WELCOME BACK, DREW!

I Saints hanno dimostrato di poter vincere anche senza Drew Brees. Ed ora che è tornato che cosa si prospetta per gli avversari?

Ed ora sono guai. E’ giunto il momento che i Saints attendevano e Teddy Bridgewater è tornato ad accomodarsi in panchina dopo lo splendido lavoro portato a termine in assenza di Drew Brees, terminando il periodo di sostituzione con 9 passaggi da touchdown, 2 intercetti e soprattutto un record privo di sconfitte. Se New Orleans è una delle migliori squadre Nfl lo deve senza dubbio alla qualità del suo roster, perché nonostante il ritorno del quarterback futuro Hall Of Famer c’era pur sempre da fare i conti con l’assenza di Alvin Kamara, ed anche in questo caso i Saints non hanno dato nemmeno per cinque minuti l’impressione di patire la mancanza di uno degli elementi portanti della formazione offensiva dimostrando di aver centrato l’ennesima mossa di free agency firmando un Latavius Murray autore di 221 yard e 3 mete garantendo la produzione del backfield.

Il confronto con Arizona ha seguito di pari passo il graduale re-inserimento di Brees nei ritmi a lui consoni, ci è voluto del tempo per prendere in mano una gara sulla carta impari per poi spezzarla in due quando il numero nove ha raggiunto la temperatura ideale per aggiustare la precisione dei suoi passaggi. Non che in presenza di Bridgewater ci si risparmiasse, Payton ha aperto il playbook un po’ alla volta consentendo a Teddy di acclimatarsi adeguatamente, ma questo ritorno alla vecchia ed esplosiva versione offensiva non è che la testimonianza del fatto che il backup ha gestito il traghettamento con il massimo dei voti ed ora che il titolare è tornato si continua a costituire una minaccia per chiunque ambisca al Super Bowl, ma con una proporzione più ingrandita. Brees ha cominciato piano ma nel secondo tempo ha come di consueto sezionato la difesa avversaria, la produzione parla di 510 yard di total offense di cui 373 generate da quell’indice convalescente ed ottimamente bilanciate da quanto offerto da Murray, determinante nel conservare il doppio volto di questo attacco non solo grazie alle 102 yard con annessa meta che annebbiano sempre più il ricordo di Mark Ingram, ma pure con le nove ricezioni per 55 yard ed ulteriore segnatura, forse la parte più importante di tutto il fatturato perché dimostra che la temporanea assenza di Kamara può essere facilmente sopportata.

Se i Saints sono una compagine da prendere sul serio più di tante altre è proprio perché la loro qualità di squadra non è minata dal non poter disporre di tutti i pezzi del meccanismo, un fattore normalmente determinante per l’ambizione della squadra stessa se relazionato all’alto numero di circostanze in cui abbiamo visto una possibile protagonista del campionato crollare dinanzi ad un singolo infortunio. Payton possiede tantissime armi da schierare ed ognuna si fa trovare pronta all’appuntamento con l’improvvisa chiamata in campo, vale tanto per Bridgewater e Murray quanto per gli Hill e Arnold di turno, grazie ai quali dare una settimana in più di recupero a Jared Cook non è un problema. Identiche considerazioni vanno a favore di Taysom Hill, sulla carta destinato a sviluppare le sue capacità in vista di una possibile sostituzione del Brees post-ritiro ma fino a questo momento imprescindibile jolly offensivo che ha fatto letteralmente di tutto, giocando all’occorrenza da quarterback, running back, ed ora anche da ricevitore in grado di registrare 21 yard di media con sole tre prese, ed una presenza in meta del tutto paurosa se rapportata al numero di snap giocati.

Da quando hanno inoltre compreso che non serve farsi il campo in due minuti e continuare a segnare a ripetizione – in ogni caso ci riescono ugualmente – i Saints sono produttivi a livello di punteggi e dominanti nel settore del possesso palla, due dati che se incrociati non possono non conseguire in una necessaria freschezza per una difesa che continua a porre seri paletti a chiunque sta affrontando quest’anno. Recuperano palloni, mantengono ottima la resa nelle conversioni di terzo down, dispongono di defensive back di alto livello in fase di marcatura e di un ricambio per il fronte difensivo che garantisce la continuità nel mettere pressione, generando azioni che magari non si vedono sempre nei numeri – altrimenti bisognerebbe contare anche le occasioni in cui si alterano le traiettorie dei lanci avversari – ma che poi il loro pesante contributo nella decisione delle partite se lo portano sempre dietro.

I BEARS STANNO INESORABILMENTE USCENDO DAL RADAR DEI PLAYOFF

Per Mitch Trubisky quella contro i Chargers è stata una buona partita, ma plagiata dai due turnover commessi nel quarto periodo.

Se i Bears avessero vinto lo scontro con i Chargers dinanzi al pubblico del ventoso Soldier Field non sussisterebbero grosse differenze, perché le dinamiche della gara non cambierebbero le conclusioni da trarre. Logico e comprensibile il puntare il dito contro i due field goal mancati da Eddie Pineiro, uno dei quali allo scadere, se non altro perché la memoria locale va subito a quel sonoro palo preso nella Wild Card contro Philadelphia che ancora oggi risuona come una maledizione diventando l’unico argomento estivo di squadra.  Ci sembra poco utile direzionare l’astio esclusivamente contro un kicker che in stagione ha sinora svolto un ottimo lavoro sotto pressione, in quanto a Chicago ci si è letteralmente divorati la partita a causa di quanto non è accaduto nelle ultime 20 yard.

La situazione di crisi non è facile da gestire, ed i Bears sembrano la perfetta rappresentazione odierna della malefica alternanza di sorte nella National Football League. Ieri Matt Nagy era il nuovo stratega uscito dalla bottega di Andy Reid, lodato e salito alla ribalta per la sua innovazione, oggi è solo l’ennesimo capo-allenatore capitato nell’occhio del ciclone dell’impaziente fanbase degli Orsi, ancora dolorante per la peccaminosa gestione-Trestman, una tifoseria che toccava con mano il sogno di tornare in competizione per il Super Bowl grazie ai Monsters Of The Midway in formato odierno, ma che si ritrova per le mani una squadra priva di concretezza offensiva ferma a quota 3-4, il tutto mentre gli odiati Packers sembrano tornati quelli dei bei tempi. C’è poco da innovare se i piani non funzionano, ed ecco spiegata la decisione presa da Nagy nel voler andare contro la sua stessa filosofia rendendo il reparto offensivo maggiormente equilibrato, decidendo conseguentemente di cavalcare il rookie David Montgomery ed aprendo un interessante ventaglio di possibilità per un Mitch Trubisky che quel caldo lo sta sentendo da molto vicino all’interno di quella graticola che sta seriamente rischiando di stampargli addosso l’etichetta di draft bust.

Per la prima volta in questo campionato Chicago ha superato le 300 yard di total offense ed è stata l’ultima delle 32 squadre a riuscirci, e siamo già a metà percorso. Un anno fa, raggiungere tale quota era un compito che le architetture offensive di Nagy conducevano in porto quasi ad occhi chiusi. Il discorso è però un altro, e se è vero che i Bears hanno finalmente reperito una strada per non diventare prevedibili grazie al piano messo a punto domenica scorsa, le statistiche accumulate non corrispondono a quelle di una squadra riuscita a mettersi in posizione per vincere la partita solamente con un calcio da tre punti. La questione la si sarebbe dovuta chiudere ben prima, se non altro perché le furiose scorribande di Montgomery hanno prodotto 5 yard per tocco e si sono svolte in un corposo contesto di 38 chiamate, un numero esponenzialmente più alto rispetto alle uscite precedenti e che potrebbe altresì indicare il termine della pazienza di Nagy nel mettere le sorti quasi totalmente nelle mani di un quarterback continuamente erroneo.

Vero, i Bears sono sistematicamente arrivati in redzone vincendo la battaglia fisica contro la trincea dei Chargers arrivando a controllare l’ovale per 38 minuti effettivi, tuttavia segnare un solo touchdown in un totale di cinque raggiungimenti della redzone ha molte più relazioni con le ragioni della sconfitta rispetto ai due calci – uno ancora destinato al palo – mancati da Pineiro, il quale, in caso di successo, avrebbe solamente reso la pillola un pochino più dolce senza modificare le reali problematiche che Nagy deve oggi affrontare. A ciò vanno aggiunti i due turnover a carico di Trubisky nel quarto periodo, ovvero il momento meno opportuno della partita, azioni che Mitch ha fatto parzialmente dimenticare con le sue doti atletiche ottenendo 11 preziosissime yard di persona per avvicinare il kicker ai pali dimostrando non per la prima volta la capacità di effettuare giocate importanti con il risultato in bilico, ma che anche in questo caso non cancellano la vera natura del problema.

Il fatto che poi Nagy abbia chiamato uno spike a terra anziché affidare al caldo Montgomery il compito di portare a casa altre due o tre yard aggiunge pepe all’insieme, aggravando la sensazione di pressione che i Bears devono affrontare da qui al termine della stagione, a pochi mesi da un 2018 dove avevano giocato in maniera a tratti dominante uscendo immeritatamente dai playoff.

PACKERS, L’ESPONENZIALE ASCESA DI AARON JONES

Aaron Jones è il giocatore-chiave dell’ultimo mese di gare dei Packers.

Green Bay ha definitivamente fatto rientro nel circolo delle grandi squadre a pochi mesi dal disastro targato 2018, offrendo spettacolo nella stessa quantità della consistenza ed ottenendo un 7-1 pari al miglior bilancio dal 2011 ad oggi, con meriti da distribuire su tutti i reparti del roster. Indubbi meriti vanno correttamente attribuiti al netto salto di qualità difensivo espletato nel post-Dom Capers grazie ad acquisti di free agency ben calibrati verso le effettive esigenze del team, su Aaron Rodgers è stato già detto tutto ma basti sapere che il quaterback è definitivamente tornato a giocare a livelli degni di un Mvp, e molta della luce della ribalta si è improvvisamente ed inaspettatamente rivolta verso la figura di Aaron Jones, la vera grande differenza tra le due edizioni dei Packers viste in campo nell’ultimo campionato e mezzo.

L’esplosione di Jones è giusutificata da due motivazioni principali, che risiedono nella volontà filosofica espressa e poi mantenuta da LaFleur nel voler ingrandire il ruolo del running back rispetto al recente passato firmato McCarthy, ed il netto miglioramento fornito dal giocatore in fase di ricezione, una dimensione nella quale il precedente coaching staff non aveva più di tanto creduto. I numeri sono inequivocabili, e non è certo casuale il fatto che Jones sia passato dalle 35 ricezioni per 228 yard ed una meta sotto McCarthy – numeri accumulati in ben 24 presenze – alle 34 prese per 355 yard con 3 touchdown nelle sole otto gare giocate sotto le direttive del nuovo regime presente sulla sideline, statistiche che evidenziano l’ascesa di Jones verso una dimensione di running back completo ed utile a tutte le situazioni di gioco. I Packers avevano dunque l’oro in casa, LaFleur si è solamente preoccupato di scavare più a fondo degli altri.

Il buongiorno si era visto da un mattino di inizio ottobre contro dei Cowboys partiti a razzo, schiantati dalle 182 yard totali e dai quattro touchdown con cui Jones aveva contribuito a ridimensionare le prospettive texane per il presente torneo. Oggi quel career high è già un ricordo tra i tanti di questa bellissima stagione, ulteriormente ritoccato nella difficile atmosfera dell’Arrowhead Stadium in una partita la cui aria emanava il forte profumo della consacrazione, non solo per il giocatore – autore di 226 yard totali con due segnature su ricezione – ma pure per i Packers medesimi, già detentori di una vittoria in più rispetto a quanto totalizzato nel 2018. Il fatto che Jones possa definirsi una legittima doppia minaccia è una realtà di cui prendere seriamente nota, oltre ad essere tra le principali ragioni per cui nel Wisconsin ci si è potuti permettere di viaggiare a quota 4-0 in assenza di Davante Adams, il punto di appoggio primario per Rodgers, il quale si è rivelato letale nel leggere correttamente i matchup a favore del suo running back più gettonato.

Jones ha migliorato le statistiche di squadra nelle ultime 20 yard e le sorti dei Packers dipendono direttamente da lui, tanto da indurre a sottolineare il fatto che nell’unica sconfitta stagionale – contro gli Eagles – il numero del running back è stato chiamato una sola volta su otto giochi interni alle 10 yard nel quarto periodo di quella specifica partita, oltre a costituire la rappresentazione vivente del bilanciamento offensivo visti i numeri molto vicini tra yard corse e ricevute, 271 contro 280. Poi ci vuole sempre la magata di Rodgers, il touchdown per Jamaal Williams va messo in loop ed imparato a memoria, ma il poter schierare un elemento come Jones, che fino ad ora sembrava fatto solamente per correre tra i tackle, all’esterno ed abbinarlo ad un linebacker che mai potrà stargli dietro in accelerazione si sta rivelando essere un’arma letale e con la quale si può fare tanta strada, come già dimostrato da Sean McVay proprio attraverso l’applicazione di questi stessi concetti.

Con un Rodgers formato Mvp, una difesa molto pressante sul fronte e concreta in copertura, ed un running back che sta entrando nella stessa stratosfera di colleghi come Dalvin Cook, Melvin Gordon e Todd Gurley, i Packers possono cominciare ad avere crescenti certezze di poter recitare un ruolo primario nel quadro complessivo di una Nfc che si sta sempre più delineando, e che vede la franchigia del Wisconsin appartenere sempre più al gruppo elitario di testa.

I CHIEFS SONO COMPETITIVI ANCHE SENZA MAHOMES

I Chiefs hanno dimostrato di potersela giocare anche con Matt Moore in campo.

Decretare i Chiefs come già sconfitti in vista del delicato matchup contro Green Bay – al di là dell’effettivo risultato finale – rappresentava una presunzione quantomeno incorretta se fornita tenendo unicamente conto dell’assenza di Patrick Mahomes. Nonostante l’unicità del talento in questione il roster di Kansas City è composto da tanti altri elementi di qualità, e non si dimentichi che il peso di come si viene allenati è determinante tanto quanto il talento a disposizione, e nello specifico Andy Reid di cose da insegnare ne ha parecchie. Alla base dell’insuccesso contro i Packers c’è soprattutto l’esecuzione dei concetti, d’altra parte nel football si vince con i dettagli, ragione per la quale più che la mancanza in campo di Mahomes Kansas City ha sofferto perché vorrebbe vedersi restituita qualche singola giocata per interpretarla differentemente, concetto valido tanto per l’unico turnover commesso in una partita altrimenti perfetta – il fumble di LeSean McCoy a fine del terzo quarto piuttosto che il drop di Kelce su un terzo e tre decisivo – quanto per i due mismatch con cui Aaron Jones ha spiaccicato la marcatura dei linebacker avversari creando due giochi di vorticosi guadagni.

La bravura di Reid nell’allevare seconde stringhe di giocatori in grado di non modificare troppo le economie di squadra in caso di assenza dei titolari è una capacità comprovata oramai da un ventennio, e non dovrebbe essere messa troppo in discussione non solo per la continuità portata a Philadelphia, ma per quanto più di recente svolto in occasione della squalifica di Kareem Hunt e conseguente immissione in campo di Damien Williams, mossa che non ha pregiudicato la produttività offensiva di fine 2018 al di là della differenza di talento. Nulla è dunque precluso se a schierarsi sotto il centro è un trentacinquenne strappato al godimento del ritiro per fungere da quarterback di emergenza, e la partita giocata da Matt Moore – oltre allo spezzone disputato contro Denver – dimostra che si può tranquillamente competere con le migliori squadre attualmente in circolazione senza preoccuparsi di non far commettere casini al sostituto in cabina di regia, nonostante la momentanea assenza tremendi istinti che Mahomes possiede.

Al di là del fatto che la difesa non navighi in acque drasticamente differenti rispetto alle tanto criticate edizioni precedenti, l’ultimo paio di uscite ha evidenziato alcuni piccoli ma significativi progressi che strada facendo potrebbero tornare utili, in particolare l’aumento della pressione portata verso il quarterback avversario, un’arma che ha tenuto sotto scacco persino Rodgers per quasi tutto il primo tempo. La pass rush ha difatti innalzato i sack medi dagli 1.83 delle prime sei gare ai 7 ottenuti sommando le prestazioni contro Broncos e Packers, sottolineando che quest’ultima gara è stata giocata senza due pilastri della linea come Chris Jones e Frank Clark. Va inoltre annotato che il già citato fumble di McCoy, commesso nella propria metà campo, ha permesso sette punti facili ad un avversario che ha dovuto compiere di conseguenza poca strada per prendersi un 24-17 provvisorio che sarebbe potuto essere ribaltato dal lato opposto per l’efficacia con cui i Chiefs stavano giocando in quel momento, ovvero tenendo un buon bilanciamento offensivo e convertendo i terzi down con una percentuale superiore al 50%, nulla di drasticamente differente rispetto a quando Mahomes è in campo.

Kansas City ha dimostrato di poter essere competitiva in una delle partite più difficili dell’anno, di poter schierare una press-coverage aggressiva grazie a delle secondarie che possono essere compatte, di saper mettere pressione a Rodgers costringendolo ad uscire spesso da una tasca confusionaria travestendo da protagonisti giocatori improbabili come Khalen Saunders, tackle difensivo giunto con costanza nelle zone del quarterback ottenendo il primo sack di carriera. Tutti elementi che depongono a favore delle prospettive vincenti di squadra nonostante le tre sconfitte attualmente accumulate, a patto che l’attenzione all’esecuzione diventi imprescindibile.

PATRIOTS, SI VINCE CON LA DIFESA

La difesa dei Patriots è una macchina da turnover.

Se negli ultimi diciotto anni i Patriots hanno vinto ciò che hanno vinto lo devono soprattutto alla capacità di reinventarsi e cogliere il punto debole dell’avversario meglio di chiunque altro, ripetendo l’esercizio con modalità sempre differenti. Ieri era il miglior attacco della lega, a volte improntato sul terminare le difese insistendo sul gioco di corse ed in altre circostanze sfoggiando una rete di passaggi non limitabile da alcun oppositore, oggi quella che un tempo era una pecca molto evidente – la difesa – si è trasformata in un reparto stellare dalla quale dipendono anche le sorti offensive, per quanto strano possa sembrare tale concetto vista l’impossibilità di ignorare la carismatica presenza di chi ha guidato tale attacco con alta maestria per tutto questo tempo ed ancor oggi lo conduce.

Eppure è così, i fatti dicono che il reparto difensivo di New England sta addirittura facilitando il lavoro di Tom Brady, ed i motivi sono strettamente legati alla letale capacità di generare turnover propizi. Gli studi tattici hanno difatti portato Bill Belichick a creare una difesa per la maggior parte impostata sulle coperture a uomo, ma che lascia sempre un elemento senza alcuna assegnazione di marcatura per meglio poter osservare le intenzioni del quarterback generando quella maggior facilità d’intervento conseguita in un altissimo numero di intercetti, già 19 in sole 8 partite. Merito della capacità di assemblare un roster difensivo versatile dove ogni singolo appartenente può vestire i panni del collega, creando l’ideale interazione tra corner e safety, tra safety e linebacker ibrido, e tra linebacker con compiti di pass rush e defensive end puro. Individuare chi-fa-cosa in una singola azione difensiva dei Patriots è diventato un rebus irrisolvibile per chiunque non riesca a processare velocemente le informazioni derivanti dall’osservazione dello schieramento.

Il fatto che New England non abbia ancora affrontato un quarterback degno di tale nome in occasione di queste prime otto uscite detiene certamente un peso all’interno della generalità della questione, compito agevolato dall’appartenere ad una division totalmente priva di concorrenza nello specifico ruolo oltre alla fortunata coincidenza di aver incrociato un paio di backup a sostituire titolari infortunati, ma questo non rende certo meno onorevole quanto ottenuto fino a questo momento da un reparto dominante, che ha segnato già quattro mete (due su intercetto ed altrettante su fumble) e che può permettersi di utilizzare Stephon Gilmore quasi ed esclusivamente per cancellare il miglior ricevitore avversario di turno – e qui i nomi sono certamente più rilevanti rispetto a quelli dei quarterback – compito sinora portato avanti in maniera impeccabile. Quando la difesa non segna recupera ad ogni modo palloni in zone nevralgiche del campo, ed ecco spiegata la maggior facilità di scrivere punti a tabellone anche per un attacco che ne macina 31 a partita pur essendo il sedicesimo produttore di yard del momento, una statistica che non può non mettere in risalto i benefici creati dai vari McCourty, Hightower, Van Noy, Collins e Jackson, solo per citare alcuni tra i difensori che stanno costruendo un’annata che si prospetta ancora una volta magnificamente vincente.

Poi, se c’è una così grande voglia di portare a casa il risutato – e qui contano tantissimo l’ambiente e le motivazioni che il coaching staff riesce ad installare nei singoli – si possono anche concedere i big play se poi le reazioni agli stessi portano il Jonathan Jones di turno a rincorrere Nick Chubb come un forsennato per oltre metà della lunghezza totale del campo e trovare anche la forza di assestare un colpo decisivo nel far cadere a terra un pallone probabilmente destinato in meta, perché episodi del genere sono gli stessi che fanno girare l’inerzia delle partite, ed i Patriots tale mantra lo stanno applicando di settimana in settimana con una continuità stordente. Grazie agli interventi della difesa i Patriots si possono tranquillamente permettere giornate poco colorate in attacco, ovvero il settore dove le cifre non sono più quelle altisonanti di un tempo ma dove al momento non si patisce troppo per la mancanza di Gronkowski, gli infortuni di Gordon e Harry, e le tragicomiche vicende di Antonio Brown.

GAME REWIND OF THE WEEK: Packers @ Chiefs

Nonostante l’assenza di Patrick Mahomes la partita è stata come previsto divertente ed equilibrata, un vero spettacolo grazie ai numeri creati da Aaron Rodgers ed alle atletiche galoppate di Aaron Jones. Tra due squadre forti spesso sono i dettagli più minuscoli a decidere il tutto, e questo spettacolare Sunday Night arricchito dalle infinite perle tecniche di Chris Collinsworth ne è decisamente la dimostrazione. Da guardare anche per capire i concetti di base degli schemi di Andy Reid, un vero e proprio maestro del coordinamento offensivo.

STAT LINE OF THE WEEK: 34/43, 373 yds, 3 TD, 1 INT, 116.4 RTG

Doveva essere una riabilitazione più lunga ed il dito infortunato è vincolante per l’efficacia nel grip del pallone. Drew Brees è tornato in campo domenica contro i Cardinals ed è sembrato tutto molto normale, come se nulla fosse mai accaduto. Giusto il tempo di scaldare il motore e poi via, con una nuova giornata in ufficio all’insegna della produttività offensiva, con i Saints a fare ancor più paura di prima.

TD CELEBRATION OF THE WEEK

Aaron Jones, a.k.a. the Funky Worm!

ONE LINERS OF THE WEEK:

  • I Cardinals non sono pronti a misurarsi contro squadre come i Saints in trasferta, a maggior ragione se Kingsbury tenta una quarto down alla mano sulle proprie 30 yard ottenendo un effetto esattamente contrario a quello desiderato in una gara fino a quel momento equilibrata.
  • La stagione dei Buccaneers ci sembra ottimamente riassunta dallo scontro tra Ogunbowale e Perriman, uno schema buono solo a fornire nuove meme Nfl agli appositi profili social.
  • I Chargers hanno vinto ma la sostanza non cambia, Rivers gioca sotto una pressione ingestibile, l’attacco non produce come potrebbe ed i calci falliti nelle gare vicine nel punteggio persistono, la differenza è che stavolta è semplicemente andata bene.
  • Mike Vrabel deve ringraziare la sua difesa per aver salvato la partita contro Tampa Bay su quel quarto e corto, il fake field goal chiamato in quella situazione di gioco e punteggio (27-23 per i Titans a 3:42 dalla fine, tre punti chiudono la gara) è stato una chiamata niente meno che pessima.
  • Minkah Fitzpatrick, il sapore della vendetta dev’essere davvero dolce.
  • I motivi per cui la difesa dei Dolphins – e non solo quella – è solo la parodia di una vera difesa professionistica si possono evincere dalla foto sottostante, evidenziante le marcature dei defensive back di Miami sul touchdown di Diontae Johnson.

WTF, Brian Flores?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A LOOK AHEAD:

  • Chiefs vs Vikings, banco di prova determinante per il morale dei ragazzi di Andy Reid contro un avversario tra quelli più in forma del momento.
  • Sunday Night Football che sembra una partita di playoff della Afc, riusciranno i Ravens ad infliggere la prima sconfitta stagionale ai Patriots dinanzi ad un M&T Stadium che si preannuncia bollente? Partitona tra la super-difesa di New England e Lamar Jackson.
  • Eagles vs Bears, Doug  Pederson contro Matt Nagy in uno scontro tra ex-assistenti di Andy Reid, nonché riedizione della Wild Card dello scorso campionato, quella del field goal mancato da Cody Parkey.
  • Panthers vs Titans, gara tra squadre dalla difesa arcigna che potrebbe essere impostata sul ground’n’pound, potrebbe rivelarsi una bella battaglia di posizioni di campo, stile vecchia scuola.
  • Raiders vs Lions, due squadre sicuramente insoddisfatte dal loro bilancio, ma molto divertenti da vedere una contro l’altra.

See ya!

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