Riuscirò ad esordire pure quest’anno con un “ed anche quest’anno la regular season è terminata e dunque…” o magari, al terzo anno, vi proporrò qualcosa un minimo più originale?
Come recitava una simpatica ed innocente canzone di una delle mie serie TV preferite -How I Met Your Mother- two beavers are better than one: in queste righe oltre ai miei deliri verrete deliziati anche dalle opinioni dell’O.G. Dave Lavarra che o vi darà una possibilità in più di dire “sì, concordo con questa scelta” o si trasformerà in una persona in più da mandare a quel paese.
I premi già li sapete, e siccome vi sarete già discretamente stufati di leggere le mie divagazioni, partiamo.

Most Valuable Player

Davide Lavarra – Patrick Mahomes, QB, Kansas City Chiefs.

Incredibile quanto realizzato da Mahomes al suo primo anno effettivo in campo, dopo aver trascorso la sua esperienza da rookie osservando da fuori ed assorbendo insegnamenti come una spugna. Sussistono sempre dubbi sull’inesperienza di un giocatore, e qui entrano in gioco i cosiddetti intangibles del singolo, quelli che, oltre alle caratteristiche tecniche, hanno catturato i Chiefs all’epoca di una selezione che oggi pare merce sottratta alla concorrenza con il massimo delle abilità. 50 passaggi da touchdown non se li immaginava nessuno, ma se andiamo oltre la semplice lettura dei numeri c’è molto di più: una grande capacità di tenere viva l’azione, la sensazione che ogni giocata offensiva dei Chiefs sia inarrestabile, quella capacità di evitare i sack grazie ad istinto per la fuga e soprattutto quei passaggi eseguiti in maniera sbilanciata, un modo di giocare diverso da quanto riportato normalmente nel manuale operativo del quarterback medio, e proprio per questo così fantastico da osservare in azione.

Mattia Righetti – Patrick Mahomes, QB, Kansas City Chiefs.

Salgo sul bandwagon, mi aggiungo all’hype train e concordo con Dave: quanto fatto quest’anno da Patrick Mahomes, oltre che assolutamente impossibile da preventivare, è stato con ogni probabilità il miglior highlight reel dell’ultimo decennio. Passaggi no-look, fughe dalla pressione avversarie contro ogni legge della fisica ed almeno un passaggio da lussazione mandibolare a settimana: Mahomes però non è stato solo una macchina da big play, ma pure un quarterback in grado di lanciare 50 touchdown -CINQUANTA!- al proprio primo vero anno da titolare e, soprattutto, di condurre degli incerti Chiefs al primo posto in una iper serrata AFC. Se aggiungiamo all’infinito talento la sbalorditiva affinità tattica con coach Reid, possiamo velocemente realizzare che Patrick Mahomes ha tutte le carte in regola per diventare il prossimo volto della NFL e per dominare per gli anni a venire: intanto, al primo anno da titolare, si porterà a casa con ogni probabilità l’MVP e, forse, qualcosina in più.
Not a rookie, certo, ma mica male.

Facile avere questo sorriso quando Mattia e Dave ti eleggono unanimamente MVP.

Defensive Player of the Year

Davide Lavarra – Khalil Mack, OLB/DE, Chicago Bears.

Fin dalla più che discussa trade tra Oakland e Chicago l’impatto di Mack sul campionato è risultato niente meno che devastante, elevando definitivamente il giocatore proveniente dal College di Buffalo quale miglior edge rusher dell’intera Nfl. Mack ha liberato con positività tutta la frustrazione accumulata nel circo Silver & Black con la missione primaria di dimostrare di valere il nuovo contratto così tanto desiderato (e meritato), risultando devastante nella maggior parte delle azioni difensive dei Bears. I numeri sono sicuramente inferiori rispetto a quelli di Aaron Donald, altro candidato più che titolato per la discussione, tuttavia osservando Mack in azione non si è potuta non notare la capacità di creare autentici disastri per l’attacco generando nel contempo così tanti vantaggi per le azioni dei compagni, oltre ad aver inciso in parecchi settori statistici inusuali per un defensive end. 12.5 sack, un touchdown difensivo su ritorno di intercetto, sei fumble forzati a dimostrazione del fatto che nelle tante occasioni in cui arriva al quarterback riesce pure a creare un turnover, e tantissima attenzione forzata verso un piano di gioco offensivo che non ha altra scelta che raddoppiarlo o decidere di farsi abbattere da un uomo solo al comando, che ha fortemente contribuito all’ascesa di questa nuova possibile edizione dei Monsters Of The Midway, che oggi valgono i playoff.

Mattia Righetti – Aaron Donald, DT, Los Angeles Rams.

Ci sono due filosofie per decidere a chi assegnare un premio del genere: o si premia il giocatore il cui impatto sulla squadra -andando al di là dei semplici numeri- è stato più determinante o quello con i migliori numeri.
Dave ha deciso di premiare Mack che, nonostante abbia messo insieme buoni ma non disumani, è stato il catalizzatore necessario per trasformare la difesa di Chicago da “potenzialmente buona” a “migliore della lega”, io invece ho optato per Aaron Donald ed i suoi fantascientifici 20.5 sacks: questo numero non rappresenta nessun record all-time, intendiamoci, ma se consideriamo un attimo che a metterli a referto ci abbia pensato un defensive tackle il tutto diventa ben più impressionante. Provo a fare qualche proporzione per spiegarvi meglio il mio stupore: 20.5 sacks da un d-tackle possono essere comparabili ad una stagione da 1500 receiving yards da un runningback o 1300 rushing yards da un quarterback.
Ciò che più mi impressiona di Donald è la sua capacità di sabotare a proprio piacimento l’intero gameplan avversario: nonostante la difesa dei Rams non sia accostabile alla parola “migliore” in praticamente nessuna statistica, il solo Donald a più riprese è bastato a renderla dominante come per esempio nelle quattro occasioni in cui, in una singola partita, ha registrato almeno dieci QB pressures.
E nel mentre ha pure riscritto la storia: nessun defensive tackle era riuscito a mettere a segno altrettanti sack.

Offensive Player of the Year

Dave – Drew Brees, QB, New Orleans Saints.

Chiariamo immediatamente che parliamo di un giocatore che potrebbe tranquillamente vedersi assegnare il premio di Mvp assoluto senza portare via alcun che a nessuno. Non possiamo tuttavia esimerci dall’assegnargli il premio per la miglior prestazione offensiva della stagione, in quanto la resa di Brees ne ha prodotto una delle migliori stagioni di carriera, per alcuni forse anche la migliore. Nell’anno dei record da Hall Of Fame, Brees ha lanciato con una precisione ed un’efficienza irripetibili: miglior quarterback Nfl per rating e percentuale di completi, un rapporto tra mete ed intercetti di 32 a 5, l’innata capacità di rendere produttivi dei giocatori che in altri contesti non riuscirebbero a mettere su determinate statistiche, fatto conseguente nel poter sfoggiare a referto ben tredici differenti giocatori protagonisti di una meta in ricezione. Non saranno i grandi numeri di un tempo, non arriviamo nemmeno alle 4.000 yard, ma di fronte a tale semi-perfezione c’è solamente da chinarsi e levarsi il cappello di fronte ad un giovanotto di trentanove anni che ha condotto i Saints ad un record di 13-2 con lui al posto di comando.

Teoricamente, questi due potrebbero ancora incrociarsi al Super Bowl!

Mattia – Andrew Luck, QB, Indianapolis Colts.

Scelta un po’ hipster, o no?
Dal punto di vista numerico non c’è storia, il barbuto quarterback dei Colts ha lanciato il triplo degli intercetti rispetto a Drew Brees, che può pure contare su 17 punti di passer rating di vantaggio, ma occorre mettere diversi puntini sulle i: prima di tutto Luck rientrava da un infortunio che ad un certo punto sembrava avergli compromesso definitivamente la carriera e, soprattutto, quasi la metà degli intercetti lanciati sono imputabili ad inguardabili drop di ricevitori che per quanto mi riguarda potrebbero essere stati creati su “my player” di Madden NFL 19.
Il dodici dei Colts è riuscito a portare ai playoff, vincendo nove delle ultime dieci partite giocate, una squadra vista da chiunque come il fanalino di coda di una AFC South che sulla carta doveva essere una delle division più competitive della lega e che invece non si è dimostrata pronta al prepotente ritorno dei Colts: non lo vincerà mai, intendiamoci, però dal momento che in questo articolo raccontiamo le nostre scelte e non le previsioni per chi effettivamente lo porterà a casa, ho scelto senza alcuna esitazione lui.
Se lo merita.

Offensive Rookie of the Year

Dave – Saquon Barkley, RB, New York Giants.

Le 2.028 yard prodotte dallo scrimmage lo hanno posto davanti a colleghi del calibro di Todd Gurley, Christian McCaffrey e Zeke Elliott, evidenziando la netta dipendenza nei suoi confronti di cui la produzione dei Giants ha avuto bisogno per tutto l’anno. Barkley è andato a segno in undici gare della sua stagione da rookie collezionando nel contempo sette uscite con più di 100 yard a referto mantenendo peraltro delle medie per tentativo fuori da ogni logica, e nell’insieme non può non essere conteggiato il notevole contributo in fase di ricezione, nella quale l’ex-Penn State è stato affidabilissimo ed essenziale per la continuità offensiva di una squadra in grande difficoltà. La questione che più ci ha sorpreso è stato il leggere nuove ed esperte opinioni riguardanti il presunto errore effettuato da New York nel preferirlo ad un nuovo quarterback, ed ancora ci sfugge con totalità il motivo di queste critiche. Vero che un franchise quarterback non si trova tutti i giorni, vero anche che una fertilità offensiva come quella offerta da Barkley in questo monumentale esordio è merce altrettanto rara nella NFL odierna.

Mattia – Baker Mayfield, QB, Cleveland Browns.

Se me lo chiedeste domani, molto probabilmente opterei per Saquon Barkley: tutti e due hanno messo insieme annate assolutamente favolose e sebbene i numeri di Barkley siano leggermente più impressionanti, non riesco a dargli il mio voto per un motivo piuttosto semplice che spiegherò fra qualche riga.
Barkley è spettacolare, surreale e fuori dal comune e, soprattutto, già uno fra i migliori tre runningback della lega, mentre altrettanto non si può dire di Mayfield, in quanto per bene che abbia giocato inserirlo in una sbrigativa top five posizionale non avrebbe assolutamente alcun senso; ciò che mi ha spinto a scegliere comunque Baker è il fatto che sia riuscito, nonostante un training camp giocato con le seconde linee -e nonostante Hue Jackson-, a caricarsi la squadra sulle proprie spalle fin da subito ed a condurla ad un record sbalorditivo, se prendiamo un attimo in considerazione gli ultimi anni dei Browns: ciò che più mi scalda il cuore è il fatto che vicino al suo nome accostino le parole “franchise quarterback”.
Cleveland, dopo decenni, può dire di avere il proprio quarterback: solo per questo meriterebbe l’MVP.

Chiunque vinca, è meritato.

Defensive Rookie of the Year

Dave – Derwin James, S, Los Angeles Chargers.

Premesso che i 160 placcaggi totali di Darius Leonard impressionano senz’altro, tuttavia l’impatto più tangibile fornito da una matricola difensiva è riconducibile a Derwin James, un atleta che ha rimesso in discussione la tradizionale definizione di versatilità assumendo vari compiti all’interno del suo reparto, dimostrando un’altissima intelligenza tattica nella comprensione del gioco e facendosi spesso trovare protagonista nelle giocate decisive che hanno sentenziato positivamente alcune gare di una squadra che anche grazie a lui ha accumulato undici vittorie stagionali nonostante i gravi infortuni pre-campionato. Puntuale nel placcaggio, sensitivo nell’intuire la direzione dell’azione, valido sia in copertura, sia nell’attaccare il gioco di corse che nel mettere pressione al quarterback, oltre ad avere buonissime mani per l’intercetto: nel giro di una sola stagione è diventato il miglior giocatore di questa difesa.      

Mattia – Derwin James, S, Los Angeles Chargers.

Leonard, Vander Esch, Smith e Chubb hanno tutti credenziali piuttosto valide ed interessanti, ma l’impatto di Derwin James sulla difesa dei Chargers non può e non deve essere ignorato: dichiarato già ad aprile come “steal of the draft”, James dopo un solo anno fra i professionisti può dire di essere già diventato uno dei contributori principali alla ridefinizione del ruolo più fluido di tutto il gioco.
Lo si può trovare veramente ovunque, e nonostante tutta questa mobilità il suo contributo non mancherà mai: non a caso è già First Team All-Pro -come Leonard- ed uno dei leader dello spogliatoio dei Chargers nonostante la breve permanenza in California.
In definitiva, se si vuole vincere contro LA il quarterback di turno deve sempre e comunque sapere dove sia James in ogni maledetto momento: questo trattamento era riservato anche a Ed Reed, uno piuttosto bravino.

Comeback Player of the Year

Dave – Andrew Luck, QB, Indianapolis Colts.

Un anno fa, proprio all’approssimarsi dei playoff, Andrew Luck non conosceva con precisione il suo futuro di giocatore NFL, stava rientrando da un viaggio in Olanda per continuare una riabilitazione cominciata ben dodici mesi prima ad una spalla che costituisce pur sempre un elemento fondamentale per la resa di un quarterback, e proprio per questo non si sapeva se Luck sarebbe ritornato lo stesso di prima. La speranza si è tramutata in una piacevole realtà che ha restituito ai Colts il loro franchise player, che non solo ha disputato senza problemi tutte le gare previste ma ha pure terminato la regular season con il miglior passer rating di carriera (98.7) e la miglior percentuale di completi da egli mai messa assieme. Un grande ritorno, coronato dall’approdo ai playoff dopo un inizio disastroso (1-5), ampiamente rimediato da un finale di campionato chiuso a quota 8-1, con sette di quelle nove partite dove Luck ha registrato un qb-rating superiore ai 100 punti.

Mattia – Andrew Luck, QB, Indianapolis Colts.

I numeri già ve li ho dati, Dave ha eccellentemente ribadito il tutto e non ho alcun motivo per dilungarmi.
Luck deve portare a casa almeno un premio.

Ma guarda chi si rivede!

Coach of the Year

Dave – Matt Nagy, Chicago Bears.

L’incredibile metamorfosi dei Bears vede Matt Nagy quale protagonista assoluto dell’impresa. Chicago stava già mostrando segnali di una difesa potenzialmente dominante un anno fa in un campionato dov’era mancato il supporto di un attacco competente, rendendo i Bears una squadra potenzialmente migliore di quanto il record facesse effettivamente vedere. Oggi quel 5-11 si è trasformato in un 12-4 grazie ad una difesa che ha aggiunto Khalil Mack ed il rookie Roquan Smith ad un reparto già forte, capace di accumulare sack e turnover, ma soprattutto di mettere in soggezione degli attacchi che in Division propongono dei quarterback che dovrebbero – sulla carta – essere migliori di Mitch Trubisky. Il regista dei Bears ha mostrato progressi e la sua mobilità rimane letale per chiunque, ed anche se il suo processo decisionale continua a mostrare delle lacune l’obiettivo è comunque quello di ottenere il massimo della resa con il materiale che si ha a disposizione. Nagy, in collaborazione con il nuovo offensive coordinator Mark Helfrich, ha semplificato il playbook esaltando le qualità di folletti imprendibili ma tosti come Doug Gabriel e Tarik Cohen, disegnando piani di gioco altamente produttivi e versatili, che all’occorrenza possono riporre il peso delle responsabilità su un running back come Jordan Howard, o tornare a colpire le difese con mismatch appositamente creati per le velocità di cui il roster dispone. Un anno fa i Bears erano ventinovesimi per punti segnati a gara ed oggi sono un reparto da top ten, mentre la forte difesa di Vic Fangio è cresciuta ancora, fino a diventare la migliore di tutta la NFL per segnature concesse. Da tempo venire a Chicago per sfidare i Bears non costituiva un’impresa così improba: chiedere pure ai Rams per maggiori informazioni.   

Mattia – John Harbaugh, Baltimore Ravens.

A proposito di metamorfosi… che dire dei Baltimore Ravens?!
Sul 4-5 e con un quarterback titolare per necessità -più che per merito- infortunato, la stagione di Baltimore sembrava essere destinata a morire su un anonimo 7-9 che molto probabilmente sarebbe coinciso con l’addio di coach Harbaugh: aiutati dal bye week e da forze maggiori, Harbaugh ed il suo staff sono riusciti in tempo record a cambiare completamente identità non al solo reparto difensivo, ma bensì a tutta la squadra, facendo affidamento su un massiccio uso di read-option e power running, cose che sembrano uscire o dal college o dagli anni ’70.
Questo “anacronistico” modo di giocare è riuscito, miracolosamente, ad esaltare le caratteristiche di praticamente ogni membro del loro roster: la linea d’attacco si è velocemente imposta come una delle più fisiche e cazzute della lega, mentre la difesa, beneficiando di immense pause garantite da possessi pressoché infiniti dell’attacco, è riuscita ad alzare il livello delle proprie giocate in modo incredibile grazie a tutto il tempo passato in panchina “a riposare”.
“Jackson è ancora grezzo come passer? Non c’è problema, sfruttiamo le sue incredibili abilità atletiche e costruiamo un attacco davanti al quale le difese avversarie saranno costrette a rispettare soprattutto le gambe del quarterback”: questo -più o meno- deve essere stato il ragionamento di Harbaugh, ed ha funzionato.
Abbiamo avuto modo di vedere alle Wild Card che il loro attacco può essere fermato, ma ad una trasformazione così veloce, radicale ed efficace non avevo mai assistito: le sue probabilità di vittoria sono pressoché pari allo zero, ma secondo me se lo meriterebbe davvero questo premio.
Dimostrare che nel football di oggi le “sole gambe” possano portare fino ai playoff, vale sicuramente una statuetta.

7 thoughts on “NFL Awards 2018, secondo noi

  1. D’accordo con mattia, harbaugh è riuscito a salvare la stagione con ciò che aveva a disposizione in quel momento (jackson)….traendone in massimo.
    quello che ha fatto è da grande allenatore

  2. I miei voti

    MVP: Mahomes
    Drew Brees è davvero sfigato:
    – hai 39 anni e giochi in NFL da circa 69 stagioni a livelli altissimi, per di più nella posizione più difficile
    – hai appena concluso una regular season in cui hai completato quasi il 75% dei passaggi tentati e hai lanciato 32 TD a fronte di soli 5 INT, mandando in meta anche il bibitaro degli spalti
    – il tuo QB rating è stato più vicino a 120 che a 110 (x la precisione 115,7!!) e hai perso solo 2 delle 15 partite disputate
    – hai già un anello al dito e quest’anno hai fondate possibilità di aggiungerne un secondo; e non fosse stato x difese della tua squadra vergognose, nel corso di queste stagioni le dita impreziosite dagli agognati Super Bowl rings avrebbero potuto essere già 3-4
    – incredibilmente ed inspiegabilmente non sei mai stato nominato MVP della stagione

    Solo un cataclisma può toglierti quest’anno il meritatissimo premio.. beh quel cataclisma ha la testa riccioluta del semi-rookie QB dei Chiefs, che ha fatto una regular season al limite del fantascientifico. Quando ha giocato “male” ha fatto segnare alla sua squadra 26 punti e sono convinto che se avesse avuto dalla sua una difesa di medio-alto livello Kansas avrebbe rischiato di finire senza sconfitte

    OPY: Mahomes
    Lo so che non si dà mai l’MVP e l’OPY allo stesso giocatore, ma per riprendere il discorso di prima credo non sia possibile non mettere in evidenza e premiare con questo riconoscimento il peso e l’importanza delle giocate di Mahomes non solo nella stagione dei Chiefs, ma di tutta la NFL. Quest’anno rischia di diventare il primo di una nuova era e la rivoluzione potrebbe essere partita da quel bazooka che il 23enne QB si ritrova al posto del braccio. Il campionario di colpi che ci ha fatto vedere Mahomes nelle 16 partite è stato qualcosa di eccezionale, quanto vario: secondo me per la prima volta non si rischia di passare per blasfemi dicendo che forse c’é un QB con un talento puro maggiore di Rodgers. Anche la spocchiosità ricalca un po’ quella del vecchio Aronne, ma quando fai passaggi no look, con angolazioni del braccio contro la fisica, sul piede d’appoggio sbagliato rispetto al manuale del QB, e dopo essere uscito dalla tasca con magie deliziose, beh forse ti puoi permettere anche di non essere simpaticissimo.

    DPY: Donald
    Solo 3 parole: devastante, mostruoso, dominante

    ROPY: Barkley
    Oltre 2.000 yards dallo scrimmage avendo davanti alcuni linemen che, soprattutto nella prima parte della stagione, avrebbero fatto fatica a giocare titolari ad Alabama piuttosto che a Clemson. La netta impressione che questa sia stata solo la stagione di rodaggio per diventare la star assoluta a partire dalla prossima. E la sensazione che diversi record saranno destinati a cadere durante la carriera di questo ragazzo, che oltre a correre, ricevere e bloccare come pochi, si è distinto anche per correttezza, umiltà e gentilezza. Occhio ai Giants nel 2019: il record di quest’anno è secondo me bugiardo, con un paio di innesti in O-Line, un Manning gasato disposto a dare il 110% per la sua probabile ultima stagione e 2 mostri come Barkley e Beckham, la squadra di New York potrebbe essere una sorpresa

    RDPY: Leonard
    A volte grossi numeri possono ingannare e inficiare la bontà di un giudizio, facendoci trascurare importanti fasi del gioco poco descritte dalle statistiche. Però fermiamoci un attimo a guardare i numeri raccolti dal rookie LB dei Colts

    – 163 tackles (leader NFL)
    – 7 sacks
    – 2 INT
    – 4 fumbles forzati
    – 2 fumbles ricoperti

    Sarà un caso ma la difesa di Indianapolis, con lui in campo, è passata da essere una delle peggiori della lega ad una delle più temute dagli OC avversari

    Comeback player: Luck
    Dura scelta tra il QB dei Colts e J.J. Watt, che ha visto i suoi 16,5 sacks stagionali passare un po’ in sordina a causa degli abbaglianti 20,5 sacks collezionati dal non-umano Donald. Ma alla fine la pulizia stilistica e l’accuratezza con cui Luck ha ripreso a dipingere football mi ha fatto pendere dalla sua parte. A me sembra quasi più forte del Luck pre-infortunio..

    Coach: Carroll
    E’ vero che Nagy ha fatto un gran lavoro, ma ad inizio stagione e soprattutto dopo la trade di Mack i Bears erano considerati tra i contender della NFC. Quindi Chicago ha semplicemente rispettato i pronostici e a Nagy va dato atto di aver fatto giocare la sua squadra al livello atteso. Per Seattle la situazione è stata diversa: in una sola offseason la squadra ha perso Sherman, Chancellior, Bennett, Avril, Graham, i 2 Richardson e dopo solo 4 giornate anche Earl Thomas. Prima dell’inizio del campionato quasi tutti gli analisti prevedevano per Seattle dalle 4 alle 6 vittorie, parlando di vera e propria ricostruzione e probabili anni transitorii. Risultato finale: record 10-6 e Wild Card perso a Dallas più per l’inesperienza di diversi giovani e la cocciutaggine dell’OC a voler continuare a correre che per inferiorità rispetto all’avversario. Questo dimostra che Carroll è riuscito a costruire in questi anni una cosa che secondo me contraddistingue gli allenatori medi da quelli davvero bravi: la mentalità vincente

    Non vi annoio più

    Ciao

    • Leggere commenti del genere è veramente bello.
      Grazie Roquinho, veramente.

  3. Per far tutti contenti direi Brees MVP (cosa sarebbe NO senza di lui? mentre KC anche con Smith funzionava benino) e Mahomes, che ha tempo per vincere il suo MVP, OPY.
    Anche se scommetto Drew potendo scegliere prenderebbe l’anello.
    Purtroppo si troverà davanti il peggio che potesse capitare: San Nicola Foles, quello dei miracoli. Se scampa quella, il resto può sembrare discesa.

    • È statisticamente provato che l mvp che arriva al superbowl , lo perde (ricordo fino a cam newton)
      Nn so se questa statistica è ancora valida (mattia che dici?) per cui simpatizzando x brees spero nn sia lui

  4. Io direi MVP a Brees, perchè obiettivamente i Saints sono i Saints solo ed esclusivamente grazie a lui ed è anche un premio alla carriera. Mahomes OPY perchè in attacco nessuno più di lui ha fatto (ma per l’mvp ha tempo). Per il resto sono quasi d’accordo ma il coach per me è Belichick. Il fatto di vedere i Pats sempre così in alto ci ha forse abituato ma quest’anno più che mai ha spremuto i suoi giocatori facendo davvero vincere il sistema rispetto alle personalità e anche con un brady sottotono, un Gronk che pensa più al ritiro che altro, senza alternative a Edelman… è ancora lì a giocarsi l’ottavo championship consecutivo. Mostruoso, soprattutto perchè giocatori come quelli che ha a disposizione fuori da quel sstema, in un’altra squadra sarebbero cosa ben diversa

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