LA TRADE DEADLINE E’ MOVIMENTATA DALL’URGENZA DI VINCERE

Jalen Ramsey rappresenta la necessità dei Rams di tornare urgentemente a dominare.

Seguendo sia Nfl che Nba, ci siamo sempre chiesti il motivo per cui le trade fossero così poco frequenti nel football rispetto alla molto più movimentata situazione cestistica. Al di là delle possibili risposte, che vanno da una contabilità più complessa per via del salary cap ad una necessità di tenersi strette le tante scelte da investire sui prossimi collegiali in uscita, è ormai divenuto indubbio che il numero di scambi che sta avvenendo nella National Football League sia esponenzialmente aumentato con il passare del tempo, seguendo da vicino le orme dei colleghi della palla a spicchi. Nel football le finestre per vincere sono davvero piccole, e non è dato sapere quando possano riaprirsi a meno che non ci si chiami – come al solito – New England Patriots.

Chi non ha necessità di ricostruire trova la propria motivazione nella difficoltà di tenere quella finestrella aperta con qualcosa di solido, magari perché la partenza stagionale è risultata avversa e l’intenzione è quella di compiere di nuovo tutto il percorso per intero con esito differente, prima che l’età verde dei big veda il suo inesorabile termine o altre squadre possano fungere da invitanti sirene per approdare altrove una volta scaduto un determinato accordo. Chi invece ha già compromesso la stagione o sa già che dovrà accontentare i capricci della propria superstar – un esercizio per il quale tanto Antonio Brown quanto Anthony Davis in Nba hanno fatto scuola – preferisce cedere al ricatto ma ottenere in cambio materiale succoso per il draft successivo, se non altro vista l’impossibilità di un’alternativa che costituirebbe solamente il tenersi un giocatore di talento in uno spogliatoio condizionato dalla sua scontentezza.

Jalen Ramsey è il caso più noto per via dello spessore mediatico del personaggio – su quello intellettuale, se leggete spesso queste righe, sapete già la nostra opinione in materia – e proprio come Davis arriva a Los Angeles con rischi non troppo calcolati ma senza ulteriore possibilità di scelta. I Rams, proprio come i Lakers, vogliono vincere subito perché posseggono il roster per riuscirci e sono fermamente convinti che un titolo vinto possa convincere la superstar di turno a firmare un rinnovo per creare una dinastia, o, nella peggiore delle ipotesi, accontentarsi di scambiare il sentimento del cornuto e mazziato (chiedere ai Raptors per approfondimenti) per un anello che rimarrà per sempre nella storia. Si chiama win now mode. E’ un concetto sposato anche da Bill Belichick ma con una prospettiva del tutto differente, perché al momento i Patriots di grossi problemi non ne hanno, ma questo non significa che il loro head coach non sia perennemente attento alle possibili mancanze della squadra, le quali non sono visibili oggi ad occhio nudo ma potrebbero esserlo domani in una partita di playoff, giustificando l’approccio agli Atlanta Falcons – che la stagione l’hanno già gettata nel cestino – per ottenere i servizi di un Mohamed Sanu determinante per aggiungere polpa alla batteria dei wide receiver.

Di Marcus Peters e della sua comprovata utilità per la difesa dei Ravens c’è poco da discutere, serviva un playmaker difensivo per non perdere il treno con delle secondarie troppo lacunose, e quanto inflitto sul profondo proprio da Baltimore ai danni dei Seahawks rappresenta inoltre la miccia consequenziale che ha fatto propendere Seattle all’acquisizione di Quadre Diggs, un evidente rinforzo per una Legion Of Boom di cui sono rimasti solo i ricordi nonché sentenza definitiva del fatto che Carroll ha preso coscienza che con Tedric Thompson a concedere giochi di 50 yard i playoff possono anche andare fuori dal radar, un termine di pazienza che ricorda da vicinissimo quanto accordato tra Raiders e Texans per i servizi di Gareon Conley. Il tempo è prezioso e breve, quando i buoi sono scappati è perfettamente inutile rincorrerli, e gli executive in giro per la lega sanno bene che il sempre più complicato lavoro esterno alla stagione attiva costa sempre maggiori fatiche, e va pertanto seguito da risultati consoni soprattutto rapportandolo alla pazienza corta delle varie proprietà.

Nonostante l’aumento delle transazioni anche la trade deadline, come il draft, non è una scienza esatta lasciando punti interrogativi per le decisioni di alcune particolari squadre. Il movimento visto con maggior stupore è l’abbandono di una terza e quarta scelta della prossima primavera operato da San Francisco per ottenere in cambio Emmanuel Sanders, una mossa che con il giudizio odierno è pienamente azzeccata per John Elway e pare far invece trasparire un senso d’ansia in dei Niners apparentemente non sicuri di poter gestire questa inattesa situazione d’imbattibilità con le armi attualmente a disposizione, e se così non fosse – nonostante le solite dichiarazioni di facciata che tentano di sviare le indagini – di certo l’investimento non avrebbe avuto una tale portata. Il messaggio a noi sembra invece chiaro e forte, Shanahan non era evidentemente sicuro di giocarsela con i Patriots o con i Rams nel lungo termine senza un ricevitore esperto ed affidabile, tuttavia convalescente da un intervento delicato come quello subìto da Sanders al tallone d’Achille.

Chi invece pare navigare a braccio è Houston, che pur di raggiungere la rilevanza sta distribuendo un consistente pezzo di futuro alla concorrenza in cambio di giocatori in grado di elevare da subito la qualità del prodotto, e qui l’urgenza da parte di Bill O’Brien nel dimostrare qualcosa di concreto potrebbe giocare brutti scherzi. I Texans si erano già mossi a settembre ben comprendendo la lacunosa situazione nella protezione del quarterback approfittando dello sfascio in corso a Miami, hanno rimediato all’infortunio di Miller con l’acquisizione di Duke Johnson, e si sono ritrovati loro stessi intrappolati nei capricci di Jadeveon Clowney, ottenendo proprio la terza scelta già spedita ad Oakland per Conley. La pressione che i Texans si sono costruiti da soli li costringe a mirare al Super Bowl, obiettivo che all’attualità pare lontano dall’essere realizzato anche con la conformazione attuale, facendo dell’anello l’unico possibile antidoto all’ipoteca sul futuro posta dal sacrificio, oltre al resto, delle due prime scelte per Laremy Tunsil e Kenny Stills. Qui sopraggiunge invece un senso di disperazione, a nostro parere differente da quello di inadeguatezza sinora descritto.

I RAVENS SONO TORNATI NELLA RILEVANZA DELLA AFC

Per competere seriamente i Ravens hanno bisogno della difesa. L’aggiunta di Marcus Peters rischia di essere determinante.

Durante lo svolgersi di un campionato si cercano di individuare dei trend, non sempre rispettati dai risultati. Per questo motivo i Ravens odierni non sono giudicabili con facilità e né riescono ad offrire una direzione tutto sommato precisa rispetto a che cosa possano riuscire ad ottenere con l’attuale conformazione, dal momento che appaiono a volte incontenibili grazie alle atletiche scorribande di Lamar Jackson per poi convincere meno in altre circostanze, data la sinistra tendenza difensiva nel prendere in faccia giocate troppo importanti dal punto di vista morale. Oggi i ragazzi di John Harbaugh stanno invece cavalcando una serie positiva di tre partite che, complice la parziale inconsistenza dei Browns – unici rivali degni di nota nella Afc North – li ha catapultati con un certo distacco in cima al loro raggruppamento, e la cosa, oltre che con le prodezze di Jackson, è coincisa con una netta ascesa delle prestazioni del reparto coordinato da Wink Martindale.

Le oltre 500 yard concesse in ambedue le sconfitte patite contro Chiefs e Browns non sono un dato casuale, da quel momento in seguito i big play al passivo sono diminuiti drasticamente portando risultati soprattutto contro le corse (72 yard di media nelle ultime tre uscite, tutte vittorie), evidenziando il buon lavoro svolto nel rimpiazzare gli attuali infortunati con giocatori poco conosciuti come L.J. Fort e Josh Bynes, tra i protagonisti della prestigiosa affermazione ottenuta a Seattle. Determinante anche la recentissima trade che ha portato in città Marcus Peters, evidenziando l’urgenza di sfoderare un playmaker difensivo di opportune proporzioni per delle secondarie troppo generose, vedendo l’investimento fruttare con immediatezza grazie al pick-six propinato al precedentemente illibato Russell Wilson. Se era difficoltoso ricavare dati sostanziali dai successi ottenuti contro Cardinals, Bengals, Steelers e tutte quelle circostanze abbinabili ad un calendario facile, il saccheggio del CenturyLink Field di Seattle porta invece tutt’altro peso e serve per essere definitivamente presi sul serio, in attesa di altri succulenti banchi di prova utili a confermare le attuali impressioni.

Far gravitare tutto su Lamar Jackson e sul power running di Mark Ingram e Gus Edwards non aiuta ad inquadrare la situazione nella sua totalità, altrimenti la seconda posizione assoluta per yard e punti offensivi dovrebbe quantomeno corrispondere ad un bilancio migliore, e siccome il football è una disciplina di dettagli e per vincere serve una mano da tutti, l’aspetto più importante non è tanto il preoccuparsi di quando le difese troveranno il metodo per ingabbiare Jackson sfidandolo a lanciare – cosa che peraltro ha dimostrato di saper fare molto bene rispetto a dodici mesi fa – ma il riuscire a contenere i danni dall’altra parte della barricata – e qui i prossimi recuperi di Smith e Onwuasor verranno senza dubbio a favore – perciò l’aver dimostrato di poter anche segnare con una difesa opportunista (14 dei 30 punti di Seattle arrivano proprio da lì…) riveste un’importanza uguale alla possibilità di proporre un attacco potenzialmente pauroso che non si ferma nemmeno davanti ad un quarto tentativo, conscio delle alte possibilità di trasformazione che i suoi mezzi gli permette. Se poi il mantra è quello che pare tornato in voga, il corri e non far correre gli altri, le 3.1 yard di media concesse ad un back produttivo come Chris Carson costituiscono un biglietto da visita molto incoraggiante, facendo temporaneamente dimenticare una pass rush che avrebbe bisogno di aumentare la difficoltà decisionale dei quarterback avversari.

La vittoria riportata a Seattle aiuta i Ravens a rientrare nella rilevanza della corsa per il titolo della Afc, recuperando quell’accreditamento perduto a causa delle sconfitte contro Chiefs e Browns. A qualche settimana da oggi potremmo parlare di due passi falsi necessari per rimettersi in carreggiata e capire le lacune in una fase non troppo avanzata del campionato, come pure di un ulteriore ridimensionamento delle aspettative qualora gli impegni contro Patriots e Texans dovessero invece confermare le difficoltà trovate contro una competizione di livello più alto rispetto a quanto proposto dalla Division. L’impressione, vista la capacità di aggiustamento dimostrata dallo staff di Harbaugh, rimane quella che Baltimore possa tornare ad essere una mina vagante in un contesto di postseason, la classica squadra scomoda che nessuno vorrà incontrare.

PICCOLI CARDINALS CRESCONO

Kyler Murray sta maturando con soddisfacente velocità.

Riflettendo attentamente sul contesto dal quale emergevano i nuovi Cardinals, l’attuale striscia di tre vittorie consecutive non può non saltare all’occhio. Essere una franchigia disastrata nella Nfl non significa innescare automatismi secondo i quali i progressi divengono garantiti in occasione della stagione successiva, la lega è piena di lampanti esempi di inettitudine costante a livello di conduzione del business, e se è vero che le scelte alte aiutano ad iniettare immediatamente talento verso chi è in grave difficoltà, è vero anche che senza un minimo di organizzazione di base ed una chiara coscienza di ciò che si sta facendo non si va da nessuna parte.

Il 3-0 con cui Arizona sta conducendo i suoi più recenti venti giorni di gare è un segno concreto, non solo perché si tratta della prima striscia positiva di tale lunghezza da qui agli scorsi quattro anni, ma soprattutto perché indica che la direzione intrapresa è quella giusta e che la situazione non è allo sfascio, come le previsioni pre-stagionali volevano tanto far credere. La valutazione dei successi dei Cardinals deve tutto sommato tenere conto che tali affermazioni consecutive sono giunte contro squadre dal record combinato di 3-18, per cui non dobbiamo certo suggerire noi il fatto che i veri test non siano questi, tenuto conto che Arizona ha affrontato una sola avversaria divisionale (Seattle) – fino a questo punto del cammino e che i prossimi impegni in agenda annotano Saints e 49ers, le due attuali migliori rappresentanti della Nfc.

Niente di tutto ciò può negare la crescita collettiva di una squadra che solo pochi mesi fa era in preda al panico, completamente persa nella nebbia della sua stessa ricostruzione. Sbagliare la scelta del capo-allenatore, con tutto il rispetto per Steve Wilks, può determinare feroci mal di testa se proiettati in sedici partite ed alimentare un senso generale di sfiducia dannoso per la cultura dello spogliatoio, e considerato che ci si ripresentava ai nastri di partenza con un head coach i cui concetti offensivi erano perfetti per la Ncaa ma rischiosi per la Nfl con l’aggiunta di un quarterback basso ed atletico, un prototipo che oggi è in voga ma che fino a ieri era drasticamente sottovalutato – Russell Wilson ne è l’esemplificazione vivente – nulla di quanto stiamo attualmente vedendo poteva ritenersi scontato. Ora, fermarsi alle statistiche per giudicare la prima porzione della stagione da rookie da Kyler Murray lascia il tempo che trova perché andrebbe analizzato il contesto preciso in cui tali numeri vengono generati, è evidente che il quarterback sia soggetto a tutti gli errori che una matricola può fare senza il beneficio di starsene sulla linea laterale per qualche mese a prendere appunti, ed è chiaro che ci sia il talento per essere gettati da subito nella mischia, un quesito al quale Murray, nonostante gli errori, ha indubbiamente risposto con positività.

Ciò che conta più del resto è la crescita, anch’essa presente. La Air Raid Offense è propizia in quanto i concetti erano ben noti a Murray nella sua esperienza ad Oklahoma, ma traslato il tutto a livello professionale c’è già un’affidabilità tradotta dalla possibilità che Kingsbury offre al suo regista nel poter variare la chiamata a seconda di ciò che vede, un guinzaglio non ancora del tutto sciolto ma senz’altro più lungo rispetto a quello di tanti altri colleghi attrezzati della medesima quantità di esperienza. Ed il tutto non include nemmeno la capacità atletica, la stessa che fa di Murray un gatto impossibile da acchiappare se non a danno già fatto. La freccia punta quindi verso l’alto, l’attacco si muove, lavora sull’intermedio e sul profondo con soddisfazione, c’è persino da gestire la condivisione di portate tra Johnson ed Edmunds dopo l’esplosiva prova di quest’ultimo contro i Giants, e la difesa fa il suo lavoro ottenendo i cosiddetti stop necessari. Restano da migliorare i tassi di turnover a favore – domenica la difesa ha registrato solo il primo intercetto del campionato – e la protezione del quarterback – 24 sack in sette partite sono tantini – ma in questi casi conta riuscire a vedere più in là dell’attuale stagione, ed i Cardinals in questo momento stanno comprendendo di aver costruito una squadra che a breve potrà competere. Essendoci diverse squadre senza né capo né coda ci sembra tutto molto incoraggiante, e d’effetto moltiplicato dal fatto che i due pezzi principali del puzzle, quarterback e head coach, non avevano mai assaggiato il professionismo in precedenza e stanno dimostrando di appartenervi.

DENVER, TEMPO DI DECISIONI IMPORTANTI

Joe Flacco non è la soluzione che salva Elway dal tormento-quarterback di cui i Broncos soffrono da anni.

La situazione dei Denver Broncos viene comprensibilmente monitorata con attenzione e pressione sempre crescente mano a mano che i risultati negativi si fanno largo tra i bilanci dell’attuale stagione della squadra del Colorado, le cui abitudini alla vittoria sono state consolidate in lunghi anni di partecipazioni ai playoff. L’evidente crisi in cui si versa è dettata dalla chiara differenza di consistenza nei confronti di Kansas City, un’impietosa dimostrazione appesantita da un attacco privo di Mahomes ma comunque rivelatosi impossibile da fermare, creando un contraccolpo psicologico molto duro da superare per una compagine che aveva appena cominciato a raccogliere qualche soddisfazione con la mini-striscia positiva durata giusto il tempo di due esibizioni, con confortanti segnali difensivi prontamente smontati da quanto visto in occasione dello scorso Thursday Night.

Se il tema dell’iniziale completa assenza di sack è stato abbandonato a seguito di adeguate controprove, rimane in primo piano il tallone d’Achille di John Elway, la questione quarterback nel post-Peyton Manning. Joe Flacco è oggi più che mai inglobato nell’occhio di un ciclone critico che guarda soprattutto alle prestazioni della componente essenziale dell’attacco, e nonostante le responsabilità del tracollo non gli siano completamente addossabili è comunque a lui destinato il ruolo di rappresentazione dell’ennesimo tentativo andato a vuoto nel trovare un’adeguata soluzione per tale posizione, aumentando ancora una volta l’indesiderata pressione che Elway si trova a dover affrontare con sempre minor tempo per dare risposte concrete alla squadra che lui stesso ha portato nell’Olimpo della Nfl nella doppia veste di giocatore e dirigente.

Le prospettive non sono rosee, perché concorrere per i playoff dopo una partenza di 2-5, come storia insegna, è un’impresa titanica. Il fatto che solo sette squadre siano riuscite nella rincorsa negli ultimi quattro decenni del gioco non è solo la solita minuziosa perla statistica tipicamente americana, è una prova del tutto schiacciante, quindi se si ragiona in termini di percentuali di riuscita la stagione è già oggi da gettare nel dimenticatoio, a meno che i Broncos non si trasformino improbabilmente nei Colts del 2018, che tra quelle poche squadre di cui sopra c’erano. Ma non ci sembra il caso. Tempo di decisioni, quindi, perché i contratti pesanti ci sono ed alcuni a breve scadono, la trade deadline incombe e le contender vorranno di certo fare la spesa. Elway deve quindi decidere se ricavare qualcosa dai suoi gioielli attuali – Chris Harris su tutti – o perderli gratuitamente con la coscienza che senza un futuro non si ottengono rinnovi di prestigio, mentre il coaching staff dovrà scegliere se riporre Flacco anzitempo sugli impolverati scaffali della depth chart per capire che cosa offra il futuro nello specifico ruolo. E, dato che Drew Lock è uno dei tre candidati a rientrare da una injured reserve che offre solamente due posti, sarà molto interessante capire come l’organizzazione si muoverà in tal senso, dato che dalla prossima settimana scadono le otto settimane di permanenza obbligatoria all’interno di tale lista.

La crisi sembra essere più offensiva che altro, perché la difesa non recupera molti palloni ma di sicuro sa uscire dal campo quando serve, come dimostra il 33% di conversione di terzi down propinato ai tentativi avversari. I numeri sono come sempre da non giudicarsi con troppa generalità, ma è tuttavia evidente il come errori e poca produttività dell’attacco generino di conseguenza situazioni a volte troppo pesanti affinché la difesa possa reggere con la stessa efficienza se non messa in condizione di riposare sufficientemente. Gli ideali di Fangio errati non sono, si vorrebbe difatti vincere correndo e difendendo bene e queste due caratteristiche fanno senza dubbio parte dei Denver Broncos odierni, poi però c’è anche un gioco aereo, e qui nascono i dolori. Tante azioni sono rese vane dalle troppe penalità della linea offensiva (Bolles e Leary sommano già quattordici fazzoletti gialli…), la protezione di un quarterback già di suo poco mobile è a dir poco precaria, e non sussistono le condizioni affinché uno come Flacco, che ha bisogno di dropback lunghi per sfoderare il braccio e di una tasca costantemente pulita, possa avere il successo che si cerca.

L’unica soluzione credibile in fase di ricezione sembra essere Courtland Sutton, al quale è stato difatti donato lo spazio per mettersi in chiaro e che sta primeggiando in tutte le apposite categorie di settore, il resto del panorama offriva un Emmanuel Sanders – nel frattempo spedito a San Francisco – molto poco gettonato (10 target per 7 ricezioni e 69 yard nelle ultime tre apparizioni congiunte), mentre Noah Fant non è ancora pronto a contribuire come da progetti iniziali, quando l’abbinata tra Flacco e la sua propensione a far produrre i tight end hanno portato a trarre delle conclusioni che oggi, a quasi metà campionato, sono state sicuramente affrettate.

BENGALS, UN DISASTRO DI PROPORZIONI QUASI STORICHE

I fan dei Bengals se non altro possono applaudire le gesta degli avversari. Non è rimasto molto altro da fare…

Nonostante una delle peggiori uscite firmate da Andy Dalton con l’uniforme dei Bengals sopra il paraspalle, l’attuale situazione in cui versa una squadra miseramente ferma a quota 0-7 non è certamente da additare al solo quarterback, per quanto male il Red Rifle possa aver giocato in un quarto periodo dove i tre intercetti lanciati nel giro di qualche minuto hanno letteralmente cancellato la possibilità di vincere la prima gara stagionale. La compagine tigrata fa acqua un po’ ovunque ed il record attuale non permette certo di fare grossi programmi per il campionato in corso se non quelli di salvare il poco orgoglio che resta e studiare attentamente i giovani presenti a roster per capire se il domani possa essere da essi sorretto, levando preoccupanti ombre sull’avvicendamento che ha visto il novello Zac Taylor prendere il posto di una figura non molto vincente ma longeva come quella di Marvin Lewis.

A Cincinnati non tira aria nuova, ne tira di peggiore. Dalton sembra appartenere sempre meno al futuro di questa franchigia con il passare delle settimane, A.J. Green ed il suo infortunio hanno tolto la principale arma offensiva di scena ed ora ci si chiede se convenga metterlo sul mercato consci che il meglio probabilmente è già stato dato, ed i risultati statistici di attacco e difesa sono colati a picco con una contemporaneità pericolosa, spiegando la totale assenza di competitività. Lanciare tre intercetti nel giro di nemmeno cinque giri di orologio effettivo non è un’impresa di cui vantarsi, specialmente se il punto di partenza era un 10-9 pro-Bengals e quello di arrivo un 10-27 per gli avversari di turno, Dalton ha preso decisioni tra l’affrettato ed il pessimo (vedasi il pick-six di Ngakoue) ma il piano di gioco difficilmente avrebbe potuto prevedere dell’altro vista la completa inettitudine nel correre il pallone.

L’operato del quarterback va quindi giudicato inglobando il livello prestazionale di una linea offensiva che fa passare quintali di pressione e non riesce a vincere le battaglie che servono ai running back per produrre come altrimenti si dovrebbe, e quest’ultima asserzione va sottolineata una volta in più dal momento che i protagonisti del rushing game si chiamano Mixon e Bernard proprio come dodici mesi fa, e che di certo le loro qualità non si sono modificate improvvisamente in peggio rendendo quindi impossibile addossare a loro la responsabilità della discesa agli inferi in termini di yard medie. Solamente contro Arizona il computo totale di yard ottenute a terra ha oltrepassato le 100 yard (traguardo invece centrato 11 volte nel 2018) lasciando al resto dei confronti la miseria di 44 yard di media, complice la linea ma anche uno script offensivo continuamente forzato a rincorrere dalle circostanze del punteggio. Diventa quindi facile leggere la mancanza di equilibrio offensivo e di conseguenza difficile pretendere che Dalton riduca il potenziale numero di errori da poter commettere, in particolar modo se le difese conoscono già in anticipo quanto sta per accadere. Tuttavia, se Taylor necessitasse di capire le potenzialità del backup Ryan Finley in un contesto reale e non di pre-stagione, sarebbe pertinente pensare ad una sostituzione che prima o poi avverrà, se non altro perché non c’è più nulla da chiedere al presente torneo.

In difesa non ce la si cava meglio, ed in particolar modo contro i Bengals si corre più o meno a piacimento grazie alle oltre 1.300 yard già concesse in tale settore statistico, che proprio come la controparte offensiva rimane buono solo per il trentaduesimo posto di lega. Nulla di stupefacente se relazionato al fatto che Cincinnati ha concesso 250 yard di media solo su corsa nelle ultime tre apparizioni, ed i ritmi sono talmente preoccupanti che se mantenuti andrebbero vicini a ritoccare dei record negativi addirittura storici e risalenti all’inizio degli anni ottanta, inserendo la franchigia nel non invidiabile e ristretto novero di coloro che hanno superato le 3.000 yard al passivo – ripetiamo, solo sulle corse – dal 1950 ad oggi. Moltiplicando i due dati per le 16 partite a disposizione si ottengono 850 yard di guadagno e 3.024 quale importo subìto, per un differenziale di -2.174: non c’è il tempo materiale per andare a calcolare il peggio mai ottenuto in singola stagione da attacco e difesa di una singola squadra, e forse nemmeno è il caso di andare a guardare per evitare di cadere ulteriormente nella disperazione.

La cifra è tuttavia simbolica per far comprendere una migliore panoramica dell’attuale stato delle cose, sancendo che Andy Dalton è forse l’ultimo dei problemi che la squadra deve affrontare. Il primo in ordine prioritario è il risolvere la montagna di problematiche che sta affondando il collettivo, pena il dover ristrutturare da cima a fondo un coaching staff che pare aver già fallito ancor prima di giungere a metà del percorso.

GAME REWIND OF THE WEEK: Minnesota @ Detroit

Piacerà, e non poco, agli amanti dei guadagni abbondanti e delle giocate offensive spettacolari. Stafford contro Cousins è oggi una sfida di qualità all’interno di una division combattuta, ma che sta cominciando a delineare dei valori vicini al definitivo. Confronto godibile ed incerto anche a quarto periodo inoltrato, prima dell’allungo decisivo.

STAT LINE OF THE WEEK: 25/31, 429 yds, 5 TD, 1 rush TD

Lui tempo fa l’aveva suggerito a tutti, rilassatevi e fate fare a me. Aaron Rodgers si beve i Raiders distruggendone le secondarie con chirurgica precisione, rendendo produttivi anche ricevitori come Kumerow, Vitale e Lazard. Davante Adams può rientrare con calma, i Packers stanno viaggiando a velocità poco raggiungibili dalla concorrenza, ed il loro attacco è tornato ad essere quello dei bei tempi.

ONE LINERS OF THE WEEK:

  • Il non saper percorrere la yarda necessaria per vincere la partita nonostante la presenza di Melvin Gordon – con il corredo del costosissimo fumble incluso – riassume perfettamente la stagione dei Chargers.
  • Per i Bears è giunto il momento di relegare Mitch Trubisky in panchina, l’attacco è molto più pimpante se il direttore d’orchestra si chiama Chase Daniel.
  • Se si cerca un motivo per giustificare la non-competitività dei Falcons, è sufficiente sommare i punteggi dei primi tempi di questa stagione: 120-50 per gli avversari.
  • Riposa in pace, Willie Brown.
  • Super Teddy è 5-0, chi l’aveva previsto non è che un bugiardo.
  • I Colts stanno costruendo una stagione vincente nel segno della coralità e della compattezza.

A LOOK AHEAD:

  • Thurdsay Night Football, Washington è in rotta di collisione con i Vikings e ritrova un viso conosciuto, quello di Kirk Cousins: 306, 333 e 337 sono le yard lanciate dal Capitano Kirk nelle ultime tre gare, 10 a 1 è il computo di touchdown contro intercetti nello stesso spazio temporale. Se la vendetta è un piatto che va servito freddo aspettiamoci cifre consone.
  • Gli imbattuti 49ers potranno testare la loro effettiva qualità contro un avversario di prestigio, Christian McCaffrey e compagnia saranno di scena in California freschi e riposati dopo la bye week. Con pochi dubbi, big match di giornata che rende obbligatoria la moka nella seconda serata italiana.
  • Sunday Night elettrico, i Packers vanno in quel di Kansas City per mettere in crisi un attacco fantascientifico ma privo del suo principale esecutore. I Chiefs hanno giocato bene anche con Matt Moore, il che rende lo scontro più intrigante di quello che sembra.
  • Texans vs Raiders, qui ci si può divertire sul serio, entrambe le compagini vengono da una sconfitta ed hanno bisogno di rialzare subito la testa nel quadro della Afc.
  • Monday Night, Pittsburgh contro Miami: scende un po’ la lacrimuccia pensando che questa, ai tempi in cui abbiamo cominciato a seguire seriamente il gioco, era una partitona. Un primetime con Dan Marino da una parte e Bill Cowher dall’altra non aveva rivali.

See ya!

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