Un campionato già sorprendente per l’evidente impresa compiuta in regular season, estenderà per un’altra settimana ancora la sensazione di sorpresa positiva che i Colts si sono cuciti addosso per tutto l’anno. Curioso pensare, oggi, che verso metà ottobre la squadra di Frank Reich attirava i commenti della stampa solamente per mere questioni di Draft 2019, per meglio comprendere quale prima scelta alta ci si sarebbe potuti aggiudicare per migliorare ulteriormente questa situazione complessa, che vedeva Andrew Luck rientrare dopo lunghi mesi pieni di oscure discussioni sul prosieguo della sua carriera. All’epoca Indianapolis era ferma a quota 1-5, ed era già stata tratteggiata una bella riga sopra il suo nome in ottica postseason: poi la grande cavalcata, una sola sconfitta rimediata in tutto il restante percorso, una qualificazione alla postseason ottenuta dopo aver piegato i rivali Titans, e l’approdo ad un palcoscenico che nelle teorie prestagionali non sarebbe dovuto essere risultato accessbile con questa rapidità.

La sfida di ieri sera conteneva un gusto particolarmente familiare per i Colts, non solo per il ritrovarsi opposti agli stessi Texans fronteggiati due volte l’anno causa la comune appartenenza alla Afc South, ma pure per la simile conduzione stagionale portata a termine dalle due contendenti. Anche Houston aveva ritrovato la sua superstar, J.J. Watt, dopo due stagioni troncate dagli infortuni, ed anche il cammino texano non era risultato poi così differente dopo aver rimediato tre bocciature in fila per aprire il campionato, innescando anche in quel caso chiacchiere riguardanti il futuro status di Bill O’Brien su quella linea laterale. Grazie ad un parziale di nove affermazioni consecutive, Houston avrebbe conquistato lo scettro divisionale, ottenendo il diritto di giocarsi in casa il primo turno di questi playoff, aprendo lo scenario per una cavalcata che sarebbe potuta terminare chissà dove.

Il cuore di questi Houston Texans è sempre lui, J.J. Watt.

I padroni di casa, tuttavia, sono sembrati essere i ragazzi vestiti di bianco, perlomeno a giudicare dall’agio con cui hanno imposto il loro piano di gioco dentro il rettangolo verde del NRG Stadium. Crediamo che la storia della gara sia scritta tutta nella precedente affermazione, visto lo svolgimento di un primo tempo paragonabile ad un temibile presagio, il quale aveva visto i Colts muoversi con disinvoltura e convinzione sin dal kickoff inaugurale, fatto avvalorato dalle 63 yard raccolte da T.Y. Hilton nel solo primo drive – confermando quanto la grafica della Espn aveva precedentemente messo a disposizione evidenziando le 133 yard di media registrate dal wide receiver in quello specifico impianto di gioco – riservando poche sorprese pure per la firma della meta del 7-0 iniziale, opera del “solito” Eric Ebron, letteralmente rinato sotto le cure di Reich.

Una volta riposti i giochi a lunga gittata tra le pagine secondarie del playbook, i Colts hanno imposto il loro mantra concentrandosi sul gioco di corse, sulla playaction e cercando di risultare dominanti in difesa. Si spiegano così le 148 yard scritte a terra da Marlon Mack, tra le chiavi principali di questo 10-1 tuttora in piedi, frutto dell’abilità di taglio del giovane running back sì, ma pure di una prestazione sontuosa della linea offensiva di Indianapolis, eccellente in entrambe le fasi offensive del gioco e capace di soggiogare fisicamente i Texans, tenendo costantemente pulita la tasca di Andrew Luck con la forza bruta.

Su questa falsariga sarebbero arrivati altri due touchdown a favore dei Colts – merito di Mack stesso e di un improbabile ma concreto protagonista come Dontrelle Inman – fissando così tutta la produzione che sarebbe bastata ad Indianapolis per gestire in tutta tranquillità un secondo tempo prevedibilmente incolore a livello offensivo, ma difensivamente altrettanto ineccepibile. Deshaun Watson non ha mai preso realmente ritmo se non nella serie di giochi che ha tardivamente portato alla segnatura della bandiera, e la gestione dell’attacco in chiara necessità di rimontare in fretta è stata lacunosa. Difficile, difatti, creare qualcosa di convincente con tutti quei lanci corti di cui i Texans si sono accontentati anche in situazioni di terzo e lungo, osando solo in un numero ristretto di circostanze dove l’ex-Clemson è peraltro risultato tutt’altro che a suo agio, ed obbligatorio in certi altri casi riuscire a fuggire con l’ovale in mano (76 yard a terra per Deshaun) prima che arrivasse una pass rush comunque autrice di 3 sack.

I Texans si sono ritrovati nella poco piacevole situazione del dover gestire l’impossibilità di trovare un rimedio alla metodica precisione degli avversari, la quale ha mangiato ettari di orologio fornendo ben quattro drive ben oltre la metà campo (uno è stato fermato da un intercetto con i Colts sulle 17 yard a favore) e del non riuscire, nel contempo, a non combinare nulla in attacco, creando una situazione di pressione psicologica dalla quale non sono più usciti. Watson ha completamente sbagliato una lettura rimediando il suo primo intercetto dallo scorso 18 novembre in occasione di un quarto e quattro, e miglior sorte non ha certo avuto un altro quarto down giocato alla mano verso la fine del secondo quarto con una sola yarda da prendere, quando un field goal sarebbe stato certamente preferibile al passaggio caduto a terra prima di raggiungere un DeAndre Hopkins marcato a dovere, ed autore di sole 5 ricezioni per 37 yard.

I Texans sono usciti dallo spogliatoio affrontando la ripresa con ancor minore convinzione, mandando a referto tre fugaci serie di giochi per un misero totale di 41 yard, utilizzando quasi sette minuti per confezionare l’unica serie offensiva degna di tale nome nonostante la situazione richiedesse una maggiore urgenza, prima di non riuscire a convertire l’ennesimo quarto down, stavolta in situazione di crescente disperazione, lasciando ai Colts il semplice compito di guadagnare il necessario per far sprecare i timeout avversari ed inchiodare nei libri di storia un 21-7 del tutto perentorio. Risultato, questo, durissimo da digerire, perché deprime la rincorsa che i Texans hanno inscenato per tutto l’anno senza riuscire a finalizzare quella più importante dell’anno all’interno del contesto dei playoff, ambiente che definisce le reali ambizioni di una squadra e che li ha invece visti sciogliersi come neve al sole.

Coach of the Year?

Continua invece il capolavoro di Frank Reich, giunto a Indianapolis quale sostanziale soluzione alternativa al tradimento di Josh McDaniels per tentare di risollevare una squadra che non vedeva la postseason dall’ormai lontana epoca del Deflategate, per la quale il presente campionato sarebbe stato soddisfacente per il solo fatto di aver recuperato Andrew Luck. Reich ha invece puntato in alto e convinto tutti ad eseguire il medesimo esercizio, migliorando i Colts in tutti i settori, giungendo ad un risultato per molti insperato che li vede ora staccare il biglietto per il secondo turno di battaglie.

L’ombra dei Chiefs è ben visibile all’orizzonte, tenere Mahomes lontano dalla produttività pare un’impresa improba.

Comunque vada, è stato un successo.

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