LO STATEMENT GAME DEI SEAHAWKS

La difesa di Seattle ha giocato la miglior partita dell’anno nella gara più importante.

Non è tanto importante il tipo di domanda che si genera dinanzi alla possibile realizzazione delle aspettative di una determinata squadra, lo è di più il tono con cui la medesima fornisce le sue risposte. La ghiotta occasione che si è parata davanti ai Seahawks è risultata perfetta per spedire un messaggio ben preciso alla lega: partita in primetime, una rivalità che negli ultimi cinque anni si è infiammata, gara da disputarsi nella gremita tana di un nemico inaspettatamente imbattuto, e non ultima la possibilità di tastare il polso di una San Francisco più giovane e conseguentemente meno avvezza a questo tipo di palcoscenico.

Seattle ha sinora vinto tanto grazie alle prodezze di Russell Wilson, e l’indizio più determinante nella ricerca della propria vera identità l’ha reperito proprio nel fatto che il prodigioso quarterback non abbia stavolta rappresentato l’unica ragione rappresentante una vittoria di proporzioni molto più estese rispetto al solito, per via della sottile differenza nei bilanci delle due compagini ed il conseguente riaprire i giochi nella Nfc West, la quale se vinta potrebbe fornire uno dei primi due posti della griglia playoff. Ovvio che la motivazione abbia giocato un ruolo determinante e così non potrebbe essere dinanzi ad un rivale divisionale per giunta imbattuto, ma questo non deve far sottovalutare il peso della prova difensiva degli ‘Hawks, una teoria che pesa tanto sull’enormità della prestazione del reparto quanto sulla normalità della gara disputata da Wilson. Il numero tre non ha fatto gli straordinari semplicemente perché non era nelle condizioni di farli davanti ad una difesa spietata – basta osservare le statistiche del solo primo tempo per capirne di più – con l’aggiunta della provvidenziale ritrovata vena di Jason Myers, la cui affidabilità dei calci è stata fortemente messa in discussione dopo la mediocre uscita contro Tampa Bay.

A volte tutto è riconducibile ad un discorso di inerzia, ed è proprio questo il caso. I 49ers il loro dovere l’hanno svolto provocando quattro turnover ed atterrando Wilson in cinque occasioni, e se è vero che le partite possono girare anche minimamente per determinati episodi allora il touchdown difensivo di Jadeveon Clowney, finalmente presentatosi in versione incontenibile anche con l’uniforme della Emerald City, è senza dubbio uno dei punti di rottura a favore. Pressione e corretto riempimento del cosiddetto box sono stati parte di una strategia che per Carroll ha senz’altro dato i frutti sperati, ottenendo quanto di più desiderabile contro un gioco di corse primo di lega per tentativi, secondo per yard e terzo per mete: non sono tanto le medie a preoccupare dal momento che sia Coleman che Mostert hanno reperito gli spazi che dovevano, ma quanto applicato dal coaching staff di Seattle ha in ogni caso indotto Shanahan a ridurre drasticamente l’utilizzo dei running back ottenendo il minor risultato stagionale con sole 87 yard, una statistica che salta maggiormente all’occhio se appaiata ai cinque sack subiti da Garoppolo, quest’ultimo fattore essenziale se relazionato alla latitanza di pass rush sinora espressa da questa linea difensiva.

Quanto sinora espresso va inoltre commisurato al fatto che i Seahawks hanno disputato una gara lontana dalla perfezione sotto altri punti di vista, dimostrando una capacità di ripresa da errori potenzialmente fatali ad oggi seconda a nessuno. Mettiamo nel pentolone l’incolore espressione offensiva dei primi trenta minuti, il non aver mantenuto un vantaggio di 11 punti anche a causa del rocambolesco ritorno di fumble di Buckner, l’intercetto lanciato da Wilson in overtime ed il calcio sbagliato da McLaughin che se realizzato avrebbe cancellato quanto abbiamo sinora scritto. E’ una considerevole montagna di episodi dai quali Seattle si è rialzata in piedi sempre, combattendo con sudore e resistenza fisica, e con una mentalità che prova di poter colmare tutti i vuoti di questo roster, tra i quali una secondaria che aveva fatto acqua fino alla settimana scorsa e che ha invece disputato una gara vicina all’impeccabile contro una squadra precedentemente imbattuta. Ne deriva un identikit del tutto simile a quello delle scorse due edizioni, il quale suggerisce che i Seahawks rimangono lontani dalla dominanza dei tempi del Super Bowl ma sono sempre pronti a credere di poter vincere qualsiasi partita, in qualsiasi condizione.

Se qualcuno dovesse incontrarli ai playoff, prenda accuratamente nota.

CHARGERS, L’ENNESIMA SCONFITTA UGUALE ALLE PRECEDENTI

Philip Rivers non sta giocando benissimo, ma la protezione è latitante.

Sappiamo tutti che il football americano è un gioco basato sui dettagli, nozione che rende pertanto difficile eseguire qualsiasi tipo di previsione. Tale concetto ci è sorto alla mente osservando più gare tra quelle disputate dai Chargers e paragonandole con quanto visto nelle due stagioni precedenti, trovando interessanti coincidenze tra le similitudini proposte dalle circostanze di gioco: l’unica variabile pare essere l’esito del risultato finale.

La squadra di Anthony Lynn non sta certo vivendo una stagione soddisfacente, una sensazione inevitabile quando si misurano le aspettative pre-stagionali e si comprende il come i playoff appaiano sempre più piccini se osservati dallo specchietto retrovisore, ma questo non significa che non ci siano potenzialità da esplorare e non sempre il talento a disposizione riesce a far bilanciare i conti verso tutti quegli aspetti psico-emotivi che non si possono controllare. Per meglio comprendere le motivazioni di un record oggi perdente è necessario analizzare tanto le questioni tecniche quanto quelle psicologiche: le prime riguardano la latitante mancanza di protezione a favore di Rivers, mentre le seconde non possono non toccare il licenziamento del precedente offensive coordinator, Ken Wisenhunt e l’inserimento solo a stagione avanzata del fulcro offensivo del team, Melvin Gordon, che per quanto ben sostituito dall’ottimo Ekeler ha in ogni caso creato una distrazione non necessaria ed ha necessitato di tempo per farsi ritrovare nella forma corretta.

I Chargers di quest’anno non sono poi così diversi da quelli dello scorso anno o rispetto a due campionati fa, ma differente è la capacità di gestire gare spesso vicine nel punteggio. Un anno fa le vincevano (vero Kansas City?), quest’anno e due anni or sono no, la differenza è tutta qui. La tesi del doppio infortunio dei tackle offensivi è sostenibile ma con dei limiti, altre squadre si sono trovate ad affrontare una simile situazione di emergenza – la prima che la mente ci suggerisce è San Francisco – senza però intaccare la qualità del risultato finale, e le ragioni per cui qui non funziona ed altrove sì non toccano certo un solo settore, perché altrimenti sarebbe necessario analizzare nei minimi dettagli gli aggiustamenti schematici di chi ha patito questi stessi problemi o spulciare le singole prestazioni dei sostituti, senza tuttavia ricavarne dati certi a causa delle differenze contestuali. L’unica certezza è la pressione che Rivers deve fronteggiare e la sua lentezza rappresenta uno scoglio non facile da arginare, è diventato fin troppo chiaro che il programma del defensive coordinator avversario di turno sia diventato quello di spingere il quarterback fuori dalla tasca dove il medesimo sfoggia movenze elefantesche, perdendo in efficacia e precisione del lancio.

La questione è risultata ben evidente nell’ultimo drive della gara dello scorso giovedì contro i Raiders, delicata a livello divisionale ed ancora una volta vicina nel punteggio senza però riuscire a perfezionare una possibile rimonta. Il talento di cui sopra ci suggerisce che i Chargers non sono una compagine da 4-6, non con una difesa capace di risultare a tratti dominante anche senza Derwin James, non con una muraglia frontale di solito perforabile ma stavolta in grado di contenere l’esuberanza fisica di Josh Jacobs (eccetto il drive decisivo), non con un reparto resosi in gran percentuale responsabile del risultato più incredibile della scorsa settimana, quando Bosa e compagni hanno tenuto sotto scacco niente meno che i favolosi Packers di questa stagione. Di certo gli indizi portano verso l’inadeguatezza del rookie Trey Pipkins, tackle che già in fase di training camp aveva mostrato troppa inesperienza per guadagnarsi subito i gradi di titolare, e non possono non convergere verso l’alto numero di intercetti detenuto ad oggi da Rivers, un dato per lui non usuale ma che di fatto continua a spezzare tutta l’inerzia positiva che la squadra riesce a mettere assieme. Il regista necessita di tempo e non ce l’ha, di conseguenza i lanci partono più corti o più affrettati, annullando tutti quei possibili giochi sul profondo che sarebbero altrimenti generabili attraverso le grandi doti fisiche di Mike Williams, i quali vanno a buon fine solo occasionalmente.

Eppure i Chargers di carattere ne hanno, altrimenti non sarebbero riusciti ad arrivare sempre lì, quantomeno a giocarsela. Seppur affossati dai turnover di Rivers nei primi due drive offensivi sono arrivati ad una serie di giochi dal successo, arenandosi ancora sul più bello a causa dell’interminabile serie di incompleti con intercetto finale, un esito che la squadra ha imparato a conoscere fin troppo bene. La sensazione di frustrazione aumenta, proprio ora che Gordon sta girando a pieni ritmi e la difesa si è ricordata di possedere un’identità forte, dando luogo ad un perfido gioco di se e ma che avrebbe potuto proiettare la squadra in lidi ben differenti rispetto all’attualità.

L’EMERSIONE DI KYLE ALLEN NON SI PUO’ PIU’ NASCONDERE

Kyle Allen è quanto di meglio si potesse desiderare in assenza di Newton.

La situazione di Cam Newton tiene inevitabilmente banco nei circoli Nfl, ed altrimenti non potrebbe essere data la forte magnitudine mediatica che il numero uno dei Panthers ha sempre generato sin dai giorni trascorsi ad Auburn. Se la sua è un’ombra molto ingombrante, allora la sottovalutazione riguardo il livello prestazionale di Kyle Allen è assolutamente ingiusta, dal momento che il backup – nonostante la comodità di possedere un asso a trecentosessanta gradi come Christian McCaffrey – sta facendo di tutto per salvare la stagione di Carolina e lo sta facendo pure molto bene.

Tirando somme pur parziali Allen ha dimostrato di poter gestire queste circostanze certamente pressanti a livello psicologico molto meglio di quanto sono riusciti a fare altri colleghi a lui paragonabili per livello di esperienza, arricchendo così quanto offerto fino a questo momento alla causa. Grazie anche al suo riuscire a realizzare un ottimale rapporto tra giocate positive e gli inevitabili errori d’inesperienza, i Panthers si sono tenuti in linea di galleggiamento per la postseason, un già grande risultato vista la premessa di aver perso per la stagione – mancava solo l’ufficialità, arrivata la settimana scorsa – il giocatore-simbolo di questa franchigia. Allen ha molto da imparare ma questo non significa che non sia capace di condurre un attacco fino a pochi centimetri da una vittoria che sarebbe risultata ingigantita nelle proporzioni, anzitutto perché ottenuta contro i Packers, ed in secondo luogo perché sarebbe potuta arrivare nelle precarie condizioni autunnali di un Wisconsin già in formato invernale in un luogo sacro ed ostile, condizioni alle quali il quarterback ha reagito giocando un quarto periodo di alto livello.

Non è questo il momento di disquisire se abbiamo visto Newton per l’ultima volta con questa maglia, se ne parlerà a tempo debito e non c’è nessun interesse nel farlo ora se non riempiendo inutilmente qualche pagina web, ma se i Panthers avevano intenzione di vedere che cosa posseggano in alternativa le indicazioni sinora fornite sono senza dubbio superiori alle attese. Allen è stato responsabile di due turnover ambedue generati da errori personali ed entrambi hanno inciso sul un risultato il cui scarto è stato minimo, ma dagli stessi si è ripreso con determinazione. Accumulando esperienza il regista imparerà a non fissarsi troppo su una determinata lettura finendo per forzare un pallone alzato e poi intercettato dal defensive back di turno sprecando un posizionamento giunto fino alle 11 yard avversarie, nonché a porre maggiore attenzione negli scambi con il centro, un problema di sincronia costato tre punti al passivo.

Poi però è necessario trovare comunque una strada per vincere o perlomeno tentarci, ed è questo il settore dove Allen ha mostrato qualità impensabili. E’ necessario pensare che i Panthers hanno fatto ingresso nel quarto periodo sotto per 24-10 e si sono trovati a qualche centimetro dal forzare il supplementare nonostante l’ennesimo pomeriggio trascorso a far correre gli avversari, con Allen a completare 13 dei 22 passaggi tentati per 144 yard negli ultimi quindici minuti, orchestrando due serie di giochi – una a fine terzo quarto – superiori alle 80 yard in una situazione che obbligava ad abbandonare una risorsa importante come le corse. La risposta alla domanda se Allen sia stato decisivo a meno nel condurre la squadra ad un record di 5-2 in sua presenza è senza dubbio positiva, al di là delle recriminazioni che Carolina deve fare solo a se stessa per essersi ritrovata nelle condizioni di vedersi fermare all’ultimo gioco di due distinte gare di questa stagione, fatto che avrebbe aggiunto due vittorie a questo comunque interessante ruolino di marcia. Per il momento nulla è compromesso e con McCaffrey ce la si può giocare quasi sempre a meno che l’avversario non si chiami San Francisco, nel frattempo Allen continua a prendere lezioni sul campo ricavandone quanto di meglio possa nel minor tempo possibile, ed è giunta l’ora di attribuirgli tutti i meriti che gli spettano per aver condotto così tanto adeguatamente un reparto offensivo orfano della più grande superstar mai appartenuta a questa franchigia.

RAMS, I PLAYOFF SONO UFFICIALMENTE A RISCHIO

Jared Goff è sistematicamente esposto ai colpi della difesa avversaria.

In maniera del tutto simile ai Chiefs, i Rams non sono nemmeno vicini a ciò che furono l’anno passato e che ritenevano poter essere durante l’attuale campionato, quando tutti attendevano solamente di conoscere il loro posizionamento nei playoff senza preoccuparsi del se ci sarebbero arrivati. La situazione di Kansas City è più agevole per via delle circostanze divisionali, mentre Los Angeles campeggia attualmente al terzo posto della Nfc West a quota 5-4, e mano a mano che si perdono partite diventa sempre meno possibiile percorrere la strada per ritornare alla terra promessa, cercando di vendicare quella magra figura riportata dinanzi ai New England Patriots in occasione dello scorso febbraio.

La citazione non giunge a caso, perché se esiste una persona che ha reperito la kryptonite del super-attacco dei Rams questa è proprio Bill Belichick (al quale aggiungeremmo il nome di Vic Fangio per dovuta correttezza verso la prestazione difensiva dei Bears nella regular season scorsa) e da buona copycat league qual è conosciuta essere la Nfl ha preso le misure adatte. Il centro attorno cui gravitano i problemi dei Rams è rappresentato dalla linea offensiva, dalla quale dipende la precaria protezione di Jared Goff ed il successo di tutti quei big play che abbiamo visto realizzare a questa compagine negli ultimi due anni, periodo nel quale McVay aveva convinto tutti della genialità delle sue chiamate. Oggi, per scelte legate all’età ed al mantenimento di economie utili a ri-firmare i giocatori più importanti in uscita dai contratti da rookie, la linea offensiva dei Rams non è più la fortezza che pochi riuscivano ad usurpare in quanto sono cambiati molti dei volti che vi facevano parte, e le complicazioni date dagli infortuni e dalle scelte dirigenziali hanno portato ad uno schieramento sempre differente, con nuovi ruoli per nuovi volti, non tutti in possesso delle qualità necessarie per tenere al sicuro un quarterback che non fa della mobilità il suo punto di forza più evidente.

I Rams stellari che abbiamo conosciuto oggi non esistono più, o almeno questa è l’indicazione fornita da un campionato sinora vissuto sulle incertezze fisiche di Todd Gurley, il cui a volte centellinato utilizzo è strettamente legato alla paura di ritrovarselo infortunato o non completamente efficiente nei momenti-clou dell’anno, nonché sull’autentica girandola di persone utilizzata per sostituire veterani come Sullivan e Saffold, lasciati appunto andare per le rispettive strade. Il settore maggiormente critico è quello riguardante le guardie, che ha visto Noteboom arrendersi ad un infortunio che ne ha terminato anzitempo l’anno ed i relativi sostituti, Jamil Demby e David Edwards, patire le pene dell’inferno nei matchup individuali, fatto che ha indotto McVay a spostare quest’ultimo da sinistra a destra dopo la settimana di riposo facendo compiere a Justin Blythe il percorso esattamente contrario. A seguito dell’infortunio di Rob Havenstein nella gara contro Pittsburgh, il mazzo di offensive linemen è stato ulteriormente rimescolato costringendo all’utilizzo di Coleman Shelton, una matricola free agent, e di Austin Corbett, arrivato da Cleveland a stagione in corso, raschiando sostanzialmente il fondo del barile.

Quanto esposto è proprio ciò che ha permesso agli Steelers di banchettare contro i cinque del fronte losangeleno, spesso soverchiato dalla mistura tra agilità (T.J. Watt) e forza bruta (Cameron Heyward) che la rivitalizzata pass rush fornita dai ragazzi di Mike Tomlin ha utilizzato per accorciare i tempi esecutivi del braccio di Goff, nonché per cancellare tutte quelle conclusioni profonde atte a generare le consuete moltitudini di yard. Dall’enorme pressione è nato il decisivo touchdown su ritorno di fumble firmato da Minkah Fitzpatrick, ma anche lo zero con cui Cooper Kupp ha incredibilmente terminato la sua partita dopo quattro infruttuosi target a lui destinati, portando a diciotto il numero di drive consecutivi privi di touchdown offensivi. Non disporre dei secondi necessari per individuare il matchup in grado di fare la differenza ha costretto McVay ad aggiustamenti al volo, accorciando le tracce dei ricevitori e l’approccio offensivo alla gara senza però trovare alcun tipo di conforto, ricopiando lo stesso esercizio concettuale che Belichick e Flores avevano magistralmente applicato in occasione del più recente Super Bowl.

Nonostante una difesa molto migliorata rispetto ad inizio campionato e capace di iniettare energia con le sue giocate positive i Rams sono reduci dalla quarta sconfitta nelle ultime sei partite, ruolino non certo entusiasmante se le vittorie riportate contro Atlanta e Cincinnati nemmeno possono essere considerate rilevanti. Il problema è che il tempo per il rimedio scarseggia ed il brutale calendario non offre ausilio riducendo drasticamente il già flebile margine d’errore di cui i Rams possono ancora usufruire. I prossimi quindici giorni appaiano Los Angeles ad una difesa poco simpatica come quella dei Bears e alle incontenibili evoluzioni di Lamar Jackson, facendo i dovuti conti con i rimanenti appuntamenti divisionali con Seattle e San Francisco, altre due clienti lontanucce dall’agevole. Essendo i Rams in una situazione dove si possono permettere di perdere al massimo altre due partite, è chiaro che la fossa che i campioni in carica della Nfc si sono scavati con le proprie mani potrebbe essere troppo fonda per uscirne con la richiesta disinvoltura.

LA LATITANTE CONSISTENZA DEI COWBOYS

I Vikings hanno imbottigliato Elliott, ma ciò non ha impedito a Prescott di sfoderare un’altra gara di alta qualità.

Le giornate trascorrono inesorabili verso la metà più delicata del campionato ma non varia l’impressione che i Dallas Cowboys hanno fornito fino a questo punto del cammino. In occasione della scorsa domenica sera la squadra di Jason Garrett ha mancato l’ennesima occasione nel dimostrare di potersi adeguatamente misurare con le migliori compagini della Nfc, evidenziando al cospetto dei Vikings problematiche già sottolineate da Saints e Packers, nonché dalla sgraziata sconfitta rimediata contro i New York Jets. Il panorama è completamente differente rispetto ad un inizio di torneo nel quale la squadra aveva esibito la concreta possibilità di vincere la Nfc East con discreta comodità, dato che le sconfitte sinora accumulate fanno sì che gli Eagles siano ora divenuti preoccupanti al di là della netta affermazione riportata dai texani nel primo dei tradizionali due scontri stagionali, e calcolando soprattutto le probabilità di ottenere un alto posizionamento nella cartina geografica della postseason, un’impresa che oggi non è più così vicina, contrariamente alle indicazioni iniziali.

Proprio il confronto con Philadelphia aveva costituito la più classica delle eccezioni determinandosi quale gara dominata per la sua interezza, un trend che i Cowboys hanno invece percorso al contrario. In quattro differenti situazioni Dallas ha permesso agli avversari di accaparrarsi due possessi di vantaggio nei primi due quarti mostrando l’incapacità di entrare in clima-partita da subito, una problematica evidentemente risolvibile grazie all’innegabile produzione offensiva (437 yard a gara) ma che ha troppo spesso costretto la squadra – vedasi quanto accaduto contro Minnesota – a rincorrere il risultato in tutta fretta. La sconfitta interna contro i Vikings di un incontenibile Dalvin Cook porta pure i segni di scelte tecniche errate, quali la decisione di Austin di non ritornare un punt che avrebbe prodotto almeno una quindicina di yard aggiuntive a favore del drive decisivo, oppure quella di chiamare due corse consecutive per un poco produttivo Elliott sempre nel medesimo drive anziché affidarsi ad un Prescott caldissimo ed autore dell’ennesima prestazione di livello all’interno di una campagna perdente.

Se da un lato può essere comprensibile correre per sottrarre preziosi minuti dal cronometro in vista di ridurre le chance a favore dei Vikings nel confezionare il potenziale drive del contro-sorpasso, dall’altro ci si è ritrovati con la conseguenza di dover affrontare un improbo quarto e cinque cercando il mismatch nella singola marcatura, impresa mancata grazie all’ottimo intervento di anticipo di Kendricks proprio su Elliott. Tra le motivazioni degli svantaggi in doppia cifra raccolti nei primi 20/25 minuti di quelle quattro partite risalta inoltre la non volontà di Garrett nel prendersi gli opportuni rischi, preferendo ad esempio tentare un un field goal di 57 yard anziché convertire alla mano con sensibili probabilità di riuscita date dall’attacco aereo, oppure chiamare il punt anche poco oltre la metà campo, scelta poco adatta conoscendo la tendenza di squadra a dover rincorrere il punteggio sin da subito, fatto accaduto anche con avversarie di non eccelso livello quali Jets e Giants.

Quanto sinora esposto stride fortemente con l’identità offensiva che i Cowboys si sono costruiti fino a questo momento, nella quale il reparto coordinato da Kellen Moore è il migliore di lega per yard e sesto per punti, rendendo poco comprensibile questo tipo di approccio alla gara. L’attacco ha dimostrato di essere così efficiente da poter riprendere le redini anche senza la normale produttività di Elliott e senza riuscire a contenere le corse avversarie – un duo di concetti che se combinato diminuisce drasticamente le probabilità di potersi affermare – di poter muovere le catene a piacimento grazie all’affidabilità dei vari ricevitori coinvolti, tra cui un Amari Cooper eccellente seppur infortunato, un segno che i mezzi esistono e che Dallas può godere del lusso di poter subire determinate situazioni senza conseguire i danni che altre squadre altrimenti riporterebbero, ma pure che manca sempre quel qualcosa nei momenti decisivi.

La natura controversa di questa franchigia è perfettamente riassunta dal 5-4 attuale confrontato con il dominante 4-0 interno alla Nfc East. Poi però c’è anche la qualità della competizione, e qui i Cowboys hanno vinto troppo poco per poterli considerare seriamente minacciosi in ottica Super Bowl.

GAME REWIND OF THE WEEK: Chiefs @Titans

Il rientro di Patrick Mahomes non ha portato con sé grossi contraccolpi a seguito del miracoloso recupero da quel ginocchio andato fuori posto, il quarterback dei Chiefs è apparso un tantino meno mobile rispetto al solito ma non meno spettacolare. Partita scontata? Assolutamente no, gara molto interessante nella sua interezza e palpitante nelle fasi più importanti del quarto periodo, degna di un copione che ha visto tanti cambi nella conduzione del punteggio e un Derrick Henry devastante. Tanti colpi di scena e giocate ad alto yardaggio, vale assolutamente il replay anche se pure 49ers-Seahawks e Packers-Panthers si fanno guardare più che volentieri. Rispetto a queste, l’inattesa affermazione dei Titans ci è parsa tuttavia più elettrizzante.

ALIEN TD PASS OF THE WEEK:

Nel caso esistessero dubbi sul fatto che Patrick Mahomes contenga componenti robotiche dentro sé, anche gli ultimi sono stati fugati. Period.

STAT LINE OF THE WEEK: 9 tkl, 2 sacks, 2 qb hits, 1 FR, 1 TD

Ai Jets serviva qualcuno che spiegasse che cos’è la voglia di vincere, e Jamal Adams si è rivelato essere un ottimo professore.

ONE LINERS OF THE WEEK:

  • Il roughing the passer fischiato a Gerald McCoy su Aaron Rodgers è una delle peggiori chiamate arbitrali dell’anno.
  • La legge del backup quarterback ha sempre portato bene quest’anno, diverse squadre se la stanno cavando molto bene nonostante le prolungate assenze dei titolari: con Bryan Hoyer qualcosa dev’essere andato storto.
  • Minkah Fitzpatrick sta trasportando di peso gli Steelers in questa complicata annata senza Big Ben, la sua capacità di produrre big play difensivi sta viaggiando a ritmi allucinanti e la squadra è clamorosamente in corsa per i playoff.
  • Il lancio chiamato al punter Johnny Hekker nel terzo quarto di una partita con un solo possesso di distacco, peraltro con i Rams sulle proprie 29 yard, dimostra tutta la disperazione losangelena.
  • Nonostante la sconfitta, i 49ers fanno ugualmente paura.

A LOOK AHEAD:

  • I Texans vanno a trovare i roventi Ravens, DeShaun Watson lancia la sfida a Lamar Jackson in uno scontro-chiave per le future economie della Afc.
  • Secondo Monday Night consecutivo con grossi motivi di interesse, praticamente una rarità, ad ogni modo Chiefs e Chargers giocano a Città Del Messico e Kansas City avrà addosso tutta la pressione del mondo e giocherà con le spalle al muro per ritrovare credibilità in chiave Super Bowl.
  • Patriots @ Eagles, pronti per un altro Philly-Philly?
  • Rams contro Bears nel Sunday Night, una Los Angeles in piena crisi di vittorie ritrova la difesa che l’anno passato la riportò sulla terra.
  • Jaguars @ Colts intrigante per la Afc South, torna Nick Foles ed i Colts devono vendicare l’onta della sconfitta contro i Dolphins cercando di non perdere di vista la Wild Card.

See ya!

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