L’ennesima ottima stagione a Minnesota porta i Vikings ad essere considerati come una variabile impazzita da evitare a tutti i costi nel primo turno playoff, dove si dovrebbero presentare come wild card, a meno di clamorose sorprese.

Già questo fa riflettere ed eleva ancora più in alto l’enorme effort che il team di Mike Zimmer, al comando della truppa dal 2014, deve compiere annualmente per restare elite del football, arrivando a fine torneo a non meritare un seeding da testa di serie soltanto per il livello mostruoso che abita la NFC e che in parecchi dimenticano quando c’è da dare addosso e criticare Cousins e compagni. Guardando la schedule possiamo inoltre aggiungere che se non si fossero perse in modalità clutch le trasferte a Kansas City, Chicago e Green Bay, il record sarebbe stato quasi immacolato e l’unica debacle, più psichica che tecnico/tattica, rimarrebbe dunque solo quella di Seattle, quando sul 17/10 all’intervallo si è smesso di giocare, vanificando poi un’onorevole rimonta finale.

La vittoria coi Chargers è stato probabilmente l’ultimo tassello per prenotare una nuova avventura in postseason, togliendo a sorpresa dallo spot WC i favoriti di inizio anno Rams.

Una classifica da 10-4 purtroppo non è ancora sufficiente per assicurarsi né il bye week ma clamorosamente nemmeno il vantaggio casalingo, persino se si vincesse all’US Bank Stadium lo showdown sui Packers del prossimo fine settimana! Molte, troppe, sarebbero difatti le combinazioni necessarie per guadagnarsi il gagliardetto della North, in primis lo scontro diretto che andrebbe in parità e poi l’andamento divisionale tutto a favore di Rodgers e soci. Nella week 17 esclusivamente con l’ulteriore sconfitta di Green Bay a Detroit e (ovviamente) la W contro i Bears (più difficile anche se Chicago è già out) da parte Vikings si vincerebbe il girone e si andrebbe alle conte per il round bye: molto dura!

 

Ragionando in modo più realistico i ragazzi di Zimmer sono arbitri del proprio destino se vogliono proseguire l’anno e acquisire il clinch, senza guardare in casa altrui, anche se a dare loro l’ok sarebbe sufficiente una L dei Rams nelle restanti due gare. Senza fare ulteriori calcoli e combinazioni conveniamo però che agguantare il quinto seed darebbe a Minnesota la possibilità di giocarsi il primo turno a Dallas o Philadelphia, uniche franchigie a mantenersi scostanti durante l’arco stagionale e a far intravedere più crepe rispetto a Seahawks, Packers, Saints e 49ers.

Quel che risalta di Mike Zimmer negli anni, è aver studiato molteplici tattiche per pareggiare le peculiarità che i propri roster gli mettevano di fronte, lavorando in modo maniacale assieme ai suoi coordinatori per rendere l’efficienza delle due fasi di gioco paritaria, in particolare l’O-Zone, mai similare ai prodigi della retroguardia, con lui al top in ogni campionato tranne il 2016!

Dall’avvento di Cousins dietro al centro i risultati si sono assolutamente aggiustati fino all’eccellenza odierna, per la bravura del rookie Bradbury, Elflein, la new entry Kline, O’Neill e Riley Reiff, che proteggono l’ex Redskins meglio che nel 2018 (26mo adesso con 23 sack subìti) e riportano alla luce la perfect season a livello statistico di due tornei fa, quando Pro Football Focus piazzò la difesa di George Edwards e l’attacco di Pat Shurmur rispettivamente al quarto e sesto posto del ranking in entrambe le categorie! Oggi, dopo il flop DeFilippo, col subentrante Kevin Stefanski, Kubiak assistente e advisor e lasciando ovviamente al ruolo di potere il DC, le classifiche sui generi sono quasi uguali e per un ottantina di yards incassate si lambisce la piazza numero 4 di Seattle e San Francisco e per 400 il podio dei Bears, mentre in attacco la quinta poltrona è la conseguenza di un pregevole lavoro di gruppo! Solamente Ravens e 49ers (prime per pts realizzati a incontro e quarta e quinta negli incassati) tra le big superano Minny sull’equilibrio statistico, tenendo però conto che Baltimore sfrutta più le individualità di Jackson rispetto a un game plan corale.

Da notare ed esaltare inoltre il fatto che le offseason da queste parti non riservino quasi mai novità di rilievo se non nei rinnovi e nel recente contratto monstre del qb, d’altronde unico di spessore libero la scorsa campagna al quale affidare la direzione del playbook. Le superstar di ieri, quelle che stanno sbocciando oggi e le altre in rampa di lancio, sono quasi tutte nate e cresciute in casa, sotto l’ala protettiva dell’head coach, maestro perciò pure nello scoprire e dare fiducia a nuovi talenti in tutti i comparti, sostituendo con loro uomini di spessore emigrati in altri lidi (Sheldon Richardson su tutti).

In una retroguardia formidabile nel recupero ovale troviamo perciò Odenigbo dai Cardinals che ha ottenuto qui la stima necessaria per emergere, al fianco di Jaleel Johnson, del veterano Joseph e di due belve assatanate del calibro di Danielle Hunter ed Everson Griffen, oppure Anthony Barr (prolungato in estate), Eric Kendricks e Ben Gedeon (IR) nella linebacker room, per chiudere con la stella un po’ sbiadita di Xavier Rhodes e quelle splendenti di Anthony Harris e Harrison Smith in secondaria, ognuno dei nominati rifattosi le ossa qua o divenuto un asso partendo dalla cantera.

Ancora più accentuato tale discorso nell’attacco, partendo dalla bandiera e tra i migliori tight end del decennio Kyle Rudolph, per arrivare alle superstar Dalvin Cook, Stefon Diggs – la progressione dei quali è sempre più inarrestabile – e Adam Thielen, quest’anno assente in più di un’occasione, fino a chiudere con l’altra matricola Alexander Mattison, ottimo backup su corsa.

E’ quest’ultima la grande vittoria del capo allenatore, insediatosi nel Minnesota soprattutto per sviluppare la sua filosofia nel generare talento e schemi solo su un lato del campo, quello difensivo, dal 2014 pressochè sempre al vertice, arrivando oggi a poter contare su pochi punti deboli pure nel fronte avanzato. Superlativa è l’abilità dei due settori a sfruttare occasioni e segnare/subìre punti nonostante le yard guadagnate o incassate dicano altro, grazie a turnover o poliedriche opzioni close; questo è un segnale positivo e indica sia quanto i leader di entrambe le fasi sappiano farsi trovare pronti in condizioni di emergenza e come gli schemi di gioco siano vari e di qualità.

Nelle prime cinque stagioni con Zimmer e senza un quarterback di fattura importante da notare un record di 9-26-1 con almeno 20 pts incassati, a fronte del 4-3 odierno; sempre col 63enne in sideline si è raggiunta questa cifra in 36 volte su 83 (43%) mentre oggi siamo 7 su 13 (54%). Tutto ciò suggerisce quante migliorie siano avvenute nella O-Zone e quante aspettative il coach riversi su Cousins e la sua bravura nel non fallire i propri tentativi (70%), limitare gli errori (5 intercetti), confluire più uomini in ricezione (7 con quasi 200+yd) e ottenere un bilanciamento tra run e pass mode, più che in difesa, maggiormente in difficoltà via aria che nel gioco di terra.

Aggiungiamo che a differenza del 2014/16, quando su un totale di nove picks nei primi tre giri al Draft sei vennero utilizzate per la retroguardia e cinque sono tuttora uomini chiave come Anthony Barr, Trae Waynes, Mackensie Alexander e Danielle Hunter ed Eric Kendricks, ambedue in discussione per il defensive player of the year, nel 2017-19, sei su sette hanno ampliato l’offensive room, elementi tutt’oggi valorizzati: Dalvin Cook, Pat Elflein, Brian O’Neill, Garrett Bradbury, Irv Smith Jr. e Alexander Mattison.

Grazie anche a queste mosse i Vikings sono ora un’organizzazione perfetta, con un core costruito fra le proprie mura e abbastanza giovane per reggere il vertice a lungo, privo di apparenti difetti e capace di giocare un football performante in ogni zona del campo, pronto ad aumentare i giri con l’imminente rientro di Thielen. L’unico cruccio per Minny è quello di trovarsi in una Conference ricca di contendenti e difficoltà, che non permetterà probabilmente di partire avanti ai playoff e col fattore campo a favore, ma non vieterà di mettere paura a chiunque se la troverà di fronte!

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