JAGUARS, I PROBLEMI SONO ALLA BASE DELLA STRUTTURA SOCIETARIA

Tom Coughlin ha fatto valere troppo la sua tendenza al comando.

L’ultima e prevedibile novità in casa Jaguars è la fine dell’esperienza di Tom Coughlin quale vice presidente esecutivo delle cosiddette football operations. La discussione verte non tanto sulla decisione in sé ma sulla tempistica ancora così arretrata rispetto all’arrivo della offseason, appesantita dalle lettera spedita dalla Nfl Players Associations a ciascun giocatore presente in un roster professionistico. Terreno certamente minato per l’organizzazione, nei confronti della quale la lettera sottolineava la forte presenza (ben il 25%) di cause intentate da giocatori Nfl in direzione del metodo conduttivo della franchigia stessa, innescando la conseguenza della possibile perdita di risorse in free agency. Coughlin era stato assunto in qualità di figura prominente per una squadra priva di una storicità significativa della quale era stato il primo head coach di sempre, la sua presenza forte e spiccatamente tendente al comando doveva instaurare una forte stabilità nella cultura dello spogliatoio e c’era tutto sommato riuscita, perlomeno in virtù di quel Championship della Afc perso contro i Patriots nonostante il provvisorio vantaggio.

La struttura societaria, una volta tirate le somme, non ha però funzionato. Coughlin ha avuto la decisione finale in un numero troppo elevato di campi, facendo retrocedere il general manager Dave Caldwell ad un ruolo più ristretto ed intromettendosi spesso in questioni normalmente riservate a coach Marrone, ottenendo l’effetto esattamente contrario. Ora è necessario eseguire i dovuti conteggi verso una decade con una sola stagione vincente, il 2017 appunto, e le altre nove terminate con un massimo di cinque vittorie, a meno che i Jaguars non si aggiudichino il season finale di domenica. Difficile che l’ascia vada a tagliare la testa proprio di Marrone, dato che le problematiche più che a livello tattico paiono provenire dal settore dirigenziale ed organizzativo. Shad Khan si è sempre dimostrato paziente nel concedere tempo ai suoi allenatori – Mike Mularkey l’unica eccezione – ma se decisioni forti debbono pervenire allora è necessario concentrarsi su tutti gli errori commessi in fase di allestimento del roster, errori che oggi si stanno pagano cari soprattutto dal punto di vista del monte-salari.

Il quadriennale versato nel conto corrente di Nick Foles per 50 milioni di dollari garantiti ha portato solamente 736 yard, 3 passaggi da touchdown e 2 intercetti, di certo conta molto l’infortunio alla clavicola patito alla prima stagionale ma al rientro l’ex-Eagles non ha certo fatto vedere nulla di così efficace, facendosi definitivamente soffiare il posto da Gardner Minshew. Questo innesca un ragionamento secondo il quale un contratto così pesante non può certo essere mosso dopo una sola stagione, costringendo i Jaguars a convivere con questo dualismo almeno per un’altra stagione, dato che il dead cap fornito da un eventuale taglio di Foles porterebbe a gettare al vento ben 33 milioni di dollari occupati per nulla. E Jacksonville nulla può permettersi di tutto ciò, dato che l’attuale annata sta già portando a conclusione un peso di oltre 16 milioni causato da un altro errore dirigenziale, Blake Bortles, che guarda caso occupa lo stesso identico ruolo dei due sopra citati.

La rifondazione deve casomai ripartire dalla definitiva rinuncia a Marcell Dareus, perfettamente rimpiazzabile da una soluzione meno costosa proveniente da un draft dove la squadra godrà di nove selezioni, ma anche da eventuali ristrutturazioni di contratti troppo onerosi rispetto all’età anagrafica (Calais Campbell) o che sono frutto di valutazioni rivelatesi errate (A.J. Bouye, Andrew Norwell), perfette esemplificazioni di giocatori che sono risultati solo nella media pur detenendo accordi scritti di alto livello. La ristrutturazione delle due linee, urgente, dovrà partire dalla conferma di Yannick Ngakoue, prolifico pass rusher che ha già giocato a braccio di ferro con la dirigenza la scorsa estate e che potrebbe vedersi affibbiare il franchise tag, senza contare i vuoti nelle posizioni di linebacker e tight end, dove il talento scarseggia. Il primo passo resta quello di ristabilire gli ordini gerarchici e le responsabilità di ciascuno, senza più vivere nella confusione che tanto ha guastato i risultati ottenuti sul campo.

JETS, UN FINALE DI STAGIONE SE NON ALTRO DECENTE

Jamal Adams è uno dei protagonisti del buon finale di stagione dei Jets.

I risultati non saranno di certo eclatanti, ma i Jets hanno comunque trovato un modo di chiudere la stagione in maniera se non altro decente. Dalla misera prospettiva di inizio campionato si è difatti passati al 5-2 delle ultime sette uscite, un record compilato contro squadre mediocri inframmezzato dalla pessima sconfitta con i Bengals ma comunque ottimo per il morale e la prospettiva, e Gase sembra aver trovato un nuovo mantra da applicare viste le approssimative condizioni mediche del roster, giocare il meglio che si può limitando gli errori sfruttando ciò che rimane di una formazione sterminata dagli infortuni.

L’idea ha senza dubbio funzionato contro gli Steelers, battuti per 16-10 in una partita tiratissima dal punto di vista delle rispettive pochezze offensive, una gara che New York ha chiuso con 259 yard di total offense, 14 primi down e la miseria di 4 terzi down convertiti in 15 tentativi. Non può passare inosservato il fatto che l’attacco ha utilizzato la decima combinazine stagionale per una linea offensiva che mai ha trovato il ritmo e di certo non ha contribuito a creare spazi eccezionali per un Le’Veon Bell fermo a 3.3 yard per portata in stagione, cifre ben distanti rispetto all’onerosità dell’operazione che i Jets avevano concluso con il precedente regime dirigenziale. Tra gli indubbi meriti da ricondurre al quintetto di fronte c’è l’aver tenuto una pass rush contenente Watt, Heyward e Dupree a soli due sack e quattro qb-hit totali, un’autentica impresa per uno schieramento dove il solo Beachum sembrerebbe essere degno del ruolo di titolare in una qualsiasi altra squadra Nfl.

Gase ha scommesso forte sulla sua difesa e ne ha avuto ragione, nonostante le assenze importanti che hanno afflitto un pò tutto il back seven la squadra è riuscita a mortificare tanto Hodges quanto Rudolph, giocando un secondo tempo straordinariamente chiuso senza concedere punti ed elargendo solamente 61 yard di total offense ad un avversario che ha dovuto chiamare in causa il punter in ben cinque occasioni negli ultimi trenta minuti effettivi. Parte della chiave di volta difensiva è pure individuabile nella corretta combinazione costruita attraverso Adams e Maye, con il primo libero di essere utilizzato in maniera versatile sfruttando appieno un talento da All-Pro, ed il secondo ad assicurare presenza e big play pattugliando il centro del campo quale ultima linea disponibile, una sicurezza che non tutti si possono permettere e che permette a Gregg Williams di usare la fantasia con il giocatore difensivo più forte del roster senza rischiare nulla in profondità.

Se non altro una stagione cominciata con sette stop nelle prime otto uscite e la squadra in piena concorrenza per la prima scelta assoluta si è trasformata in un campionato dal quale si possono trarre utili indicazioni per il futuro. Nonostante assenze pesanti come quelle di Williamson e Mosley la difesa ha eretto un autentico muro contro le corse, al di là dell’inesperienza delle secondarie quanto ottenuto in termini di yard e punti al passivo è quantomeno rispettabile, sempe proporzionato alle precarietà del roster. Una maggior consistenza difensiva potrà senz’altro essere recuperata con il rientro degli infortunati, pertanto le indicazioni di approccio alla offseason vanno con decisione verso l’attacco, che necessita del sostanziale progresso di un Darnold a tratti disastroso ma sul quale è lontano il momento di gettare la spugna, magari aiutandolo inserendo un tasso più alto di playmaker che possano fare la differenza, oltre che una linea più competente nel dargli tempo.

LA NO-HUDDLE DEI RAVENS

Mark Andrews, a destra, ha segnato due mete contro Cleveland.

Tra le varie lezioni di onnipotenza che abbiamo imparato dai Ravens in questa fantastica cavalcata di regular season spicca la capacità di metamorfosi di uno dei reparti offensivi più prolifici della lega. L’abbiamo osservata molto bene domenica in una partita molto strana, dove i ragazzi di John Harbaugh si sono ritrovati impastati dinanzi ai Browns offrendo un primo quarto di netta inconsistenza, per poi cambiare marcia sul finire del secondo quarto e non voltarsi mai più indietro. Inconsueto, difatti, vedere Baltimore senza segnature nei primi quattro drive di una qualsiasi partita se non altro per le evidenti possibilità offensive fornite da Lamar Jackson, un principio di gara dove gli esiti si sono ridotti ad essere un quarto down non convertito, un turnover e due punt, una serie di errori dai quali il reparto offensivo si è ripreso variando la sua conformazione da attacco capace di gestire a piacimento l’orologio ad un innalzamento dei ritmi reso possibile dal salto alla no-huddle, dando luogo ad una perfetta esecuzione della two-minute offense.

Crediamo sia una chiave importante in ottica playoff, perché non si tratta di un aspetto che i Ravens hanno utilizzato spesso e quindi può essere meno studiato dagli avversari. Uscire dalla propria natura è proprio una delle peculiarità necessarie per fare strada in postseason, e riuscire a risolvere una situazione complessa in pochi secondi può fare tutta la differenza del mondo. Ne sono bastati meno di ottanta per inscenare due serie di giochi che hanno abbattuto quanto di positivo svolto dalla difesa dei Browns in quasi due quarti interi, con Jackson protagonista di sette completi, 139 yard e due mete con la coscienza che si sarebbe goduto anche del possesso di apertura del secondo tempo, occasione nella quale l’attacco coordinato da Greg Roman è rientrato nella sua normale dimensione ed ha potuto segnare una meta che sapeva già di staffa non appena iniziato il secondo tempo.

Baltimore non può dunque essere limitata a livello offensivo ed ha preso consapevolezza del fatto che uno svantaggio non deve per forza corrispondere al panico, perché in quei due minuti Jackson ha infilato un big play dietro l’altro, confezionando ben tre giocate di 24 o più yard con irrisoria facilità. Una volta ristabilita la situazione il secondo tempo si è trasformato nella consueta passeggiata dove Jackson poi accumula statistiche degne dei libri di storia, con 238 yard e 3 mete complessive, oltre alle 103 yard su corsa con le quali ha alimentato un secondo tempo dove la squadra ha portato a casa 17 punti in tre drive, terminando la demolizione della stessa Cleveland che all’inizio dell’anno si era permessa il lusso di essere una sola delle due squadre sinora in grado di battere i Corvi.

Ed ora quella postseason si avvicina davvero, tempo quindi di affilare le armi e recuperare dai numerosi acciacchi che hanno coinvolto Jackson ed Andrews – il tight end delle meraviglie – in minor intensità, e che vedono invece Ingram alle prese con un problema non indifferente al polpaccio. Nonostante le velleità battagliere di Harbaugh nell’andare con onore fino in fondo nonostante la certificata acquisizione del primo seed della Afc, difficile che Baltimore si schieri a ranghi completi in una partita del tutto inutile come quella contro Pittsburgh, dando di fatto due settimane di pausa a chi ha contribuito maggiormente all’ottenimento di questo esclamativo 13-2. Poi si comincia a fare sul serio, e la pratica di questa no-huddle prima o poi tornerà certamente utile.

JAMEIS WINSTON ED IL VIZIO CHE NON SMETTE

Per Jameis Winston un’altra partita plagiata da ben quattro intercetti, la terza stagionale.

Da un certo punto di vista sarebbe più corretto soffermarsi sulla striscia vincente di quattro partite che ha in qualche modo salvato la rispettabilità di Tampa Bay nell’ottica dell’ennesima stagione priva di qualificazioni alla postseason invece che soffermarsi sul sempre alto rapporto di intercetti che oramai plagia di continuo le prestazioni di Jameis Winston. Risulta tuttavia impossibile ignorare la nota propensione al turnover dell’ex-quarterback di Florida State, sempre pronto a tirar fuori dal cilindro la giocata impensabile centrando quella piccola finestrella nel traffico ma altrettanto fulmineo nel sotterrare da sé le ambizioni dell’intera squadra, proprio come dimostrato domenica in occasione della sconfitta contro Houston, che quella fila di vittorie è andata a chiuderla in maniera beffarda.

La sensazione di beffa sta proprio nel fatto che i Buccaneers, nonostante i due intercetti lanciati nei primi tre passaggi che senza una penalità sarebbero ambedue scaturiti in un pick-six nel giro di una manciata di secondi, sono rimasti in partita fino alla fine, ovvero fino al momento dell’ultimo dei quattro passaggi errati e terminati nelle mani dei difensori texani. Si è trattato della terza partita stagionale con almeno quattro intercetti, un dato che deve preoccupare al di là delle vittorie recentemente ottenute dai Bucs, che porta la somma complessiva del 2019 a quota 28, peggior dato Nfl degli ultimi 14 anni, momento in cui il grande Brett Favre giunse a quota 29.

Un vero peccato, perché la partita difensiva di Tampa era stata niente meno che eccellente. 229 yard di total offense ad un avversario che conta su Watson e Hopkins, forzando brevi ed infruttuose serie di giochi restituendo linfa vitale ad ogni possesso ad un quarterback che ha completato due passaggi ai difensori avversari prima ancora che centrare i suoi stessi ricevitori, creando il minus di 10 punti rivelatosi essenziale rispetto al 20-23 finale. Niente di tutto questo pare spaventare la dirigenza di Tampa, che secondo voci di corridoio è interessata a dare un’altra chance al suo quarterback contando sulla sua abilità di effettuare grandi giocate e scommettendo di nuovo sulla capacità di Arians di ridurre drasticamente questo altissimo numero di errori. E’ una decisione tutt’altro che semplice, la quale potrebbe scaturire in un franchise tag che dovrebbe servire come banco di prova in attesa di un qualcosa di definitivo, perché se da un lato gli intercetti fioccano, dall’altro non si possono nemmeno ignorare le oltre 4.900 yard e le 31 mete, ulteriori record di franchigia già scritti da Jameis in precedenza.

Di certo non si può evitare di soppesare adeguatamente la frattura al pollice riportata la settimana scorsa proprio alla mano con cui Winston lancia, tuttavia va comunque detto che il quarterback ha sprecato un sacco di opportunità sul profondo per mancanza di tocco e timing nei confronti dei suoi ricevitori, alcuni dei quali andrebbero giustificati con l’inesperienza, ma anche questi episodi non fanno altro che sostengono la tesi delle mancate opportunità, che a nostro avviso costituiscono tutta la differenza tra dei Buccaneers da playoff e la solita squadra né carne né pesce, che vive in quel fastidioso limbo tra il non troppo pessimo e quell’ultimo passo che non arriva mai, nessuno dei quali è in grado di condurre ai playoff.

TOM BRADY, LA CONDANNA DEI BILLS

Tom Brady ha sconfitto i Bills per la trentaduesima volta in carriera.

A nulla è servito presagire l’ennesima idea che questa potrebbe essere l’ultima stagione di Tom Brady ai Patriots, in quanto la stessa non è bastata ai Buffalo Bills per togliersi di dosso un presagio che li perseguita da quando il numero dodici ha fatto ingresso nella Nfl. L’ennesimo tentativo della squadra di Orchard Park nel tentare di portare via una Afc East che andrebbe oramai intitolata a Belichick per evidenti meriti è andato nuovamente male, ancora una volta è il sorriso vincente di Brady ad uscire vincitore dalla competizione confermando l’immutabilità del risultato, la vana natura del cercare di cambiare un qualcosa che è scritto sulla pietra. Nonostante le evidenti difficoltà di New England nelle partite precedenti a questa – nelle quali, tanto per dirne una, il leggendario quarterback aveva tenuto una percentuale di completi del 51.5% – Brady ha riservato ai Bills un trattamento degno della sua incarnazione più letale, completando i primi dieci passaggi tentati terminando la sua personale prestazione con 271 yard, la meta del pareggio nei confronti di Peyton Manning nella speciale classifica all-time, e 26 passaggi completati su 33, tornando per una volta l’automa che è sempre stato.

Nessuno ha mai battuto una singola squadra in 32 distinte occasioni. Brady vi è riuscito frustrando i Bills in maniera esponenziale. E quello di domenica è stato il diciassettesimo titolo della Afc East, che per quanto poco possa contare rappresenta pur sempre un dato che fa strabuzzare gli occhi, perché fa pienamente comprendere il netto dominio di cui stiamo parlando, facendo tornare quella sensazione di lotta contro i mulini a vento che i Bills, come Jets e Dolphins, hanno inutilmente ingaggiato in questi lunghi anni di sofferenze assortite. C’è da dire che Buffalo si è rivelata essere avversaria ostica, in grado di beffare la forte difesa dei Patriots con un trick play eseguito come da manuale e che si è presa un vantaggio interessante sul finire del quarto periodo grazie alla meta di 53 yard di John Brown, altro big play inusuale per questa edizione bostoniana.

Poi l’epilogo, scritto ancora nella stessa maniera, Brady in completo controllo nel quarto periodo, Edelman che centra una presa di 30 yard non appena rientrato in campo dopo un esame anti-commozione, Burkhead che segna dalla yarda ed i Bills di nuovo a rincorrere, come sempre, sperando sulle buonissime giocate di un Allen in palla ma schiantandosi contro il solito muro di quel quarto tentativo non convertito, l’ultimo filo di speranza prima di arrendersi all’inevitabile. Edelman, che quel drive di cui sopra l’ha coronato con una conversione da due che ha scritto le opportune distanze tra le squadre, da quando gioca in Nfl – undici anni – ha sempre vinto la division. Così, tanto per rendere l’idea.

Ancora una volta la pratica è stata dunque archiviata, la vittoria divisionale per i Patriots è un compito minimale se paragonato agli obbiettivi di questa prestigiosa franchigia, tra poco è tempo di riaprire la vera stagione di New England, quella che la squadra ha sempre affrontato con grande abilità e conoscenza della pressione, preparatissima ad ogni evenienza, vincente anche quando non è riuscita a conquistare l’anello. Magari oggi i ragazzi di Bill Belichick non saranno più i favoriti come lo furono ad inizio anno, merito di Lamar Jackson e della corazzata chiamata 49ers, ma le lezioni del passato hanno insegnato veramente tanto. Non è proprio il caso di sottovalutarli, visti i segnali di continuità che danno, i quali sono gli stessi che a Buffalo hanno imparato a non digerire più.

GAME REWIND OF THE WEEK: 49ers @ Rams

Sì, vero, spesso ci sono loro qui, i ragazzi di Kyle Shanahan, che poi alla fine è un ragazzo anche lui ma possiede innate doti di playcalling tali da riuscire a risolvere quasi ogni situazione. Ancora una volta sul filo di lana i Niners si portano via la dodicesima vittoria stagionale, cacciando contemporaneamente i rivali Rams dalla corsa ai playoff, e per la prima volta in carriera Sean McVay non allenerà nel mese di gennaio.

STAT LINE OF THE WEEK: 24 rush, 166 yds, 2 TD

Di lui ne abbiamo parlato proprio una settimana fa, ha migliorato nettamente il gioco di corse dei Cardinals e se Arizona corre ha dimostrato di poter vincere con una discreta costanza nonostante le fanfare sul gioco aereo di Kingsbury. Kenyan Drake mette su una stat line impressionante approfittando dell’accumulo di infortuni patiti dai Seahawks contribuendo ad una vittoria di grande prestigio, contro un avversario menomato ma comunque sempre letale.

ONE LINERS OF THE WEEK:

  • La prima giornata in carriera di Daniel Jones con 5 passaggi da touchdown porta anche la firma della pessima difesa dei Redskins.
  • C’è un solo, solito, grande, immenso Julio Jones.
  • L’ascesa di DeVante Parker nella seconda parte di stagione è stata troppo evidente per essere sottovalutata.
  • Za’Darius Smith è stato una gran bella acquisizione in free agency per la rinnovata difesa dei Packers.
  • Alvin Kamara si è finalmente ricordato la strada per la endzone, un’ottima notizia per i Saints dal momento che il running back non segnava dal mese di settembre.

A LOOK AHEAD:

  • Tennesse incontra Houston per la seconda sfida stagionale, una vittoria dei Titans non vince la division ma basta comunque a qualificarsi per i playoff.
  • I Patriots devono battere Miami per blindare il bye nel primo round di postseason, i Chiefs sperano nell’upset per evitare la Wild Card.
  • Dallas ospita i Redskins con l’obbligo di vincere e sperare contemporaneamente nella sconfitta degi Eagles a New York contro i Giants. Una mezza impresa, insomma.
  • San Francisco e Seattle si giocano la Nfc West e soprattutto uno dei primi due seed della Nfc, con lo speciale ritorno in campo di Marshawn Lynch. Chi perde cala immeritatamente al quinto posto della griglia.

See ya!

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