Il Super Bowl dei più giovani di sempre non è terminato come si sperava in California, dando luogo ad una lunga offseason all’interno della quale i Rams godranno di tutto il tempo utile per capire che cos’è andato storto nella finalissima di Atlanta.

Sean McVay, il più giovane head coach di sempre a trascinare una franchigia Nfl al Grande Ballo, e Jared Goff, la più giovane prima scelta assoluta della storia a partecipare all’evento da starter, saranno parte di una complesse discussioni atte al reperire le motivazioni della sciatta performance offensiva eseguita dinanzi all’intimidatorio maestro Bill Belichick, che ha interpretato le sfaccettature dell’attacco losangeleno alla stregua di un veggente, nonostante le indicazioni date dallo stesso head coach in conferenza stampa – durante la quale ha ammesso di essere stato strategicamente surclassato – fanno ben comprendere il come a Los Angeles si sia ben consci dei fattori che hanno dato vita alla brutta notte trascorsa ad Atlanta.

Il Super Bowl giocato dai Rams stona difatti con tutto quanto è stato prodotto durante una regular season costruita sui numeri di un attacco fantascientifico, generando un prevedibile effetto-copycat e spargendolo in giro per la Nfl verso chiunque avesse appena licenziato il proprio capo-allenatore, individuando in un qualsiasi clone di McVay il proprio candidato ideale. La corsa si è fermata nel momento più importante, più bello, in un campionato dove Los Angeles aveva migliorato i già sorprendenti presupposti della felice campagna precedente, con la differenza del riuscire ad arrivare a vincere con consistenza anche in postseason, anello di congiunzione mancante per un 2017 in ogni caso assai positivo.

Il messia offensivo ha sostanzialmente perso tutte le piccole battaglie nei confronti di una difesa in grado di offrire look ambigui, creando un clima surreale contro il quale la squadra ha affannosamente sbattuto per tutti i quattro periodi di svolgimento. I Patriots – esperienza insegna oramai a memoria – sono letali nel cogliere la miglior caratteristica dell’avversario e scatenarla contro il medesimo, ed ecco annichilito un reparto responsabile di 527 punti a referto nell’anno apparentemente destinato a definire le difese quali settori con il solo dovere di contenere i danni provocati dai nuovi quarterback rampanti, lasciando che i Patriots scrivessero invece la parola fine su un’ipotetica svolta storica della Lega riguardo i principi attraverso i quali si ottengono le vittorie più importanti.

Una squadra offensivamente disorientata, la cui unica nota positiva è rappresentata dall’aver tenuto ottimamente testa a New England proprio grazie alla sua tanto criticata difesa, ha difatti insistito in maniera troppo sistematica nel creare basandosi sulle sue sicurezze anziché tentare delle significative varianti, mostrando forse una sicurezza nei propri mezzi rivelatasi non completamente fondata.

Il congestionato spazio a disposizione dei running back non ha sortito necessarie modifiche in corso d’opera facendo nascere già noti quesiti sul limitato utilizzo di Todd Gurley, e se in altre occasioni la situazione era stata opportunamente bilanciata dalla tosta fisicità di C.J. Anderson, in questo specifico caso la linea fissa a sei uomini predisposta da Bill Belichick e Brian Flores ha pienamente eseguito il suo dovere lasciando a 3.3 yard il backfield avversario, penetrando nelle retrovie grazie alla superiorità numerica ed eliminando il piatto forte avversario, la corsa indirizzata all’esterno con misdirection, gioco che ha funzionato in una sola circostanza.

Proprio Gurley, presente in campo in soli 11 snap e detentore di una produzione addirittura negativa in ricezione, avrebbe potuto rappresentare una possibile soluzione al problema, non a caso la regular season aveva visto l’attacco produrre 6.8 yard di media per ciascun tentativo di primo down trovando proprio in lui la soluzione ideale, cifra drasticamente scesa a 2.3 nei primi trenta minuti del Super Bowl. Non vi è stata difatti nessuna traccia della fruttuosa combinazione tra corse e ricezioni dell’atletico running back, fattore che per tutta la stagione regolare aveva sistematicamente permesso una grande varietà di chiamate nei secondi e terzi down con intuibili conseguenze a favore di Los Angeles, Gurley è invece rimasto a guardare ancora una volta in maniera del tutto misteriosa, dando luogo a nuove ipotesi sulle sue reali condizioni fisiche al di là delle smentite di possibile facciata, cercando così di interpretare gli abbondanti venti minuti di tempo effettivo intercorsi tra le prime due chiamate destinate al forte numero 30 giallo-blu, altra faccenda di cui si parlerà all’infinito fino al prossimo kickoff.

Chiaro che, vista la poca insistenza voluta da McVay nel settore corse, tanta responsabilità si sia conseguentemente traslata sulle spalle di un Goff chiamato ad arretrare per 38 occasioni completandone solamente la metà, più che altro con una serie di completi in doppia cifra giunti solamente nel secondo tempo ed utili per ottenere gli unici tre punti della serata, una statistica che ha davvero dell’incredibile se comparata alla potenza manifestata per tutto l’anno. Pur sottolineando che la linea offensiva, notoriamente impeccabile, non ha saputo gestire i blitz ed i movimenti in stunt dei Patriots lasciando passare troppa pressione verso il quarterback, già di per sè in difficoltà nel trovare ricevitori smarcati grazie alle ottime coperture delle secondarie avversarie, è evidente come Goff si sia reso responsabile di decisioni non felici, su tutte il decisivo intercetto rimediato senza un corretto bilanciamento dei piedi nell’ennesimo lancio affrettato verso Brandin Cooks, ma anche i sack registrati a causa della troppa calma nello sbarazzarsi dell’ovale, in particolare nel secondo tempo, quando il regista ha mancato di lucidità nel liberarsi del pallone pur trovandosi già fuori dalla zona dei tackle.

Goff ha ricevuto inviti in successione da parte della sua difesa – davvero egregia nel sorreggere le sorti dell’intera squadra –  per tentare di mettere avanti la sua squadra nel punteggio ma le ha sostanzialmente fallite tutte, mancando nel condurre l’attacco una sola volta all’interno delle ultime 20 yard e producendo il primo shut-out offensivo nei primi trenta minuti del biennio McVay. Il quarterback ha lanciato complessivamente male scagliando conclusioni troppo spesso anticipabili dai defensive back, pur trovando giustificazioni solo parziali nei due drop commessi da un Cooks altrimenti più che affidabile (120 yard) ed in una protezione andata a concedere quattro sack e dodici hit , oltre a commettere qualche penalità evitabile – holding su tutto il resto – contribuendo all’assenza di una presa di ritmo che si avvicinasse alle ottime partite di regular season.

In ogni caso i Rams possono trarre indicazioni importanti da questa stagione, ed hanno la futuribilità dalla loro parte. Oltre ai progressi registrati nel campionato regolare la squadra ha dimostrato di appartenere a scenari importanti e di potersela giocare in tali contesti, cambiando pelle all’occorrenza e mutando in un power running team contro Dallas, oppure rimontando lo svantaggio iniziale dinanzi all’ostile Superdome, compito impervio per chi non disponga di una congrua capacità psicologica di reazione alle avversità.

Pensando al Championship Nfc ed alla durissima lezione impartita dai Bears, la maturità dei californiani pare proprio essere fuori discussione.

Più o meno un anno fa McVay rifletteva sull’amara sconfitta contro i Falcons, i quali avevano domato i Rams al Coliseum in una Wild Card che aveva terminato troppo presto un cammino promettente, e le scene viste nel post-Super Bowl non fanno che raccontare una situazione del tutto simile, ma progredita nell’avanzamento verso il traguardo, per il quale manca solo il classico ultimo passo.

I Rams hanno dimostrato di aver assorbito molto bene quella lezione, dimostrandosi preparati al salto di qualità. La preparazione alla prossima stagione dovrà essere affrontata con tale consapevolezza, tenendo conto che per ragioni prettamente anagrafiche e di presenza di molto talento a roster questa potrebbe essere solo la prima di una lunga serie di occasioni di cui il team disporrà per presenziare in maniera costante tra le compagini accreditate alla vittoria finale.

Magari un giorno le immagini di McVay impegnato a sollevare l’agognato Lombardi Trophy sorridendo nel ripensare allo scacco matto oggi rifilatogli da Bill Belichick, e di Gurley eletto Mvp della finalissima muteranno in una dolce realtà mettendo in retrospettiva una sconfitta oggi assai dolorosa da sopportare, ma potenzialmente determinante per compiere il prossimo percorso nella sua interezza.

3 thoughts on “Rams, il mea culpa ed un futuro comunque promettente

  1. Io non sarei così ottimista: se Belichick trova un sostituto di Brady può portare Mcvay (ma’ndo vay se altro che punt non fai?) a scuola per altri 5/6 anni (ci andrà in pensione, il coach?). E nel frattempo gli altri della NFC mica stanno a guardare…

  2. Una lunga serie di finaliste negli ultimi anni che non si sono poi ripretute gli anni successivi darà un poco da pensare ai poveri Rams. Arizona Colts Ravens Giants Packers L.A. Carolina Atlanta Phila. Un po’ troppe. Attenzione! La storia recente mostra che il treno passa e poi, a meno che non stai nella zona di Boston, difficilmente ritorna. Ma speriamo non sia così almeno per loro. Si ricordino che a SB in corso spesso occorre cambiare anziché intestardirsi col proprio credo.

  3. mah! anzitutto al sb i rams non dovevano esserci e meno male hanno perso altrimenti la macchia sarebbe rimasta…poi la futuribilità io proprio non la vedo….hanno saturato tutto il cap, e con un buon qb (da tenere a suon di dollari) ancora solo x un anno in contratto da rookie e che quasi certamente da domani batterà cassa….è una squadra che sarà molto rimaneggiata fin dal 2019. ps: se suh aveva il contratto x un solo anno il motivo ci sarà stato. o no?

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