1) L’EVOLUZIONE DI POCKET PASSER DI MARCUS MARIOTA E’ IN RITARDO

Abbiamo visto nelle scorse settimane come parte delle ragioni del successo dei Titans sia riconducibile alla filosofia installata da coach Mike Mularkey, basata su un gioco di corse fisico ed imponente (anche se non ancora costante) e sull’innata capacità di Marcus Mariota nell’improvvisare soluzioni grazie alla sua mobilità, caratteristiche in grado di procurare più di qualche vittoria rendendo finalmente la squadra competitiva in ottica postseason.

L’esibizione in occasione del consueto giovedì notte di football ha tuttavia reso evidenti quelli che sono gli attuali limiti del quarterback uscito da Oregon in termini di figura di passatore puro, i quali fanno pensare che Marcus non sia tecnicamente giunto dove avrebbe dovuto calcolando quella che è la sua esperienza professionistica ad oggi. Il motivo di questo paragrafo non nasce dal voler sottolineare eccessivamente quella che si è rivelata essere la peggior prestazione di carriera di Mariota, in cui quattro intercetti hanno senza dubbio determinato l’esito negativo del confronto contro gli Steelers, ma nasce piuttosto dall’interessante osservazione delle sue letture resa possibile dalla nuova inquadratura in stile Madden che la Nbc ha deciso di adottare per la maggior parte degli snap del Thursday Night, dando l’opportunità di notare cose che altrimenti passerebbero inosservate.

Da questo punto di vista Mariota svolge evidentemente un buon lavoro quando si tratta di capire le reazione di un determinato defensive back e creare la giocata sulla prima lettura (accade spesso con Rishard Matthews), tuttavia a giudicare dalla velocità televisiva sembra (usiamo termini parziali, dato che non siamo allenatori e né abbiamo assistito ala gara dal vivo) che in qualche occasione il timing sia in ritardo di qualche secondo nel rilasciare il passaggio, un fattore visibile per esempio dalle tre o quattro occasioni in cui uno screen per DeMarco Murray poteva arrivare prima con maggiori margini di guadagno e comunque prima che il difensore potesse leggere il gioco, o dalla mancata rapidità nell’effettuare – in alcune situazioni – le seconde e le terze letture per le opzioni in ricezione.

E’ una dimensione che Mariota deve ancora sviluppare bene e che altri giovani quarterback arrivati in Nfl dopo di lui hanno già saputo plasmare, ma questa non vuol essere una critica nei confronti di Marcus né un sostenere senza alcuna base che i suoi margini di miglioramento si fermino qui e basta, crediamo però che per misurarsi con difese che ai playoff tendono a serrarsi ancor più serva una presenza nella tasca più consistente ed efficace, un qualcosa che al terzo anno quasi completo di professionismo il quarterback dei Titans avrebbe dovuto curare di più.

2) WASHINGTON HA SPRECATO L’ENNESIMA OCCASIONE BUONA

Il football americano è una disciplina fatta di tendenze, e quella sviluppata dai Washington Redskins degli ultimi tre anni è quella di non saper chiudere le partite quando serve farlo. Non servono calcoli complessi o citazioni di chissà quali statistiche, è difatti sufficiente l’osservazione continuativa delle prestazioni della squadra di Jay Gruden per capire che, in determinate situazioni di gioco, anche una partita molto produttiva può trasformarsi in una terrificante scena muta nel momento della verità.

I riferimenti vanno ovviamente al +15 che i Saints hanno frantumato in pochi istanti dopo essere stati sotto nel punteggio per tutta la gara, una situazione paradossale per come Washington aveva gestito questa ed altre partite, trovando vita laddove i pronostici sostenevano l’esatto contrario. I Redskins sono gli stessi che hanno battuto i Rams ad inizio stagione, che hanno vinto a Seattle con quattro quinti della linea offensiva composti da riserve, che hanno segnato 30.5 punti di media alle notevoli difese di Vikings e Saints, e che da questi confronti sono usciti con un 2-2 che, se la difesa avesse tenuto contro Minnesota e se la squadra tutta non avesse perso la testa in quel del Superdome, sarebbe addirittura potuto essere un 4-0 contro avversarie di qualità nettamente superiore.

Questo ci indica che i Redskins sono migliori del record che hanno, ma si sa, le vittorie morali non servono assolutamente a nulla. Il non saper chiudere le gare con anticipo lasciando sempre un piccolo spazio di rimonta – un’impresa resa possibile dalla valanga di punti presa dai Pellerossa negli ultimi due minuti di ciascun tempo in quasi ogni partita – rappresenta un’immaturità gestionale che motiva l’inferiorità rispetto alle concorrenti più forti della Nfc. Gruden ha il merito di aver reso nuovamente dignitosa la squadra nelle varie fasi del gioco, ma al progresso tecnico va sempre abbinato anche quello mentale, e crediamo che quest’ultima faccenda sarà oggetto di discussione quando si tratterà di capire le prospettive future in città dell’attuale head coach, soppesando le potenzialità espresse nei confronti dell’ennesima ed oramai più che probabile assenza dalla stagione che conta.

3) IL CAMBIO DI QUARTERBACK DEI BILLS E’ UNA DECISIONE RIDICOLA PER IL MOMENTO IN CUI E’ ARRIVATA

Negli Stati Uniti questo tipo di affermazioni le chiamano bold. Lungi da noi da voler fare i professori, tuttavia si può tranquillamente convenire sul fatto che una squadra – in piena corsa per i playoff e con l’aggravante di una striscia di assenze dalla postseason che perdura da quando parecchi elementi del roster attuale andavano alle elementari – non possa riuscire a rovinarsi da sola l’esistenza in un modo peggiore rispetto a quello esercitato dal coaching staff di Buffalo.

La decisione in sé non è in discussione, nel senso che il quadro vede allenatori professionisti che hanno sott’occhio i giocatori in molteplici occasioni durante la settimana, che guardano ore ed ore di filmati appuntandosi dettagli che noi comuni mortali non possiamo vedere per mancanza di esperienza e di tempo, e spesso nelle economie che girano attorno a mosse simili a questa ci sono pure da mettere in gioco le prospettive per l’anno seguente, con dinamiche che possono cambiare di settimana in settimana a seconda dei risultati ottenuti sul campo.

La critica sul timing della decisione, quella non può essere sinceramente risparmiata. Pur ammettendo che i Bills non sono più sembrati vicini a quelli dell’entusiasmante 5-2 e che da quel momento in poi non hanno fatto che incassare sconfitte, non è francamente ammissibile prendere una decisione del genere in un momento del genere, mandando un chiaro segnale di sfiducia nei confronti di un quarterback che non sarà tra i più risolutivi quando si tratta di mettere il pallone per aria ma che si è in ogni caso rivelato essere uno dei più efficienti di tutta la Lega nel prendersi cura dell’ovale, superando i 100 punti di qb rating in quattro differenti occasioni e lanciando solamente tre intercetti in più di metà campionato.

Di certo Tyrod Taylor non meritava la retrocessione a backup solo per una cattiva prestazione contro dei Saints letteralmente scatenati, dato che la stessa difesa de Bills si è fatta correre sopra per tutta la partita, e non si capisce che cosa mai Sean McDermott pensasse di risolvere facendo esordire così a freddo, con una tale posta in palio, un rookie come Nathan Peterman, che grazie ai cinque intercetti lanciati è durato solamente un tempo. Ed ora, largo agli effetti di questa decisione: Peterman sarà sfiduciato al massimo, e Taylor non vedrà l’ora di lasciare la città e trovarsi un posto dove le sue qualità siano maggiormente considerate.

Quando si etichetta una franchigia come instabile o disfunzionale, sotto ci sono proprio decisioni come questa.

4) ADAM THIELEN E’ UNA DELLE PIU’ BELLE STORIE NFL DEGLI ULTIMI ANNI

La totale mancanza di ovvietà è ciò che ci fa piacere così tanto il football americano. Essere una scelta di primo giro non significa necessariamente diventare un hall of famer, ci vuole il talento ma ci vuole anche la testa, mentre altre volte si fatica semplicemente ad essere notati o si viene snobbati per aver collegialmente giocato in ambiti assai poco competitivi, un fattore che fornisce la presunzione di potersi permettere una valutazione automaticamente non positiva nei confronti di un determinato giocatore.

Quella di Adam Thielen è l’ennesima storia da cui si debbono trarre i corretti insegnamenti, e che per quanto la cosa risulti sdolcinata e scontata indica chiaramente che l’occasione giusta può portare ad un lieto fine anche quando il sogno appare totalmente irrealizzabile. Il posto di Thielen non doveva essere questo nei presupposti, non per un ragazzo locale, nato e cresciuto a Detroit Lakes (luogo che, nonostante il nome tragga in inganno si trova proprio nel Minnesota…) che ha giocato per i Minnesota State Mavericks, la cui sede si trova a Mankato, luogo di tanti training camp dei Vikings, ad un livello collegiale inferiore anni-luce rispetto al grande blasone generato dalle Alabama e Florida State del caso, un’università rintracciabile solamente nella Division II del panorama Ncaa.

Quando si viene da un College sostanzialmente sconosciuto l’unica strada per sperare di farsi notare è quella di mettere su numeri fantascientifici, e la più grande curiosità reperibile nella carriera di Thielen è il fatto di essere arrivato vicino ai record individuali per ricezione e ritorno di calci della sua università, tuttavia senza primeggiare in nessuno di questi pur essendo stato per tre anni il wide receiver di riferimento della squadra. La carriera di Thielen comincia da una miriade di provini, dato che inviti alla Combine e tanto meno al Draft gli erano stati recapitati a casa, tra cui un tryout organizzato dai Vikings a Winter Park, nel 2013.

Oggi, dopo innumerevoli snap di practice squad e special team, a quattro anni da quel provino Adam Thielen ha provato a tutti di appartenere alla Nfl senza alcun dubbio. Già l’anno scorso si era ritagliato un ruolo importante nei suoi amati Vikings con 967 yard e 5 mete, oggi è un titolare inamovibile fresco di un meritatissimo accordo triennale, un punto di riferimento irrinunciabile per un attacco che ha patito tante assenze. Cambiano i quarterback ma non varia il rendimento di un protagonista davvero insospettabile, che campeggia oggi nelle prime posizioni di Lega per yard ricevute assieme a tanti nomi molto, ma molto più famosi del suo. Qualora non lo si conoscesse ancora bene e servissero maggiori informazioni, è sufficiente chiedere alle secondarie dei forti Rams, ma non solo…

5) IL DOMINIO DI NEW ENGLAND E’ INVARIATO

Di tanto in tanto il timore arriva, ed è pienamente giustificato. La domanda è semplice: e se stessimo semplicemente perdendo tempo nel lodare Carson Wentz, i Saints o la consistenza degli Steelers perché tanto l’esito di quest’altro campionato è già scritto? Già, è arrivato il momento dell’anno in cui i Patriots mettono a tacere tutti e cominciano a fare sul serio, ingaggiando un nuovo percorso di dominio che tende a non cambiare nonostante il mutare dei pezzi del loro fantastico puzzle organizzativo.

Il conto delle vittorie consecutive è giunto a quota sei, e la sensazione è quella che non sussista alcuna intenzione di fermarsi nel breve termine. La partita perfetta si sa, non fa parte di questo mondo, ma Bill Belichick persevera nell’ossessione di arrivarci quantomeno vicino. Possiamo senz’altro spulciare tra i lati negativi della partita contro i Raiders – dominata nell’aria rarefatta di Mexico City – e sostenere che tutto sommato la linea difensiva abbia patito problemi nel contenere le proprie estremità concedendo qualche big play di troppo a Marshawn Lynch, questione che un puntiglioso come Belichick avrà senz’altro fatto pesare a tutti, ma quanto peso porta questo piccolo aspetto nei confronti dell’enormità di giocate positive che tutti i reparti sono riusciti a fornire?

Stiamo parlando di una gara dove Brady e Cooks hanno confezionato giocate rispettivamente di 51 e 64 yard, di un pacchetto di tight end che ha terminato la gara con il 100% di palloni presi, di una linea offensiva responsabile di una delle migliori partite stagionali su ambedue i fattori offensivi di maggior rilevanza (protezione eccellente, ottimi varchi per le corse), di una secondaria che grazie a Malcolm Butler ha cancellato Amari Cooper dal campo, e di un punter entrato in campo la miseria di due volte. New England centra giocate a ripetizione e fa girare le partite a piacere, basti pensare alla rapida successione che ha trasformato un’opportunità dei Raiders in un +17 per gli avversari: pochi secondi da giocare prima dell’intervallo, fumble provocato con Oakland in posizione per segnare, drive rapidissimo per permettere a Gostkowski la bomba di 62 yard e touchdown di Cooks appena dopo la ripresa delle operazioni. E partita dei Raiders terminata con il 90% del secondo tempo ancora da giocare…

6) LE QUOTAZIONI DI KANSAS CITY SONO IN NETTO CALO

In ambito Nfl ci vuole solo un attimo per raffreddare le prospettive di una macchina che pareva oliata alla perfezione, ma che nell’ultimo mese abbondante di gioco sta pericolosamente calando a picco. Stiamo ovviamente parlando dei Kansas City Chiefs, che in questo preciso momento stanno diventando più un caso che non la sensazione che avevano dato l’idea di essere, questo a causa di un ruolino di marcia negativo che li ha visti perdenti in quattro delle loro ultime cinque uscite. Oggi come oggi, il possibile raggiungimento del Super Bowl è un traguardo che sembra essersi allontanato dalle possibilità di una squadra penalizzata da vecchi difetti, gli stessi che nelle ultime stagioni ne hanno bloccato anzitempo il percorso verso traguardi importanti.

Se poi l’ultima di queste battute d’arresto giunge contro una squadra pessima sotto tutti i punti di vista, allora il fagotto delle preoccupazioni è solo destinato ad aumentare, perché delle sconfitte bisogna anche giudicare la qualità. Prendendo difatti in esame la brutta uscita contro i Giants emerge che i Chiefs non sono riusciti ad infierire contro una difesa contro i passaggi attualmente trentesima per yard concesse di media, data l’incolore prestazione di un Alex Smith penalizzato dalle incomprensioni con i ricevitori di turno e firmatario di un 61.5 di rating, con due intercetti al passivo. La squadra ha assoluto bisogno del quarterback ultra-efficiente delle prime otto settimane di campionato, ed i segnali non arrivano.

Oltre a questo Kansas City ha fallito nel pressare Manning nonostante una linea offensiva non irresistibile da oltrepassare, la difesa ha finito il confronto con una sola quarterback hit, una statistica disastrosa per qualsiasi pass rush, considerazione che si aggiunge al fatto che il fronte dei Chiefs ha reso produttivo un backfield che staziona al venticinquesimo posto Nfl per yard di media su corsa a partita. Certo, prima di emettere sentenze non resta che pazientare e vedere quale tipo di reazione metteranno in campo Andy Reid ed i suoi uomini, non dimentichiamo che Kansas City gode sempre di un cospicuo vantaggio all’interno della Afc West e che un posto ai playoff è sostanzialmente garantito salvo pasticci davvero clamorosi, poi però la strada si farà davvero dura, e per primeggiare serve molto più di quanto fatto vedere nell’ultimo mese di gioco.

7) PER SEATTLE E’ FINITA UN’ERA, MA NON E’ ANCORA IL MOMENTO DI DISPERARE

Nel football le cose cambiano alla rapidità della luce, Richard Sherman lo sa fin troppo bene e le sue lacrime di quindici giorni fa durante una conferenza stampa emotivamente dura ne sono la testimonianza più concreta. Sotto certi punti di vista i meccanismi Nfl sono spietati, perché da una parte le vittorie devono pervenire e dall’altra i conti debbono per forza di cose tornare, c’è un cap che non può essere sforato per nessun motivo e le franchigie si trovano costrette a rivedere di continuo le posizioni contrattuali dei propri giocatori.

Sherman, causa tallone d’Achille, è fuori dai giochi così come sembra esserlo Kam Chancellor per i problemi al collo, il che toglie di scena una buona fetta della leggendaria Legion Of Boom riducendo le speranze relative alla bontà della stagione dei Seahawks. I due sono un pezzo di storia per una squadra che ha vinto due titoli della Nfc ed un Super Bowl grazie anche alla loro presenza, ma l’orizzonte del compimento del trentesimo anno di età, se relazionato al peso di due contratti che sono tra i primi sei nel libro paga di Seattle, costringerà la dirigenza ad eseguire quantomeno dei ragionamenti.

Ora ci si chiede se – oltre che essere terminata con tutta probabilità l’era più prestigiosa della franchigia – siano anche terminate le speranze di fare i playoff per una compagine decimata nelle secondarie (ora è infortunato pure il rookie Shaq Griffin) e che continua a cercare un running back in grado di stabilizzare definitivamente il gioco di corse evitando all’encomiabile Russell Wilson di doversi esporre a così tanti straordinari, un qualcosa che la tenacia del soggetto non teme di certo, ma che fisicamente rischia di presentare il conto. La sconfitta contro Atlanta prova che Pete Carroll ha esagerato nel premere i bottoni del rischio (una finta di field goal fallita è costata i tre punti dello scarto del punteggio finale…) e che Blair Walsh non ha del tutto sistemato i suoi problemi psicologici, ma va a dimostrare anche che, ancora una volta, Seattle non si arrende.

I problemi della squadra sono sotto gli occhi di tutti, chiaro, ma Russell Wilson ha svolto un lavoro fin troppo sottovalutato nel tenere in partita i Seahawks in tantissime occasioni confezionando big play in serie, ravvivando un gioco aereo oggi molto efficace e guadagnando primi down con le sue gambe con una forza di volontà davvero inesauribile. Il calendario che resta porta un percorso misto, con partite ad altissimo quoziente di difficoltà (Rams, Jaguars, Eagles) alternate a sfide più abbordabili (Arizona, San Francisco, la Dallas attuale), ma in ogni caso a Seattle vale sempre il principio del mai dire mai. Finché c’è Russell Wilson (e ci sono pur sempre i Thomas, i Wagner, i Bennett) c’è ancora speranza.

8) LA PANCHINA DI JOHN FOX SI STA SCALDANDO A DOVERE

Siamo giunti ad un punto del campionato dove si possono cominciare a tirare delle somme, ed è un momento propizio per iniziaread individuare le prime panchine che scottano. Caso-Browns a parte (Hue Jackson e l’attuale dirigenza hanno aggiornato il loro bilancio a 1-25…), una delle sideline più calde sembra proprio essere quella di John Fox, non certo perché sui Bears si nutrissero chissà quali pretese di playoff, ma il motivo è comunque contenuto dietro ai numeri e al mancato progresso.

Il primo aspetto è molto significativo. Chicago è attualmente in detenzione di una striscia di tre sconfitte consecutive, e questo accade per la settima volta facendo partire il conteggio dall’inizio della stagione 2015, mentre il computo dei confronti diretti in ambito Nfc North vede Fox attualmente firmatario di un misero 3-13, che introduce direttamente al secondo dei due aspetti, sancendo che i Bears sono sostanzialmente ciò che erano l’anno scorso e pure l’anno prima ancora, ovvero una squadra buona per i bassifondi divisionali priva di voce in capitolo sul resto.

Resta una considerazione molto positiva, data dalla presenza a roster di consistente materiale su cui lavorare per migliorare le prosettive. I Bears hanno una difesa assai migliorata che propone un fronte capace di ottime giocate grazie ad Akiem Hicks e Eddie Goldman, un running back che ha le 1.000 yard in tasca come Jordan Howard, giocatori dinamici come Tarik Cohen, e soprattutto una speranza che per il momento è concreta in Mitch Trubisky, il quale di talento ed istinti ne ha da vendere e che nonostante la scarsa esperienza (anche collegiale) da starter si sta applicando bene nello studio delle situazioni difensive e nell’intepretazione delle letture progressive, oltre ad essere spettacolare in alcune situazioni di corsa.

Poi c’è sempre da mettere tutto nel calderone soppesando per bene il clamoroso field goal mancato da Connor Barth, costosissimo, ma l’umore dello spogliatoio dinanzi all’ennesimo record perdente che Fox sembra essere destinato a collezionare ancora una volta non crediamo possa essere altissimo, per cui la possibilità che la dirigenza si possa mettere alla ricerca di chi questo materiale possa gestirlo meglio non è una possibilità così lontana dalla realtà.

9) I TEXANS NON SI SONO ARRESI

L’abitudine mentale è durissima da rimuovere, e tutti abbiamo certamente tolto con facilità i Texans dall’equazione-playoff nel momento stesso in cui Deshaun Watson ha definitivamente salutato questa stagione. Non smetteremo mai abbastanza di ricordarci che il football è composto da infinitesimali micro-componenti e che uno straordinario talento come quello del quarterback da Clemson non deve necessariamente, una volta estratto dal contesto, penalizzare la squadra, anche se la produzione offensiva è drasticamente calata e le sconfitte – comunque già giunte con Watson in campo – si sono comprensibimente accumulate.

Magari i traguardi non saranno più raggiungibili come prima e le percentuali di probabilità sono destinate ad abbassarsi, ma la capacità di reazione di una squadra a ranghi ridotti può essere sempre un buon indicatore per capire come impostare il futuro, sia dei giocatori che del coaching staff. Houston ha dimostrato di non aver lasciato perdere la stagione e di essere pronta a combattere ancora, ed anche se i playoff possono sembrare un’utopia i Texans ci vogliono quantomeno provare, il che rappresenta sempre un bel segno.

I turnover non mancano mai, e questo è uno degli aspetti più duri su cui lavorare per Bill O’Brien, ma Tom Savage ha se non altro dimostrato di poter cancellare un errore e portare avanti la gestione della partita senza altre conseguenze negative. L’attacco ha giocato discretamente bene alternando fasi di immobilità ad improvvise accensioni della classica lampadina, giungendo a fine gara con un 58% in fase di conversione di terzi down ed un più che soddisfacente punteggio di 97 in qb rating, un sensibile progresso per un quarterback psicologicamente bravo a reagire alle avversità che lo hanno tormentato sin dalla prima uscita di campionato.

Ora i Texans cominciano un piccolo tour che sarà molto significativo per l’esito stagionale, affrontando in trasferta sia Baltimore che Tennessee misurandosi con due rivali dirette per la Wild Card della Afc. Ci vorranno concomitanze favorevoli dagli altri campi e il 2-0 nei prossimi quindici giorni è pressoché obbligatorio, ma il fatto che manchino ancora sei partite e che la striscia negativa si sia finalmente interrotta contro Arizona può senz’altro bastare per far tornare la positività in un ambiente eccessivamente pizzicato dalla sfortuna (e Freeman è solo l’ultimo della lista…).

10) LA REPUTAZIONE DI JAMEIS WINSTON E’ NUOVAMENTE DANNEGGIATA DALLA CRONACA

Questa non è un’accusa, ma una semplice considerazione. Non conosciamo i fatti, ci si sta investigando sopra proprio in questo momento, e non sussiste nulla che possa far pensare ad una colpevolezza perlomeno fino a che non verrà provato il contrario. La figura di Jameis Winston agli occhi delle persone esce in ogni caso ulteriormente danneggiata da un altro procedimento processuale che il giocatore dovrà affrontare con una donna dall’altra parte della barricata, se non altro perchè resta sempre il beneficio del dubbio.

Il mondo sportivo professionistico è difficilissimo da comprendere non vivendoci all’interno, un giocatore famoso (ma questo accade anche al College, come Winston stesso dimostra…) è ricco di attenzioni ed in alcuni casi si può trasformare in una macchina da cui estrarre denaro e vantaggi, e non sarebbe la prima volta che qualche furba rappresentante del gentil sesso si troverebbe in tentazione di iniziare una causa per porre fine ai propri problemi economici. Ma questo, ripetiamo, fino all’arrivo di un qualsiasi tipo di certezza non vuol dire assolutamente nulla e non vuole nemmeno generalizzare indelicatamente sulle figure coinvolte, nè da una parte e nè dall’altra, perché l’altro lato della medaglia presenta altrettanti casi di stupro insabbiati in maniera vomitevole al solo pensiero.

Winston, dopo aver patteggiato con Erica Kinsman, una studentessa di Florida State che lo aveva accusato di violenza carnale nel 2012, ora è indiziato per un’inappropriata azione palpatina verso le parti intime di un’altra donna che stava guidando un veicolo dove il quarteback si trovava nel marzo del 2016, in Arizona. Ci sono due considerazioni importanti da eseguire: la prima è che l’anonima nuova vittima si sta avvalendo dei servigi dell’avvocato John Clune, lo stesso legale che seguì Kinsman, la seconda è la presenza nel contesto di Ronald Darby, cornerback degli Eagles ed ex-compagno – nonchè molto amico – di Winston.

Come si potrà notare, elementi per una doppia presunzione ci sono già tutti. Clune sarà specializzato nel curare clienti pronte ad inventarsi storie pur di spillare quattrini ad un quarterback di fama? Darby, che ha dichiarato di essere stato presente in entrambi i luoghi d’accusa, sarà l’ennesimo compagno di squadra fedele e pronto ad esporsi anche inadeguatamente pur di insabbiare le malefatte del compagno? Sono domande che fanno in ogni caso tremare fortemente la reputazione di un ragazzo su cui Tampa Bay ha investito nel lungo periodo, non esattamente il rappresentante di franchigia che tutte le squadre cercano non solo dal lato tecnico, ma anche da quello morale.

 

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