1) ATLANTA HA PERSO UNA GRANDE OCCASIONE DI RISCATTO

Avete presente l’esatto momento in cui si forma la concreta possibilità di far girare un periodo storto in maniera definitiva e l’occasione è lì, propizia e pronta per essere sfruttata? Per molti questa conformazione di eventi era la stessa che gli Atlanta Falcons avevano l’opportunità di utilizzare in quel di Foxboro, trasformando un inizio di stagione piuttosto deludente in un nuovo corso per costruire una seconda parte di cammino simile alla semi-imbattibilità del 2016.

Le conseguenze del Super Bowl sono ancora ben presenti, almeno questo ci racconta l’evidenza, e le nebbie del New England non hanno fatto che aumentare la sensazione di confusione che attraversa i ragazzi di Dan Quinn in questo preciso momento, in quella che con tutta probabilità è una profonda crisi nei propri mezzi nonché un quadro tecnico ben differente da quello della stagione scorsa. Crediamo ci si possa sentire esattamente così una volta che ci si rende conto di essere stata l’unica squadra a non superare le 250 yard su passaggio in stagione contro i Patriots, facendo sembrare la trentaduesima difesa Nfl sui lanci una muraglia invalicabile, pur considerando il dato inconfutabile del tasso di bravura di Bill Belichick nell’aggiustare le cose in corso d’opera, ma ciò non giustifica una totale scena muta da parte di Atlanta nei momenti significativi della partita (complici due field goal mancati) tenuto conto che il drive da 88 yard che ha generato, a buoi scappati, gli unici sette punti di serata, è ininfluente nella dinamica della gara.

Un dato particolarmente importante ci evidenzia che i Falcons devono ancora affrontare un’avversaria della loro Division e che il gap nei confronti di chi sta davanti non è assolutamente incolmabile, basterà giocarsi correttamente le proprie carte e lottare per un accesso ai playoff passando per la Wild Card, sicuramente un modo di rimediare ad una partenza che se paragonata a quanto visto solo dodici mesi fa può essere definita non meno disastrosa. Sarà un’altra occasione data dal destino e da non sprecare, certo è che le possibilità non sono infinite. L’attacco non sta dominando, i sette passaggi da touchdown di Matt Ryan rappresentano lo stesso identico numero che il medesimo avrebbe ottenuto – nel 2016 – più o meno in due partite, e l’assenza di Kyle Shanahan sta facendo sentire tutto il suo peso negativo.

2) I CHARGERS POSSIEDONO UN MURO DIFENSIVO DI PRIMO LIVELLO

La pazza girandola di eventi che ogni domenica giunge a  cancellare ogni tipo di ovvietà ci ha fatto l’ennesimo regalo stagionale, riesumando dal cimitero del football una squadra apparentemente senza speranze come i Los Angeles Chargers, già costretti ad un’indesiderata stagione di transizione a causa dell’infausta ed insensata dipartita da San Diego. Il primo mese di gioco – causa mancanza pressoché totale di capacità gestionale della partita – ci aveva dipinto il quadro di una franchigia oramai destinata a mirare alle primissime posizioni del Draft, mentre le ultime tre settimane hanno silenziosamente ribaltato le quotazioni di squadra a seguito della striscia attualmente aperta di tre vittorie consecutive.

La lodevole persistenza dell’eterno Philip Rivers, giunto oggi a quota dodici passaggi vincenti contro cinque intercetti, e la grande mole produttiva offerta dalla superstar Melvin Gordon, sono indizi primari ma non totali nel comprendere il cambio d’inerzia stagionale, questo perché diventa sempre più chiara la visione di una linea difensiva di strepitosa efficienza, un particolare che nessuno può più trascurare e che costringe il resto degli avversari previsti in calendario a prendere seriamente nota.

Joey Bosa e Melvin Ingram stanno letteralmente facendo il diavolo a quattro avendo già realizzato 16 sack in combinata in nemmeno metà campionato alterando in maniera significativa il gioco aereo avversario, proprio una delle chiavi dello shut-out incredibilmente rifilato a Denver dato che le tredici situazioni di pressione create dai due equivalgono a spezzare il ritmo di chiunque, a maggior ragione quello di un Trevor Siemian che di quel ritmo necessita come l’aria che respira. Estendendo i numeri alle partite finora disputate si scopre che le pressioni totali offerte dalla coppia superano le cinquanta, una cifra che fa strabuzzare gli occhi se si pensa che di solito l’edge rusher dominante è uno per squadra, non due, e che qui invece abbiamo un concentrato di talento che permette ai Chargers di creare situazioni difensive particolarmente favorevoli nel generare superiorità numerica nei confronti dei bloccatori. Il reparto deve ancora lavorare molto per via di una difesa contro le corse deficitaria, ma il muro costruito da Bosa, Ingram e giocatori di secondo piano come l’incisivo Chris McCain (cinque sack anche per lui) va certamente inserito tra i motivi principali del turnaround positivo vissuto dalla seconda squadra di Los Angeles.

3) SEAN MCVAY E’ IL FAVORITO PER IL TITOLO DI COACH OF THE YEAR

Per assegnare certi riconoscimenti si dovrebbe attendere un momento più consono, ovvero la conclusione di un campionato che, nella sua naturale estensione di 16 partite, ci darebbe una migliore idea di come sono andate effettivamente le cose. Tuttavia, semmai fossimo chiamati a scegliere un allenatore dell’anno in questo preciso momento Sean McVay sarebbe il candidato più ovvio per due motivazioni principali: il miglioramento di squadra da un anno all’altro, e l’età in cui sta compiendo tale impresa.

Il rapporto tra i due fattori è eccellente. Dopo due mesi di football le indicazioni sono vicine al consolidamento, ed i Rams si sono confermati essere il miglior attacco della Nfl per produzione di punti a gara, ben 30 di media, una cifra impensabile se relazionata all’oblio offensivo dentro al quale la squadra era caduta nel suo sportivamente disgraziato 2016. McVay ha inquadrato la situazione da vero esperto del settore, ha restituito un ruolo centrale a Gurley facendolo crescere ulteriormente nella sua dimensione di running back a tutto tondo, ha azzerato la coscienza di Jared Goff aggiustandone il valore delle decisioni e sapendo che ci sono ancora margini di miglioramento, non possiede una vera e propria superstar tra i ricevitori – a meno che Sammy Watkins non si decida a dimostrare di esserlo – ma propone una sommatoria di buoni giocatori in grado di fornire ognuno il proprio contributo, come un Robert Woods capace di imporsi come bersaglio più ricercato, ed una serie di giovani come Cooper Kupp, Gerald Everett e Tyler Higbee, i quali non avranno scritto numeri straordinari ma comunque fornito un aiuto tangibile alla causa.

McVay è riuscito, almeno fino a questo momento, in un’impresa che sarebbe risultata titanica per qualsiasi head coach con anni di esperienza alle spalle, trasformando una stagione di piccoli passi di progressione in una grande sorpresa che vede ora i Rams in cima alla Nfc West, un posizionamento che magari non durerà (bisogna sempre fare i conti con Seattle…), ma che spicca violentemente nel panorama attuale di Lega. Non essendoci al momento nessuna situazione che possa portare a pensare ad alternative serie (un’eccezione? Doug Marrone), l’operato di McVay merita senz’altro più considerazione degli altri quando si deciderà chi meriterà questo premio di fine anno.

4) I BILLS SONO ARRIVATI AL CLASSICO BIVIO ANNUALE

Siamo alle solite, ci fidiamo o non ci fidiamo? Questo è l’andazzo più o meno dettato dai Bills di questi ultimi tempi, che squadra disastrosa nel senso letterale del termine non lo sono mai stati negli ultimi cinque o sei anni, ma deludenti sì. Abbiamo dedicato loro più di qualche paragrafo su queste pagine in passato per sottolineare l’annosa questione della striscia aperta di mancate qualificazioni ai playoff dal 1999 ad oggi, l’unica differenza è che nel frattempo è trascorso un altro anno e la pressione è salita di un’altra tacca.

Verrebbe da liquidare la faccenda pensando semplicemente che, per un motivo o per l’altro, le cose siano destinate a non cambiare se non altro per la mancanza di costanza che la squadra ha sempre mostrato negli anni, arrivando ad alimentare con puntualità le ipotesi della fine della Grande Attesa solo per disdirle nel giro di poche settimane. Che cosa manca? A nostro personale avviso si tratta di costruire una maggiore solidità offensiva e di saper mettere in piedi delle giocate determinanti quando conta. Nel primo caso le cose funzionano abbastanza bene – magari non tutte le settimane – ma se non altro Tyrod Taylor ha dimostrato di poter reggere le sorti in maniera sufficiente pur non potendo contare su un consistente alleggerimento della pressione, traguardo ottenibile qualora LeSean McCoy riuscisse ad aumentare l’attuale media di 3.4 yard per portata. Taylor sta operando senza un settore ricevitori degno di tale nome, spesso risolve egli stesso intricate situazioni uscendo dalla tasca ed ha registrato solo due intercetti in quasi metà campionato, un segnale importante di maturazione nel non forzare.

Sotto Sean McDermott il reparto difensivo è tornato a non collassare come accaduto ai tempi di Rex Ryan, si tende a concedere ancora un numero alto di yard su passaggio – circa 258 a partita – ma i punti concessi sono solamente 16.8, un chiaro segno che le giocate di cui sopra stanno cominciando ad arrivare. Giocate che prendono la forma del fumble ricoperto dal sorprendente rookie Tre’Davious White per consentire il field goal della vittoria contro Tampa, oppure dei passaggi in doppia cifra già battuti a terra dalla notevole matricola, dalla grande precisione nei placcaggi di Preston Brown, tra i principali interpreti di un’ottima difesa contro le corse, ed infine dal positivo inserimento nella lineup di Micah Hide, uno che di big play se ne intende.

Le premesse ci sono, per cui basta scegliere – come ogni anno – da che parte andare. Il calendario restante non è esattamente semplice, fatto che deporrebbe a sfavore perlomeno sulla carta, ma se Buffalo saprà giocarsi bene le proprie carte negli scontri più importanti (magari mettendo in piedi il classico upset annuo dei Patriots) sventando il pericolo di rimonte, il discorso fine della striscia potrebbe tornare d’attualità.

5) IL RIENTRO DI LUCK NON E’ PIU’ COSI’ URGENTE

La domanda è semplice ed univoca: che fare dei Colts a questo punto dell’anno, ora che con le distanze rispetto alle concorrenti sono sempre più ampie? Il panorama offerto non è certo dei migliori, anzi, ed un aspetto ancor più grave è rappresentato dal fatto che un ipotetico rientro di Andrew Luck non sarebbe comunque destinato a migliorare drasticamente le sorti di una squadra che naviga nelle ultime posizioni per efficienza sia offensiva che difensiva, una compagine attrezzata di buchi in quasi tutti i suoi reparti.

C’è poco da migliorare per una franchigia andata a toccare il fondo proprio nella sua gara più recente, l’umiliazione patita contro i Jaguars rappresenta il punto più basso della quinquennale esperienza da head coach di John Pagano, e la sua panchina, già in discussione lo scorso anno a seguito del secondo 8-8 consecutivo, sta cominciando ad emanare fiamme libere. Non serve a nulla, a questo punto, affrettare il rientro dell’investimento più prezioso della squadra a seguito delle note problematiche di offseason alla spalla che ne hanno più volte rimandato il rientro in campo, se il trend è questo – e difficilmente pare destinato a cambiare – meglio recuperare Luck nel migliore dei modi tenendolo al riparo da colpi che senza particolari traguardi da raggiungere diverrebbero totalmente gratuiti.

Meglio scommettere sul 2018 piuttosto che rischiare la propria superstar per una squadra che dal 1993 non restava a secco di segnature, per un attacco che ha prodotto la miseria di 72 yard per tutto il primo tempo mentre la difesa ne subiva 342 (518 a fine gara, un disastro colossale…) da un’avversaria priva del suo running back titolare e guidata da un quarterback mediocre cui è stata regalata un’improbabile domenica da supereroe. Inutile mettere a repentaglio la già precaria salute di Luck solo per sottoporlo ai troppi colpi che già Brissett si trova a dover sopportare, specialmente in una situazione dove in sette partite sono arrivate sconfitte che hanno evidenziato gli enormi limiti di questa squadra, su tutti un’incapacità di difendere le corse che nelle ultime annate è stata cronica, senza contare che le vittorie contro Cleveland e San Francisco, 0-14 in combinata, non rappresentano certo affermazioni di qualità.

6) NONOSTANTE I TREND IL GIOCO DI CORSE E’ SEMPRE MOLTO RILEVANTE

Abbiamo trascorso alcune stagioni in cui il valore dei running back era parso scomparire dalla rilevanza dell’attacco medio Nfl, questo in un periodo dove sempre maggiore importanza viene data al quarterback in grado di lanciare efficacemente per trenta o quaranta volte a partita, dall’allargamento delle difese, e tutto quanto ci vada dietro. Nonostante tutto gli indizi raccolti fino a questo momento della stagione ci dimostrano di quanto invece il correre il pallone in maniera consistente possa alterare positivamente i destini offensivi di una squadra, e diversi fattori parrebbero confermare l’intuizione.

Difficile, ad esempio, immaginare Pittsburgh vincente senza una consona partecipazione di Le’Veon Bell, due fattori che sono strettamente legati tra essi se pensiamo al numero di successi raccolti dagli Steelers quando il loro running back supera le trenta portate, così come è impossibile proiettare Jacksonville in piena corsa per i playoff togliendo Leonard Fournette dalla proporzione, perché una difesa granitica ed un quarterback mediocre non sempre rappresentano un’ideale combinazione di eventi per vincere con la costanza richiesta in Nfl. Altrettanto complicata, infine, si fa la rincorsa dei Cowboys senza le prestazioni dominanti di Zeke Elliott, tra i principali barometri utili a giudicare l’andamento alterno dei texani, ed unica possibilità di ricominciare a chiudere le partite anzitempo segnando a ripetizione, un elemento che solo uno sfianca-difese in grado di produrre big play come l’ex-Ohio State può permettersi di generare.

Volgendo la situazione al contrario, molte sono le squadre in difficoltà per mancanza di bilanciamento a dimostrazione del fatto che un buon gioco di corse rimane alla base per giocare un football di qualità. Basti pensare ai già citati Bengals, ai Redskins, ai Giants ed ai Buccaneers, solo alcuni tra gli esempi più lampanti del concetto che si vuol esprimere, tutte squadre cui manca una parte sostanziale di attacco affinché le difese non riescano completamente ad adattarsi loro, un qualcosa che lascia troppo aperta la porta della casualità della singola giocata per risolvere la situazione occasionale, espediente tuttavia insufficiente per pensare di vincere un numero di partite congruo alle speranze di postseason.

7) LE QUOTAZIONI DEI BENGALS RIMANGONO IN RIBASSO

Le illusioni di una potenziale ripresa dei Bengals sono state presto smentite dalla pressoché totale assenza di mordente fornita dalla prestazione contro gli Steelers, che ha fornito un’idea precisa di quale sia la distanza attualmente esistente tra Cincinnati ed una squadra media della Afc con ambizioni serie di playoff.

Il problema è anzitutto offensivo, e storia insegna, il cambio di timone a stagione iniziata nel ruolo di offensive coordinator non produce effetti così significativi, e spesso si riduce ad essere un pretesto per dare la colpa a qualcuno. Con Bill Lazor in carica non si sono visti progressi significativi se non per piccoli tratti di partita, periodo temporale nettamente insufficiente per poter pensare di lottare con chi è attrezzato meglio. Come da previsioni la linea offensiva sta passando per immani fatiche nel riuscire a proteggere un Andy Dalton già penalizzato da un infortunio alla caviglia, ed i varchi per le corse sono sporadicamente presenti, problematiche difficili da superare vista l’abbondanza di talento persa in un processo di free agency che ha decimato i cinque di fronte.

I Bengals sono diventati troppo prevedibili nonostante le implementazioni offensive, tra i running back presenzierebbero tre possibili minacce ed al momento non ne funziona nemmeno una, A.J. Green rimane l’unico elemento di spiccato talento del reparto ricevitori e l’ennesimo infortunio di Tyler Eifert ha tolto di mezzo una determinante opzione da cui Dalton ha attinto parecchio nel recente passato realizzando giocate ad alta produttività. Finché la squadra di Marvin Lewis non dimostrerà di poter restare in partita a lungo non ci sembra il caso di scommettere troppo su una possibile ripresa di Cincinnati, giocare alla pari con gli Steelers in parte del primo tempo non può bastare per puntare in alto se poi il game planning abbandona totalmente l’utilizzo dei running back – Joe Mixon poteva essere usato maggiormente – durante una ripresa dove la squadra non ha fatto più vedere niente di offensivamente rilevante.

8) JOE THOMAS MERITA UN PALCOSCENICO MIGLIORE

La costanza e la positività di Joe Thomas rappresentano un qualcosa di venerabile per la qualità umana che fanno trasparire, dando enorme credito nei confronti di uno dei migliori uomini di linea mai scesi in campo nella storia della Nfl. Fermarsi significa avere tempo per riflettere, e finché Thomas ha portato avanti con la massima diligenza possibile il suo lavoro quotidiano, di certo grosse possibilità di riflessione non ne ha avute.

Non sappiamo se il termine della striscia di snap consecutivi giocati sin dal suo esordio influenzerà le sue decisioni future, in ogni caso va detto che per l’ennesima stagione consecutiva, in coincidenza con il classico tracollo annuale dei Browns, si cominciava già a far circolare le voci su un suo possibile trasferimento ad una contender dopo anni di sacrifici, discorsi chiusi ovviamente dall’infortunio che lo terrà fermo per tutto il resto del campionato. Dieci anni di eccellenza e più di diecimila azioni giocate non sono pochi se consideriamo il livello qualitativo di ogni sua singola azione, un livello globale di prestazioni che ha costantemente varcato al soglia dell’eccellenza in un contesto, diciamocelo, di disperati che hanno tentato invano di risollevare le sorti di una franchigia piena di risorse ma che continua a soffocare sotto la sua stessa cultura perdente, il tutto senza mai far uscire una sola parola di polemica dalla sua bocca.

Joe Thomas è una rarità preziosa di questi tempi, dove le bocche sono sempre pronte ad alzare la voce invano, tanti cervelli sono scollegati e troppi giocatori pensano di essere il top a disposizione solo per una stagione di college giocata bene. Thomas è un esempio di carattere forte, mentalità vincente, rispetto per il suo lavoro al di là del contesto e di eccelsa tenuta fisica, e per questo, visto che dieci anni li ha già spesi per una causa inesistente, gli auguriamo di poter presto vedere lidi migliori che gli possano fornire una minima e reale possibilità di competere per un titolo prima che la sua carriera termini, un qualcosa che non lo ha mai nemmeno toccato da vicino nonostante la caratura da Hall Of Famer, un’ingiustizia che, pur rispettando la sua etica ed il suo attaccamento alla maglia, speriamo venga colmata quanto prima.

9) LA DIFESA DI CHICAGO STA DETTANDO LEGGE

Non era facile preventivare un bilancio di 2-1 nelle prime tre gare professionistiche di Mitch Trubisky, ma quella attualmente vissuta dai Chicago Bears è una felice realtà. Nessun miracolo in essere, chiariamolo subito, ma i segnali spediti dalla difesa al resto della Lega non sono certo da sottovalutare, e possono permettere il lusso di vincere partite con il proprio quarterback fermo a quattro completi su soli sette tentativi in singola partita, una statistica che ha dell’incredibile.

Parte del botto l’ha certamente fatta la prestazione superlativa del rookie Eddie Jackson, appena divenuto il primo giocatore della storia Nfl a segnare due mete difensive superiori alle 75 yard in singola occasione, il che va a ripetere un trend positivo già innescato dal collega Adrian Amos una settimana prima, quando il pick-six di 90 yard realizzato dal medesimo aveva contribuito all’upset dei Baltimore Ravens. La difesa dei Bears aveva già avuto modo di fornire prove convincenti ma senza mettere a segno il classico big play, oggi è invece il primario motivo per la mini-striscia di due vittorie in fila che Chicago non riusciva a mettere assieme da due stagioni, una timida ma significativa dimostrazione che dopo quattro anni di mediocrità qualcosa comincia probabilmente a muoversi per il verso giusto.

Jackson, oltre alle giocate determinanti, ha fornito da subito un contributo di stabilità importante per un reparto passato da troppi giocatori purtroppo puntuali nel mancare il rispetto delle aspettative, e questo arriva nel momento medesimo in cui il promettente cornerback Kyle Fuller sembra essere tornato vicino ai tempi pre-infortunio al ginocchio, un insieme di fattori che consentono ai Bears di difendere con efficacia contro i passaggi, un trattamento sotto il quale è dovuto passare anche Cam Newton. Un altro fattore determinante è la rinnovata pass rush, che sta trovando in Parnell McPhee e Akiem Hicks delle minacce pressoché costanti per i quarterback, cui si aggiunge l’alto livello di performance posto in atto dal linebacker Leonard Floyd, un non-fattore nella sua annata da rookie che ha trovato nella presente stagione la via corretta per continuare lo sviluppo del suo talento da primo giro.

10) LA PRIMA DI HUNDLEY NON DEPONE A FAVORE DELLE SPERANZE DEI PACKERS

I condizioni normali i Packers avrebbero portato a casa la sfida contro i Saints con una certa tranquillità. Due intercetti recuperati dalla difesa, un extra-point rispedito al mittente ed un gioco di corse rinvigorito dalla grande prestazione del rookie Aaron Jones, autore di 100 yard in due delle ultime tre partite giocate, sono elementi più che sufficienti per moltiplicare le possibilità di vittoria contro chiunque, ma l’esito della gara persa contro Drew Brees e compagni ci racconta esattamente il contrario.

La logica nel ragionamento porta ad una conclusione scontata, lo sappiamo, ma dannatamente reale: con Aaron Rodgers in campo i Packers non avrebbero mai perso una gara di questo genere. Punto. Brett Hundley ha prodotto giocate di mobilità, ma sotto il profilo puro dei passaggi la sua prestazione è stata chiaramente insufficiente, sia per istinto che per realizzazione. A seguito degli intercetti di Davon House e Damarious Randall sono arrivate due serie da tre giochi e fuori, non certo il miglior modo pensabile di far fruttare dei turnover, diversi sono stati i lanci fuori misura o insufficienti a coprire la distanza necessaria per ottenere un nuovo primo down, un mix di mancanza di presenza e limiti tecnici mal bilanciata dalla totale assenza di una giocata che andasse realmente fuori dal compitino.

Chiaro che McCarthy non possa permettersi di far sparacchiare in giro un quarterback inesperto e tendente all’errore in particolar modo a seguito dei tre intercetti commessi da Hundley contro i Vikings, ma risulta tuttavia impensabile vincere una qualsiasi partita senza aprire un minimo il gioco di passaggi, un’arma troppo importante cui i Packers non possono certo rinunciare, non con il talento a loro disposizione nel ruolo di wide receiver. La capacità di Hundley nel connettere sul profondo con i vari Nelson, Adams e Cobb determinerà che cosa resta della stagione di Green Bay più di qualsiasi altro fattore. Nell’attuale confusione regnante in Nfc, troppa concorrenza potrebbe davvero diventare letale per le speranze rimaste in dote a quelli del Lambeau Field.

3 thoughts on “Ten Weekly Lessons: Week 7

  1. tifo ravens e devo dire che browns ed i bengals cosi scarsi quest anno dovrebbero garantire 4 vittorie per baltimore, ma ho l impressione che non basti, visto che siamo ancora ad un record negativo… speriamo in una ripresa

  2. Pezzo al solito godibile ma “to run the football” è americano, in italiano si dice “far correre il pallone” perchè correre nella circostanza è intransitivo. Vale anche per “rifirmare un giocatore”: in italiano si “rinnova il contratto” o “fa rifirmare”.

  3. Finalmente un po’ di brio in casa Bears… sicuramente ancora un attacco non fenomenale… sicuramente una difesa lontana dal “Monsters of the Midway” dei tempi di Urlacher o del superbowl … tuttavia si tocca finalmente qualcosa dopo alcuni anni di vuoto!
    Forza ragazzi!

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