1) I Chargers non sanno chiudere le partite

Spesso il record finale di una franchigia non racconta tutta la verità, è capitato ai Chargers edizione 2016, l’ultima targata San Diego, ed il problema si è trascinato anche durante il trasloco a Los Angeles. Il football espresso da Philip Rivers e compagni non valeva un 5-11, analizzando difatti le dinamiche di alcune sconfitte si capisce chiaramente che i Chargers – seppure non qualitativamente idonei a giocare i playoff – avrebbero potuto chiudere l’anno con un possibile bilancio in pareggio. Due sconfitte in overtime, ben tre giunte con un solo field goal di distacco, ed un’autentica sparatoria offensiva persa per 34-35 contro New Orleans, sono tutti epiloghi che vanno a determinare l’incapacità dei californiani (così facciamo contenti tutti) di saper chiudere una gara, parametro più che adatto a giudicare la consistenza di un team in ottica postseason.

Il 2017 è cominciato nello stesso identico modo, aumentando di chissà quale peso la già importante frustrazione del competitivo Rivers. La settimana passata è stata persa la preziosa occasione di creare un evidente upset ai danni dei Broncos, una delle squadre di maggior spessore della Afc, a causa di un calcio bloccato ai danni del kicker Younghoe Koo ed a seguito di una gara giocata all’insegna dell’equilibrio, domenica pomeriggio il field goal decisivo contro Miami è terminato desolatamente a destra mancando nuovamente i goal post, regalando un esordio positivo ai Miami Dolphins.

La situazione si presta a moltissime letture, tra cui selezioniamo quelle che ci convincono di più. Persiste senza dubbio una componente di gestione della pressione non solo nei confronti di chi deve eseguire il calcio ma pure di chi deve evitare che qualche difensore si avvicini troppo alla linea di scrimmage e possa in qualche modo deviare la traiettoria del pallone o bloccare la conclusione. Una soluzione interessante vedrebbe i Chargers evitare questo tipo di situazione, ma qui gli interventi dovrebbero riguardare la consistenza difensiva tanto quanto quella difensiva. L’unica soluzione per vincere una partita senza l’ausilio di un field goal è difendere bene – cosa che L.A. non fa proprio secondo manuale – ed attaccare in modo da accumulare un consistente vantaggio nel quarto periodo.

L’alternativa è quella di essere la peggior squadra degli ultimi due anni nelle gare perse per sette o meno punti, e tenersi stretto il parziale di 1-10 quando le distanze sono queste.

2) A Buffalo non è cambiato nulla

Lo stato della squadra, come spesso accade in Nfl, riflette lo stato della dirigenza. A Buffalo è tutto molto vicino all’essere disfunzionale, e l’assenza dai playoff patita dai Bills per quasi un ventennio ne è la testimonianza. Buffalo ha gli stessi problemi dello scorso anno, in attacco si combina poco, in difesa si lotta duramente ma prima o poi si cede, e non si vince un numero adeguato di partite in grado di decretare i Bills come possibile pretendente ad un posto nella griglia di postseason.

Comprendiamo la volontà di rifondare – per l’ennesima volta – ma non ci è tanto chiaro il motivo per cui sia necessario passare per decisioni clamorose e dolorose con tempistiche poco opportune, che si riflettono sulla qualità del roster. Con Rex Ryan è andata male, persino la difesa – la sua specialità – è colata a picco sotto i colpi di chiunque, ed il responsabile della costruzione delle ultime edizioni della franchigia, l’ex-general manager Doug Whaley, è stato licenziato un giorno dopo la conclusione del Draft 2017, non certo un segno di stabilità interna. Il che ha dato il via all’operazione-smaltimento di tanti giocatori scelti proprio da Whaley, come testimoniano le trade di Sammy Watkins, Ronald Darby e Reggie Ragland, i tagli di Jonathan Williams e Cyrus Kounandjio, una serie di transaction pienamente indicativa del voltare pagina attuato in quel di Orchard Park.

L’attacco aereo dei Bills rimane la maggior lacuna di squadra. Tyrod Taylor non sembra fornire risposte a lungo termine, il tempo necessario l’ha avuto ma non ha mostrato progressi significativi. Troppi sack presi per quell’irrinunciabile propensione a tenere palla troppo a lungo, troppi turnover, poche decisioni buone, fattori che hanno determinato l’impossibilità di far viaggiare il pallone in verticale in maniera determinante, una delle basi per qualsiasi reparto offensivo voglia definirsi prolifico. Un concorso di colpa è tranquillamente assegnabile ai ricevitori, che non erano un granché l’anno scorso (così come l’anno ancora precedente) e la cui consistenza non sembra così cambiata nel corso di queste due prime uscite.

Se Watkins – causa infortuni – non è mai riuscito a dimostrare di valere la sua originaria posizione di chiamata e se Robert Woods era un ricevitore primario solo nelle sue idee personali, allora la profondità del ruolo non è stata adeguatamente garantita. Oggi il roster vede titolari Jordan Matthews, cui si richiede maggiore continuità dopo la sostanziale bocciatura da parte degli Eagles, e Zay Jones, un rookie che ha molto da imparare, tra cui prendere palloni decisivi come quello scappatogli domenica per un soffio, che avrebbe potuto decretare una vittoria contro Carolina.

3) Cam Newton va protetto meglio

Le novità vanno digerite adeguatamente, a maggior ragione in una disciplina che richiede alti livelli di sincronia. Per i Panthers c’è già fretta, perché la gara contro i Bills ha mostrato un’eccessiva tendenza della linea offensiva a lasciar passare la pressione dal lato cieco del quarterback. La novità in questo caso è Matt Kalil, che con Newton né ha mai giocato e né si è potuto allenare come si deve, a causa del recupero di Superman nei riguardi dell’operazione subita alla spalla durante la offseason.

Le notevoli difficoltà nel portare a casa la gara con i Bills risiedono per la maggior parte qui, dato che la difesa si è dimostrata essere un muro invalicabile. Buffalo ha portato enorme pressione dal lato di Kalil ottenendo sei sack totali e sette occasioni di forte pressione sul quarterback, interrompendo di frequente il flusso offensivo di Carolina. Per Rivera è tutta una questone di tempo, dato che il coach crede fermamente che quarterback e tackle abbiano solo bisogno di allenarsi assieme per un tempo prolungato e capire meglio le tendenze l’uno dell’altro, evidenziando come i movimenti di Kalil ancora non tengano interamente conto del giusto conteggio di passi nei dropback più profondi di Newton.

Per tornare ad essere efficace l’attacco dei Panthers ha bisogno che l’intesa tra i due cresca in tutta fretta, sia per tenere in salute Newton riparandolo da altri possibili infortuni simili a quelli già affrontati, sia per mantenere attivi dei drive che possono essere alimentati da una migliore continuità rispetto a quella del recente passato, dato che l’intesa tra Newton, Benjamin e Funchess sembra essere cresciuta di un altro passo, ed affinché si possano confezionare big play con una certa costanza il quarterback ha solo bisogno di una cosa: tempo.

4) Seattle deve risolvere gli stessi problemi di un anno fa

Solo se si possiede una grande difesa come quella di Seattle ci si può permettere di fare i playoff vincendo 11 partite di regular season mettendo in campo un attacco del genere. L’anno scorso, per quanto le scusanti non piacciano, c’era l’attenuante di un Russell Wilson presente nonostante l’infortunio al ginocchio che ne aveva limitato la mobilità, quest’anno il condottiero degli ‘Hawks è invece in piena salute, quindi qualche problema dall’anno scorso si dev’essere per forza trascinato fino a qui.

Un anno fa vedevamo Seattle segnare 15 punti nelle prime due uscite e perdere disastrosamente contro i Rams del 2016, confezionando in seguito uscite con a referto rispettivamente 6, 5 e 10 punti sottolineando quanto grave fosse la situazione offensiva delineando i limiti entro i quali il team sarebbe potuto essere preso sul serio per la corsa al Super Bowl. Ritroviamo i Seahawks nelle stesse identiche posizioni dopo due partite del 2017, stesso record di 1-1, stessi problemi offensivi, 21 punti segnati di cui 12 contro gli inesistenti 49ers, ed una difesa che può salvare capre e cavoli in qualsiasi circostanza.

Non una bella prospettiva se appaiata a quella dello scorso anno, perché si rischia che Seattle possa essere dipinta come figurante al Super Bowl nella stessa ondivaga misura in cui la difesa salverà l’attacco. Al momento manca un pò tutto: una linea offensiva adeguata – e non da oggi – un gioco di corse stabile ed efficace, e la capacità di tramutare drive lunghi in sette punti anziché inciampare nel fango delle ultime 20 yard e non riuscire a combinare nulla, se non un tentativo di field goal.

Per essere campioni è necessario giocare da campioni, ma i Seahawks, al momento, lo stanno facendo solo in difesa e lo scorso campionato ha già dimostrato una volta che questo non basta.

5) Denver, abbiamo un quarterback

Le parole Denver e Super Bowl sono spesso state allontanate da prestazioni offensive non all’altezza di una contender. Ecco perché sussiste scetticismo nel proiettare i gloriosi Broncos troppo in fretta dell’Olimpo della Lega, ci sono ancora troppi aspetti da affinare e troppe cose da dimostrare prima di poter firmare un qualsiasi lasciapassare per una corsa profonda nei playoff, anche perché la concorrenza della Afc West è talmente agguerrita da farne la miglior Division attuale della Nfl. Vorrà dire che ci divertiremo moltissimo nel seguire gli scontri tra Broncos, Raiders e Chiefs.

Sulla consistenza difensiva possiamo già esprimerci con una certa sicurezza, perché se ci si può permettere di annientare i Cowboys lasciando Zeke Elliott a 8 yard in 9 portate e di imbrigliare parzialmente Dez Bryant concedendo giusto il minimo sindacale, allora si può pensare in grande. Manca sempre l’altra parte, e Trevor Siemian sta mettendo tutto se stesso per migliorare la situazione. Ricordiamo sempre un aspetto importante: dal buon Trevor, settimo giro da Northwestern, non ci si debbono attendere i numeri di Peyton Manning, anzitutto perché parliamo di una leggenda e secondariamente perché parliamo di un altro tipo di quarterback, con altre caratteristiche ed una quantità di talento parecchio inferiore. Per cui, se Siemian non lancia per 400 yard a partita nulla di grave, il suo compito è un altro.

Chiaro che non ci si può nemmeno permettere un semi-immobilismo offensivo come quello visto in parte durante il 2016, determinante per lasciare fuori Denver dalla zona che contava sul serio, ma se Siemian viene messo nelle condizioni di tenere al minimo gli errori continuando nel contempo la sua linea di progresso, non vediamo grosse problematiche nel poter definire risolta la questione quarterback tra le montagne rocciose. Freniamo un momento prima di farci fuorviare troppo dai quattro passaggi da touchdown confezionati contro Dallas e dal 116 di rating con cui il regista ha terminato una delle migliori partite di carriera, c’è sempre il resto del percorso da valutare, ma non sottovalutiamo nemmeno un ragazzo che ha ripetutamente battuto la concorrenza di Paxton Lynch – al netto degli infortuni di questo – e permesso ad Elway di passare oltre il bidone-Osweiler.

Siemian ha tutta la fiducia del mondo da parte di management e spogliatoio. Abbiamo un quarterback Denver? Si.

6) Washington non ha un ricevitore affidabile

Le perdite via free agency che i Redskins hanno subito durante la offseason si sono rivelate essere deleterie, esattamente come previsto. All’appello mancano, oltre all’ex-coordinator Sean McVay, due pedine importanti come DeSean Jackson, autore delle giocate verticali di squadra del recente passato, e Pierre Garcon, un possession receiver affidabile che ha sempre retto la baracca nei momenti di maggior difficoltà.

Le prime gare di Washington hanno confermato una mancanza di produttività offensiva evidente, e l’assenza di un wide receiver primario sta facendo molto male all’attacco. Non a caso le castagne dal fuoco le ha sempre tolte Chris Thompson, il chiaro Mvp di squadra di questi primi quindici giorni di attività, il running back che entra in campo nei terzi down e che si sobbarca tutte le ricezioni derivanti da squilibri di marcatura che Gruden ha finora trovato con puntualità, realizzando entusiasmanti giocate a lunga gittata entrando spesso e volentieri in meta.

Chiaro che le sorti del reparto comandato da Cousins non possano dipendere esclusivamente da exploit del genere, che per quanto elettrizzanti non possono certo costituire l’ossatura principale di un attacco d’alto calibro. Il gioco di corse ha già singhiozzato parecchio con la sola esclusione del gran primo tempo di Rob Kelley contro i Rams, per cui urgono soluzioni aeree certe e costanti. Non sono state d’aiuto tutte le mancanze di Terrelle Pryor in fase di concentrazione, troppi drop e troppa fatica nel liberarsi dalle marcature, Jamison Crowder è uno slot receiver eccellente nel convertire i terzi down ma per ragioni fisiche fatica ad essere schierato all’esterno, il tight end Jordan Reed si porta appresso le solite noie fisiche, e Josh Doctson non si è ancora visto in campo dopo aver saltato la stagione da rookie.

Non sono segnali incoraggianti per misurarsi settimanalmente contro squadre che puntano ai playoff nella Nfc, con particolare riguardo all’interno della stessa Nfc East, in quanto il quadro che ne emerge è quello di un attacco limitabile sulle corse e già limitato dalle sue stesse pecche in fase aerea. Come sappiamo, stare troppo poco in campo in fase offensiva significa far collezionare straordinari ad una difesa che prima o poi si stanca, quindi il progresso dei ricevitori deve necessariamente essere monitorato da Gruden ed il suo staff per evitare che i buoi scappino troppo presto.

7) I Ravens sono tornati a far paura in difesa

I Ravens hanno vinto due Super Bowl grazie alla ferocia difensiva che storicamente questa franchigia è riuscita a mettere in campo, legando il proprio successo ad interpreti quali Ray Lewis, Ed Reed, il sempreverde Terrell Suggs, e tantissimi altri nomi che meriterebbero menzione, ma che per motivi di spazio dobbiamo risparmiare. La partenza 2017 è con il botto, né più, né meno. Dieci punti concessi in due gare, dieci turnover provocati, terza squadra ogni epoca – la prima dagli Steelers del 1992 – a raccogliere quattro intercetti in due partite consecutive, cinque turnover provocati in gare consecutive per la prima volta nell’esistenza della franchigia. I Ravens hanno rinfrescato, e lo hanno fatto pure bene, perché questa è la loro vera natura.

I protagonisti non sono poi così freschi a dire la verità, ma il mix tra esperienza e gioventù allestito negli ultimi due anni sta portando successi. Il già citato Suggs sta dimostrando che se gli infortuni riuscissero a lasciarlo in pace può ancora essere l’ago della bilancia per tutto il reparto, un autentico terrore. Il fatturato del trentacinquenne parla di due fumble forzati e tre sack, un chiaro segnale di tangibile presenza e minaccia, numeri cui si vanno ad aggiungere le prestazioni di secondarie alimentate fino a questo momento dalle giocate di Eric Weddle e Brandon Carr, il primo dato troppo presto per bollito dai Chargers, il secondo in arrivo da un’esperienza parecchio al di sotto delle attese a Dallas.

Le nuove leve, che poi qualcuna più di tanto nuova non è, partono dalla leadership di C.J. Mosley, che si sta rivelando essere il nuovo cuore della difesa, e si diramano nell’importante acquisizione di Tony Jefferson, uno che per come gioca sembra essere stato tagliato e cucito apposta per la cultura Ravens, dalla mobilità del rookie Tyus Bowser, autore del suo primo intercetto di carriera proprio quest’ultima domenica, da giocatori apparentemente poco significativi dal lato numerico da di enorme importanza come il defensive tackle Brandon Williams.

Qualora dovesse pervenire anche la tanto attesa aggiustatina in attacco – attenzione però all’infortunio di Marshall Yanda, collocato in injured reserve – potremmo sentir parlare in altri termini di questa squadra rispetto alle previsioni iniziali, di certo c’è che la Afc North è esclusivamente affare della rivalry Ravens-Steelers, e che con una difesa del genere nulla è precluso.

8) Bill O’Brien ha poco tempo per prendere decisioni

I Texans sono indubbiamente sotto pressione. La squadra ha dimostrato di possedere la struttura necessaria – soprattutto difensiva – per poter competere per i playoff, ma la questione quarterback negli ultimi anni ha preso pieghe spiacevoli, e Bill O’Brien non sempre è sembrato capace di gestire al meglio la situazione, con la complicità dello stesso management che ha dato, un anno fa, un contratto-barzelletta a Brock Osweiler.

Il tempo corre, e Houston non ha fatto altro che dimostrare di essere una squadra salvata dalle prodezze della difesa e di essere ben conscia di non essere pericolosa in attacco, abbinando a queste sensazioni decisioni assai discutibili. Di Osweiler abbiamo già parlato e la cosa si commenta in ogni caso da sè, mentre per il presente non trova un nesso la decisione di panchinare Tom Savage dopo due quarti di gioco. La decisione di O’Brien rischia di andare immediatamente in contrasto con un’altra – presa dal medesimo coach poche settimane prima – quella di decretare proprio Savage quale vincitore del ruolo di titolare dopo la preseason.

Cos’ha visto in Savage per decidere di farlo esordire da titolare? Cosa non ha visto in DeShaun Watson? Quale quarterback ha solamente trenta minuti di gioco per poter essere giudicato con un sufficiente grado di completezza? Savage è stato disastroso, d’accordo, e Watson essendo più mobile dà maggiori garanzie di poter muovere l’attacco, dato che dalla sua ha un bene prezioso: le sue stesse gambe. Resta il fatto che ancora una volta il ruolo di quarterback dei Texans è in bilico. Quanti errori può permettersi il rookie Watson – che contro i Bengals per vie aeree ha fatto vedere molto poco – prima che O’Brien perda ulteriore credibilità? Quanto può crescere senza ritrovarsi frustrato dal fatto di non essere più dominante come al College? Quando verrà sistemata una linea offensiva ancora priva di Duane Brown e del nuovo contratto che chiede?

Le domande si sormontano di settimana in settimana, la situazione offensiva è disastrosa grazie alla scarsa produttività ed agli infortuni (i tight end sono stati letteralmente decimati), e le ammissioni di errore (il taglio di Jaelen Strong) continuano ad accumularsi. Continuando su questa strada, O’Brien ha sempre meno tempo per prendere la decisione giusta. E soprattutto per dimostrare di poterla prendere.

9) I Giants necessitano di grossi ed urgenti interventi

Il tempo è poco, la stagione vola via in fretta, e la Nfl è statisticamente spietata se una squadra comincia con il piede sbagliato perché si sa, le occasioni di rimonta sono rare. Benvenuti dunque nel magico mondo dei New York Giants, partiti 0-2 ed avvantaggiati solamente dai passi falsi delle concorrenti divisionali, dato che a livello di prestazioni offensive – il che dovrebbe rappresentare il fulcro della squadra – c’è gran poco di cui rallegrarsi.

La condizione precaria della caviglia di Odell Beckham Jr. non ci pare una scusante sufficiente a spiegare una partenza così in salita per Eli Manning a soci, la verità non può stare totalmente racchiusa qui. Manca consistenza dalla stagione scorsa, ovvero da quando Ben McAdoo ha preso in mano le redini di squadra, circostanza temporale coincidente con una diminuzione di quasi otto punti a partita di media rispetto all’ultimo anno in sella di coach Coughlin. Una delle motivazioni ce l’ha suggerita McAdoo medesimo in settimana, comunicando alla stampa di essere seriamente propenso a lasciare i compiti di playcalling offensivo concentrandosi sul solo aspetto di essere head coach seguendo meglio le decisioni di tutti i reparti, un esercizio che già di per sé richiede il massimo dello sforzo mentale.

Qualunque sia la sua decisione crediamo vada presa con tutta urgenza per poi dedicarsi alla risoluzione dei numerosi altri problemi che i Big Blue devono sopportare in questo momento. Il primo pare essere la protezione del lato cieco di Manning, data la fresca e disastrosa prestazione del tackle Ereck Flowers contro i Lions, il secondo è certamente il gioco di corse, messo così male da porsi persino dei quesiti sul taglio primaverile di Rashad Jennings, il terzo riguarda un ritmo offensivo inesistente, spezzato da sack e turnover, tanto da suggerire a McAdoo di adottare una no-huddle offense in modo da facilitare il numero di completi ad inizio partita, quando la fiducia si costruisce o viene demolita dagli avversari.

Domenica arriva un test determinante contro Philadelphia, e per allora già molto dovrà essere stato cambiato.

10) Gli Steelers non dipendono dai touchdown di Bell

Il che rappresenta una bella notizia, perché la multi-dimensionalità gioca sempre a favore di chiunque in Nfl. Uniamo pure tutti puntini del caso per ottenere la figura di un Le’Veon Bell assente dal training camp con tutte le conseguenze del caso, ma teniamo conto che non possiamo conoscere approfonditamente né il suo stato di forma e né le problematiche che fino a questo momento lo hanno tenuto fuori dall’area di meta. Possiamo solo sostenere che allenarsi duramente senza i compagni non equivale all’abitudine mentale che ci si può costruire attraverso infinite ripetizioni degli stessi schemi, esercizi che fanno la differenza per qualsiasi giocatore, campioni compresi.

Se Bell abbia solamente bisogno di tempo per carburare lo scopriremo più avanti, con la netta convinzione che prima o dopo tornerà a fornire i soliti e roboanti numeri, quello che i dati invece ci suggeriscono depone in ogni caso a favore degli Steelers, che da Le’Veon hanno visto solamente una sessantina di yard scarse a partita su corsa senza peraltro essere nemmeno lontanamente un fattore su ricezione, oltre ai già citati zero touchdown, più che una rarità per colui che è ritenuto da parecchi il miglior running back del momento.

Limitare Bell non significa limitare gli Steelers, proprio come limitare Jones non significa limitare i Falcons, ed occhio, perché la proporzione potrebbe rivelarsi interessante. La prima bella notizia è che Martavis Bryant è rientrato dalle sue travagliate sospensioni più in forma che mai, e che appaiato ad Antonio Brown può tornare a costituire un serissimo mal di testa per le difese avversarie. La seconda è che Pittsburgh possiede tanta profondità offensiva grazie alla piacevole scoperta di Eli Rogers, maturato adeguatamente nel 2016, nonché all’ottimo contributo iniziale del tight end Jesse James, che pare essere pronto ad un prominente ruolo all’interno delle ultime 20 yard.

Quando Bell riprenderà i suoi normali ritmi, e succederà, saranno guai grossi per tutti.

One thought on “Ten Weekly Lessons: Week 2

  1. Gli gireranno non poco le scatole a Rivers, di essere stato battuto pure da Cutler, con tutti gli screzi che ci son stati in passato (quando Jay stava ai Denver Broncos)

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