tasselli solo a mio parere. Houston invece è quella che vedo peggio, nel senso che secondo me è la squadra che ha fatto più sforzi per giungere dove è arrivata. La difesa ha tirato la carretta tutta la stagione anche quando il mostruoso J.J. Watt non ha brillato. Vedo tanti buoni giocatori, ma tanti spot che necessitano di forti upgrade per andare oltre nei playoffs. Watson non mi esalta, il gioco delle corse è medio, la linea offensiva è media, la secondaria difensiva è media, la pass rush ha perso Clowney (e si è visto, dato che adesso gli avversari isolano molto meglio Watt), in attacco a parte De Andre non vedo fenomeni. Insomma mi pare che siano quelli più bisognosi di ritocchi (consistenti) di tutti per fare ancora uno step in avanti, anche se lo staff ha fino ad ora fatto un lavoro egregio per trovare un amalgama davvero buono dopo una partenza di stagione disastroso.

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