LA DIFESA DEI BILLS E’ DA VERA CONTENDER

Tremaine Edmunds ha giocato una gara eccellente contro le corse, bloccando tutti i varchi a disposizione dei Patriots.

Lo scontro frontale con Brady e Belichick suona più che altro come un grosso rimpianto, in quanto i Bills – o meglio, attacco e special team dei Bills – hanno compiuto ogni tipo di irragionevole azione per non riuscire ad avere ragione dell’attuale miglior squadra della Nfl. La storia della partita è difatti facilmente riportabile a memoria, il reparto difensivo di Buffalo ha letteralmente imbavagliato l’Hall Of Famer che aveva davanti negando tutte le possibilità di big play desiderate dagli ospiti, scoraggiando le chiamate destinate ad un Sony Michel fermo a 3.7 yard per portata costringendo Brady a compiere magie consuete, ma che dinanzi al pubblico del New Era FIeld non hanno trovato la via d’uscita dal cilindro del celebre numero dodici.

Questa difesa ha nettamente dimostrato di valere i playoff, lasciando quindi alla controparte offensiva il durissimo compito di offrire delle performance adeguate che al momento sembrano essere lontane dalla loro realizzazione. Lasciare Tom Brady sotto il 50 di punteggio rating non è esattamente un’impresa raggiungibile da tutti e crediamo sia questa la statistica-simbolo della qualità difensiva che si aggira dalle parti di Orchard Park, figlia di una prestazione corale che in un ipotetico scontro per la supremazia divisionale se non addirittura in ambito postseason costituirebbe tutta la differenza del mondo. I Bills sanno come portare pressione ed abbiamo visto la prima scelta Ed Oliver già a suo agio nell’affrettare le decisioni anche senza necessariamente iscriversi al club del sack, possono inoltre schierare un autentico stantuffo come Tremaine Edmunds, capace di insinuarsi in ogni minimo varco lasciato dalla linea offensiva fornendo giocate sulla linea di scrimmage con ritmi industriali, e la difesa sui passaggi ha lasciato Gordon ed Edelman a 76 yard combinate, grazie alle marcature strette di Levi Wallace e Tra’Davious White, ed il pattugliamento efficacemente servito dal puntuale Micah Hyde, autore di una giocata d’impatto devastante in occasione dell’intercetto rifilato a Brady in piena endzone.

Le infinite possibilità a disposizione dell’attacco di Josh McDaniels sono fin troppo note, ma i Bills sono riusciti a rendere innocua una squadra che aveva prodotto 35 punti di media – va detto, contro avversari di qualità infima – subendo solamente 224 yard di total offense per una media a giocata di 3.6, una letterale miseria per un reparto di questa qualità. Il problema di primaria importanza è dunque capire come Josh Allen possa evitare di rivivere una giornata del genere, un autentico incubo che ha eliminato con tragica puntualità ogni velleità nel provare a mettere la testa avanti, una serie di decisioni scellerate che si spera possano essere frutto dell’inesperienza dell’ancora acerba natura del quarterback da Wyoming, che prima di lasciare il campo per il durissimo colpo riportato alla testa ha lanciato tre intercetti non esattamente incoraggianti, rendendo fruttuoso un solo drive in apertura di ripresa.

Un vero peccato, a maggior ragione pensando al fatto che pure Brian Daboll, offensive coordinator in carica, sembrava aver spinto i bottoni corretti per mettere in grande difficoltà l’attuale miglior difesa Nfl, spietata nell’affondare i denti sul quarterback nelle situazioni di ovvio passaggio ma risultata labile contro le corse di Frank Gore, riuscito a confezionare tra le altre una galoppata di 41 yard, e le ricezioni di Yeldon e Knox, entrambi impeccabili quando chiamati in causa. Se poi gli special team non avessero commesso un errore di copertura di livello elementare, staremmo probabilmente parlando di un clamoroso upset.

I GIANTS SONO LETTERALMENTE RINATI

Per Wayne Gallman una giornata da Saquon Barkley. Contro i Redskins tutto è possibile.

L’attesa è risultata essere piuttosto lunga, si parla di una franchigia che dal lontano 2016 non assaggiava il dolce sapore del bilancio in pareggio, ma gli ultimi quindici giorni di attività sembrano dimostrare che quanto occorreva ai Giants era semplicemente un timoniere d’identità differente dal solito, oramai spento, Eli Manning. Magari tra qualche tempo saremo qui a disquisire del contrario, la Nfl è bella per la sua instabile varietà, tuttavia ad oggi è innegabile che Jones abbia avuto un impatto molto forte sull’umore generale e sulla filosofia offensiva, la cui resa è ben differente se commisurata alla poca efficacia dell’edizione precedentemente diretta dal quel numero dieci cui oggi tocca solamente il compito di sostenere la lavagnetta a bordo campo, accettando peraltro il compito con una professionalità inusitata in questi tempi recenti.

Non è tutto roseo e nel football non potrebbe esserlo in maniera così fulminea, troppo facile farsi ingannare dai numeri e dalle azioni spettacolari, e tutto va analizzato adeguatamente, su lunga durata. Gli errori commessi da Daniel Jones in occasione dei due intercetti lanciati in bocca alla difesa dei derelitti Redskins in altrettanti drive consecutivi suonano come un campanello d’allarme, soprattutto perché bisogna poi pensare a quando queste cattive decisioni costeranno un prezzo più caro in situazioni di maggior posta in palio, e con avversari di differente caratura. La faccenda ha comunque risvolti positivi e provvidenziali, nel senso che nel corso della settimana il nuovo quarterback dei Giants potrà studiare tali sbagli con la fortuna di averli commessi in una partita a senso unico a favore della sua squadra, ed ha già inoltre dimostrato di non farsi scoraggiare facilmente e di non incidere sulla direzione delle chiamate offensive seguenti, scrollandosi di dosso il tutto come se nulla fosse mai accaduto.

Da notare è difatti la differente cattiveria con cui Pat Shurmur fronteggia le difese, conscio di possedere un reparto di tutt’altri dinamismi rispetto a prima, e l’aspetto più incoraggiante della nuova situazione riguarda la psicologia dei Giants, che affrontano ora delle situazioni precedentemente impervie con rinnovata fiducia. In fin dei conti il primo touchdown della scorsa domenica è nato proprio da questi presupposti, con l’attacco preso a fronteggiare una distanza di 17 yard in un terzo down reso tale da un holding della linea, poi trasformato in un quarto e due da uno dei tanti big play forniti da Wayne Gallman, che si sta tra l’altro rivelando essere un ottimo backup per l’oggi indisponibile Saquon Barkley. Jones ha poi convertito alla mano quel quarto tentativo lanciando una traiettoria ben precisa verso Sterling Shepard, alimentando un drive di lì a poco terminato diritto in endzone, oltre a dirigere la successiva serie di giochi nuovamente a successo dopo una scampagnata di 94 yard, una lunghezza verso la quale i Big Blue avevano decisamente perso ogni tipo d’abitudine.

Tolti i due intercetti Jones ha terminato la sua prima prestazione casalinga da starter con il 74% di completi per 225 yard ed un passaggio vincente, oltre ad aver personalmente risolto un terzo e tredici con uno scramble degno di un posseduto dall’invisibilità, una nuova attestazione della sua capacità di mantenere vivi i drive offensivi. I calcoli sin qui fatti andranno poi aggiustati con i corretti coefficienti una volta che il calendario proporrà confronti più difficoltosi, e l’orizzonte propone già Vikings e Patriots come roccioso banco di prova: vada come vada, ma a New York l’aria che si respira oggi è nettamente differente da quella prima settimana di gioco ora così lontana, quando pareva che il lume della speranza dovesse restare spento anche per il 2019.

RAMS, URGE UN GIOCO DI CORSE CONSISTENTE

Se Todd Gurley corre in sole cinque occasioni la vita dei Rams è senz’altro più dura.

Il risultato ottenuto domenica porta con sé una pesantezza che avrà certamente punto l’umore dei Rams in questa settimana per loro molto corta, in quanto l’osservazione dello score riportato dai Tampa Bay Buccaneers in quel di Los Angeles, frutto di una miriade di errori commessi dai campioni Nfc in carica, risulta ancora oggi incredibile. Le ragioni della disfatta, che troviamo essere tale da un lato meramente psicologico che effettivo, riguardano la squadra a trecentosessanta gradi ma gravano in particolar modo su un attacco che ha visto modificati gli sviluppi che fino a prima dell’infortunio di Todd Gurley vivevano di automatismi propri, trovando il modo corretto di sopravvivere in assenza della superstar di casa ma accendendo pure una serie di distrazioni provenienti dalle condizioni del ginocchio del running back, tra cui annose domande a cui dover rispondere in ogni momento possibile ed immaginabile.

Sean McVay ha senza dubbio gestito la cosa come meglio poteva, siamo d’altro canto nell’era della tecnologia e del farsi di continuo i fatti degli altri e con questi aspetti è obbligatorio convivere, ma non per questo Gurley ha cessato di essere l’oggetto del continuo dibattito che ricomincia ogni qualvolta i Rams soffrono in campo. Ciò di cui stiamo parlando si è riflettuto con tremenda esattezza sul campo in occasione del recente upset, in quanto è facile collegare la comprovata tendenza all’errore esposta da Jared Goff in concomitanza della mancata fruizione di un gioco di corse efficiente. Tra le cause dell’urgente modifica del piano di gioco originario c’è senza dubbio il 21-0 di parziale con cui Los Angeles si è trovata a dover riacciuffare le sorti di una gara iniziata davvero con il piede errato, tuttavia il fatto di appesantire Goff di responsabilità sembra convergere in effetti assai indesiderati e deleteri, che ne hanno evidenziato l’impossibilità di restare lontano dai turnover – siamo a quota 6 intercetti e 4 fumble in un mese di gioco – una mancanza di concretezza parzialmente giustificata dai ben 68 tentativi di passaggio alla fine chiamati dallo staff offensivo, tuttavia comprendenti tre intercetti ed un fumble del tutto decisivi nelle economie complessive della gara.

Entrano quindi in scena le abitudini, e Goff, di certo, non ha mai fatto un callo consistente nel giocare costantemente sotto pressione, una sensazione alimentata dalle prestazioni inferiori alle attese di una linea offensiva che propone due nuovi titolari ed attende di recuperare l’infortunato Austin Blythe, ma pure dalla pressoché totale assenza della produzione a ciclo continuo con cui le scorribande di Gurley permettevano sonni tranquilli. Il backfield ha ricevuto 11 chiamate contro le quasi 70 situazioni di passaggio, una tendenza già suggellata dalle due settimane precedenti a questa in condizioni strategiche di gara nettamente differenti, e non è affatto chiaro se tali decisioni riflettano la volontà di preservare il forte running back in vista dei playoff – in ogni caso ancora lontani – attuando una sorta di attenta conduzione del carico di lavoro, il che non troverebbe tuttavia giustificazione guardando alla presenza in campo di Gurley stesso, che domenica ha coperto il 67% degli snap complessivi senza venire chiamato in causa un granché.

Ne consegue che i Rams stanno conoscendo solo oggi le reazioni di Goff in circostanze molto più avverse rispetto all’agio protettivo cui era precedentemente abituato, quando il fronte offensivo losangeleno era uno dei primi di lega ed il running back-tuttofare correva e riceveva portando eguali danni verso le difese avversarie. 517 yard su passaggio non sono statistiche visibili tutte le domeniche e qualcosa a supporto della potenza di fuoco dei Rams deve pur voler significare, ma non dimentichiamo che il risultato finale è sempre il fattore determinante, ed i 55 punti con cui i Bucs hanno saccheggiato il Coliseum sono una cifra inaccettabile, specialmente se considerato il buco che Goff e compagni si sono sostanzialmente scavati da soli. Si dice che è un bene veder accadere certe cose all’inizio dell’anno, quando tutto è ancora molto aggiustabile, certo è che la situazione, dovendo già tornare in campo giovedì per uno scontro delicatissimo contro Seattle, giunge nel momento meno desiderabile tra quelli a disposizione.

WELCOME BACK, LEONARD

Le gambe di Fournette sono alla base della vittoria dei Jaguars.

Sono trascorsi già due anni ma la memoria è ancora fresca, e non ci siamo certo dimenticati di quando si era stabilito un comprovato rapporto positivo tra le prestazioni dell’allora rookie Leonard Fournette ed i successi dei Jaguars, pur tenendo adeguatamente conto del differente spessore delle due edizioni difensive messe in campo da Doug Marrone. Nonostante la prova contro i Broncos possa rischiare di rappresentare un episodio e non un trend definito – per eventuali sentenze ci risentiremo strada facendo – è in ogni caso simbolico che le ultime due uscite di Jacksonville siano coincise con altrettante giocate decisive fornite dal running back, determinante nell’infilare una galoppata di 66 yard nelle costole della difesa dei Titans dopo una partita statisticamente frustrante, e grande, grandissimo protagonista della pesantissima affermazione che ha definitivamente mandato in crisi i Denver Broncos, una gara da lui condotta da attore principale.

Fournette ha registrato il secondo miglior risultato di sempre per la franchigia – le 225 yard di domenica sono dietro solamente alle 234 del mitico Fred Taylor – ma ciò che più conta è che grazie al suo immane contributo la squadra è riuscita a dimostrare di esserci psicologicamente, una differenza ben marcata rispetto alla false convinzioni di forza che hanno plagiato tutto lo scorso campionato, provando di poter rientrare da uno svantaggio importante. Ciò che sorprende maggiormente è l’apparente stato di precarietà dentro al quale la squadra ha versato ed il carattere che è invece riuscita ad estrarre, facendo i conti con l’assenza del bizzoso Jalen Ramsey, pur sempre il miglior defensive back a disposizione, evitando accuratamente di crollare dinanzi ad uno svantaggio di due touchdown ed alla sensazione di avvilimento data dagli evidenti problemi della linea offensiva, responsabile di dodici penalità stagionali e ben cinque sack concessi ad un reparto forte, ma che non aveva registrato alcun atterramento del quarterback nelle prime tre esibizioni.

I Jaguars hanno mutato il loro atteggiamento giocando un secondo tempo da manuale, nel quale l’attacco ha sfornato 340 yard parziali contro le 115 concesse a Denver generando le due serie di giochi che hanno definitivamente virato l’inerzia del match. Nel primo drive Fournette è stato consistentemente produttivo, correndo per 49 yard in dieci tentativi aiutando un reparto che ha convertito due terzi down critici ed un quarto ed uno restando in campo per dieci minuti e mezzo, mentre nel secondo ha esordito con un big play di 81 yard che ha di poco anticipato la meta di James O’Shaughnessy riportando definitivamente in gara Jacksonville. Di sicuro ausilio sono di certo le entusiasmanti azioni di Gardner Minshew, il quale ha continuato la sua incredibile marcia conducendo il primo drive della vittoria della sua giovanissima carriera effettuando lanci precisi senza il timore di errare, nonostante le scorribande di un running back che durante la offseason sembrava addirittura essere indirizzato altrove sono risultate essere determinanti più di ogni altro fattore, perché hanno permesso ai Jaguars di ritrovarsi in quella specifica situazione.

Qualcosa comincia a funzionare, come attestato dalle 42 yard ottenute nelle otto chiamate destinate a Ryquell Armstead quando Fournette aveva bisogno di riprendere fiato, pur tenendo in considerazione il fatto che non si conosce l’attuale durata dell’effetto-Minshew e che la linea offensiva deve eseguire un salto di qualità non indifferente per cominciare a pensare in grande, e la coincidenza dei risultati registrati dalle dirette concorrenti porta ad una Afc South apertissima, con tutte le appartenenti detentrici di un identico bilancio. Guai ad escludere i ragazzi di Doug Marrone dunque, a patto che la felice relazione tra Fournette e le probabilità di vittoria continuino su questi binari, ed il test contro Carolina – difesa granitica contro i passaggi ma labile nel contenere i running back – fornirà di certo indizi utili ad una migliore comprensione della situazione.

BROWNS, LE ASPETTATIVE POSSONO ESSERE RISPETTATE

Con Beckham fermo a 20 yard, Landry ha scritto numeri impressionanti contro i Ravens.

Abbiamo trascorso un’intera offseason a leggere titoloni patinati di qua e di là indicando i Browns come possibili partecipanti al prossimo Super Bowl e sicuri maturandi per la postseason. Come noto l’inizio stagionale di squadra è risultato quantomeno ballerino, passando dalla dolorosa uscita iniziale contro i Titans e la poco felice esibizione contro i Rams in concomitanza della mediocre prestazione offerta da uno dei giocatori più attesi del roster, Baker Mayfield, costruendo un bilancio di 1-2 che ha evidentemente indotto Freddie Kitchens a rivalutare alcuni aspetti – soprattutto offensivi – del suo piano di gioco, tornando al magico momento in cui Cleveland, a seguito del crollo di Hue Jackson, aveva effettivamente e definitivamente cambiato marcia e reputazione.

Facile dunque rievocare il 5-3 con cui il provvisorio regime di Gregg Williams aveva concluso il 2018 lasciando aperti moltissimi discorsi, frutto di una resa complessiva nettamente differente – l’aria fresca fa sempre bene a tutti – ed in particolar modo di una crescita offensiva eretta proprio dal buon Kitchens, allora promosso ad offensive coordinator ed abile nel creare alla svelta un playbook efficiente e poco prevedibile, proprio lo stesso che ha permesso ai Browns di dominare sotto ogni aspetto i Baltimore Ravens in una gara divisionale in trasferta, con tutto il peso derivante dalla pressione sopra menzionata trasformato in una momentanea prima posizione nella Afc North condivisa proprio con Lamar Jackson e soci.

La ritrovata creatività offensiva si è tradotta in 530 yard di total offense in un pomeriggio ricolmo di big play, con l’attacco a raggiungere tale produzione con un Odell Beckham Jr. tenuto sotto scacco dalle secondarie in viola, fermo a due sole ricezioni per 20 yard. Questo a dimostrazione che la potenza di fuoco di Cleveland non è affatto da sottovalutare, d’altro canto le secondarie non possono svolgere un ottimo lavoro oscurando sia Beckham che Landry in contemporanea, ed un prezzo è pure necessario pagarlo. Oltre ciò, c’è sempre il piccolo dettaglio chiamato Chubb, il ragazzo che al posto del cognome dovrebbe farsi cucire gamebreaker dietro quella schiena, un’autentica minaccia nel far accadere qualcosa di elettrizzante in qualsiasi momento della partita, una peculiarità già abbondantemente mostrata in occasione dell’annata da matricola.

La correzione della strategia generale passa anche da lui, non solo dalla fantastica corsa di 88 yard con velleità da centometrista olimpico, ma soprattutto dal corretto coinvolgimento del gioco di corse nelle ultime venti yard, una delle colpe da espiare nel confronto con i Rams, rimediata chiamando almeno un handoff per ciascuna gita in redzone, ottenendo quattro touchdown in altrettante circostanze. Il 102.4 di rating registrato da Mayfield nella sua miglior prova di carriera contro una squadra dal record vincente passa anche dalla profondità delle risorse offensive, tra le quali svetta un Ricky Seals-Jones pescato dai tagli estivi e capace di portare a compimento tre ricezioni per 82 yard ed una meta, diminuendo la fretta del dover recuperare David Njoku.

Il senso di completezza dato dai Browns passa anche dalla difesa, ed anche qui vige lo stesso principio rispetto a quanto riportato poco fa. Si può anche annullare Myles Garrett, oggetto quasi totalmente estraneo a questa partita, ma non significa che le giocate determinanti non giungano da altri protagonisti. Ecco quindi l’assunzione di un valore particolarmente alto per ognuno dei 17 placcaggi di Joe Schobert, per la prestazione di un giocatore precedentemente equiparabile ad uno scarto come Jerome Whitehead, che ha messo lo zampino in tutti i turnover raccolti, per la qualità fornita in copertura da T.J Carrie e Mack Wilson in assenza di Denzel Ward, e per i quattro sack registrati da altrettanti soggetti differenti, frutto tra le altre cose degli intelligenti blitz chiamati da Steve Wilks, altro soggetto in cerca di rivincite dopo la terribile esperienza in Arizona.

Se si cercavano i Browns di cui tutti parlavano in offseason, signori, eccoli qui.

GAME REWIND: Jacksonville @ Denver

Non la gara della settimana in termini di record delle contendenti, ma entusiasmante da guardare soprattutto nel secondo tempo per gli emozionanti capovolgimenti di fronte. Utile pure a farsi un’idea di cosa diventa Gardner Minshew quando decide di trasformarsi in un baffuto Tom Brady attrezzato di bandana negli ultimi 1:24 di una partita.

STAT LINE OF THE WEEK: 29 att, 225 yds, 7.8 yds/att

Rischiamo di risultare monotoni, ma tant’è. Nessuna prestazione è stata più decisiva rispetto a quanto registrato da Leonard Fournette sul campo di Denver, risultando determinante per la rimonta anche senza segnare una meta. Risollevare le sorti di una squadra con questa percentuale di responsabilità ha un valore sicuramente alto, e potrebbe essere l’iniezione di fiducia che si attendeva in Florida per ricomporre i pezzi di un puzzle che il 2018 ha visto andare in frantumi.

ONE LINERS OF THE WEEK:

  • Non sappiamo se sia parziale mancanza d’istinti o la disperazione di sentirsi in trappola in quel di Miami, ma non ha senso vedere Josh Rosen percorrere orizzontalmente la linea della yarda per un quarto d’ora ritrovandosi placcato da dietro: di quel pallone ci si deve liberare ben prima.
  • Il segnale più evidente dell’eterna confusione regnante a Washington è l’inatteso ingresso in campo di Dwayne Haskins, ovvero come rovinare la fiducia di un rookie impreparato per questi livelli attraverso un esordio completamente da dimenticare.
  • Il livello delle prestazioni di Teddy Bridgewater è certamente determinante per i Saints, ma quella difesa lo è ancor di più: la vittoria contro Dallas ha un peso specifico immenso, e mettere la museruola a Prescott, Elliott e Cooper di questi tempi è un’impresa niente meno che eccezionale.
  • L’esercizio più difficile di questa stagione è capire il vero valore dell’attacco dei Titans.
  • I Dolphins devono confrontarsi con una seria concorrenza: Redskins e Bengals.

A LOOK AHEAD:

  • Giovedì notte, Rams in trasferta a Seattle con forti conseguenze per la conformazione finale della Nfc West, un Thursday Night da non perdere. Il tutto con Buck ed Aikman al commento. A parere del tutto personale, slurp.
  • I Titans ospitano i Bills in una gara tra insospettabili della Afc, molto più interessante di quanto si possa presumere, al di là della probabile assenza di Josh Allen.
  • Saints vs Buccaneers, se ci fosse Drew Brees scommetteremmo sulle 1.000 yard di total offense.
  • Raiders contro Bears, si inaugura l’epopea londinese con un bel Gruden vs Mack. Carr è avvertito, ed occhio a Chase Daniel, con cui l’attacco di Chicago si è mosso nettamente meglio che in precedenza.
  • Scontro tra potenze Nfc in cerca di dimenticare la perdita dell’imbattibilità, a.k.a. Packers contro Cowboys per la seconda serata italiana: quando restare alzati vale il prezzo del biglietto.

See ya!

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