E’ difficile definire il concetto di tristezza.
In una manciata di giorni siamo passati dal commosso addio di Dan Rooney al gelido sgomento di Todd Heap, che sciaguratamente ha investito la propria figlia uccidendola in un modo che può sembrare essere uscito direttamente dalla sceneggiatura di un terribile horror  B-Movie, per giungere ad oggi, dove ci troviamo costretti a decifrare un sentimento difficilmente esplicabile generato dalla notizia del suicidio di Aaron Hernandez.
Per molte persone è facile unire frettolosamente dei punti e vedere il tutto come una punizione divina, come un segno che prova una volta per tutte l’esistenza del karma; per tante altre, me compreso, diventa arduo capire cosa provare e come reagire alla notizia che un uomo di 27 condannato a scontare un ergastolo per omicidio di primo grado si sia tolto la vita dentro quelle quattro mura che gli avevano precluso la visione di ogni possibile orizzonte, mura nelle quali l’immaginazione doveva dipingere albe e tramonti oppure il viso della figlia Avielle, alla quale oggi è stata tolta ogni possibilità di crescere con un padre che nonostante un ergastolo senza possibilità d’appello era attivamente presente nella sua vita.
Perché tutto ciò?
Perché dal 17 giugno 2013 l’incubo nelle teste dei defensive coordinator di tutta la lega si è cresciuto concretizzandosi e diventando reale fino ad ingabbiare la vita di Aaron stesso in questa parola?
E’ possibile che le concussion e il CTE abbiano avuto un ruolo in tutto ciò?

Come raccontava il fratello Jonathan in una commovente intervista a Sports Illustrated, Aaron quel sorriso non lo aveva mai perso.

Il nostro ossessivo bisogno di avere un parere su tutto per farci passare come navigati conoscitori della realtà umana ci porterebbe a puntare il dito contro un’infanzia difficile e caratterizzata da violenza: niente di più sbagliato, in questo caso.
Sì, le quattro mura del carcere erano già un elemento presente nella vita di Aaron Hernandez, in quanto la madre fu arrestata per aver preso parte ad un giro di scommesse illegali, ma in questo caso vale la pena far luce sul perché di tutto ciò.
Jonathan, fratello e migliore amico di Aaron, era solito a piangere nel suo letto la notte per motivi apparentemente stupidi come il non vestire firmato o non avere una bicicletta particolarmente sfarzosa, ma tu spiegalo ad un adolescente che sta piangendo per una stupidata: per fermare queste lacrime e dare ancora di più ai figli mamma Terri si era spinta a mettere a repentaglio la propria vita, il proprio stato di libera cittadina pur di garantire ai suoi ragazzi quanta più felicità – per puerile che possa essere – possibile.
In carcere Terri Hernandez non ci finirà mai, ma ormai il danno è fatto, a quell’età purtroppo si tende ad essere fastidiosamente bastardi: l’umiliazione dell’arresto della madre verrà sempre rimarcata da compagni di scuola vari, persone a cui Aaron voleva testardamente piacere malgrado tutto.
Sì, ad Aaron Hernandez piacevano le persone ed era sempre pronto ad accogliere chiunque nella sua vita, fatto che secondo il fratello Jonathan arrivò a costargli la libertà, in quanto di Carlos “Boy” Ortiz e Ernest “Bo” Wallace lui non si era mai fidato, e guarda caso eccoli tutti e due coinvolti nell’omicidio di Odin Lloyd: ma com’è possibile che un ragazzo così tranquillo e rilassato si trasformi in un assassino a sangue freddo?

Fra le infinite domande che circondavano l’ex tight end dei Patriots, ad una sembra esserci una risposta sicura: chi lo conosce e gli ha voluto veramente bene è in grado di identificare l’evento che ha spezzato in due la vita di Aaron, cambiandolo profondamente, rendendolo una testa calda che da talento da primo round del draft precipitò al quarto turno per numerose red flag comportamentali.
A soli 16 e 19 anni i fratelli Hernandez videro morire il padre Dennis a seguito di complicazioni occorse dopo un semplice intervento d’ernia: era il gennaio del 2006, e da lì una spirale ha iniziato ad inghiottire Aaron fino a farlo scomparire oggi, 19 aprile 2017.
La morte di papà Dennis sconvolge profondamente la famiglia, e per beffa del destino arriva nel momento in cui il figlio minore avrebbe avuto bisogno più che mai della guida paterna: da stella locale della Bristol Central High School in Connecticut Aaron diventa uno dei prospetti nazionali più interessanti e corteggiati. Tutti vogliono essere amici di colui che potrebbe farcela ed arrivare in un posto dove lo stipendio comprende sei zeri: le braccia aperte di Aaron avrebbero avuto bisogno di qualcuno che si mettesse davanti a loro a bloccare, indagare e scrutare qualsiasi “candidato” per individuare ed epurare ogni possibile influenza negativa.
Sfortunatamente, nulla di ciò è stato possibile.

Aaron Hernandez e Tim Tebow, l’incubo di ogni difesa avversaria durante gli anni in Florida nei Gators.

Aprile 2007, inizio del calvario: un allora 17enne Hernandez consuma senza pagare due drink in un bar di Gainesville in Florida ed una volta scortato fuori dal bar sferra un pugno al cameriere che lo aveva accompagnato fino a lì, rompendogli il timpano. Pochi mesi dopo, a settembre e sempre a Gainesville, cinque colpi d’arma da fuoco vengono esplosi verso la macchina che trasporta Randall Carson, Justin Glass e Corey Smith: la descrizione rimanda gli inquirenti ad Hernandez, che si avvale del diritto alla difesa di fatto spingendo le forze dell’ordine a non emettere condanne.
Aprile 2010, potrebbe essere tornato a splendere il sole sulla vita di Aaron Hernandez: arriva la chiamata da parte di Bill Belichick, la 113esima assoluta del draft, Hernandez giocherà ai Patriots con un altro rookie, un tale Rob Gronkowski da Arizona, quello che sarebbe diventato il miglior tight end della nostra generazione ed infortuni permettendo, di sempre.
Si sa, i Patriots sono famosi per la loro abilità nel “sistemare” le persone trasformandole in piccoli ingranaggi facenti parte di un complesso meccanismo che a febbraio, solitamente, aggiunge in bacheca un altro Super Bowl: ciò non funziona nel caso di Hernandez, qualcosa si era rotto molto tempo prima e nemmeno il grande Belichick può far qualcosa di concreto per guarire questa ferita.

Dopo aver ricevuto un touchdown e nonostante ciò perso il Super Bowl nel febbraio del 2012 contro i Giants, arriva il momento di battere cassa: detto fatto, 40 milioni in 5 anni, di cui 12.5 alla firma, cifra record in quel momento per un tight end.
La stagione seguente è costellata da infortuni, e le partite giocate sono solo 10 ed i numeri discretamente deludenti, ma fa lo stesso, il duo Gronkowski-Hernandez è troppo per qualsiasi difesa, the best has yet to come, si pensava: il 13 a 28 con cui i Ravens hanno silenziato il Gillette Stadium nell’AFC Championship Game nel gennaio 2013 sarà ricordato come l’ultima occasione in cui Aaron Hernandez mette piede in un campo NFL.

17 giugno 2013, Odin Lloyd viene trovato morto in una zona industriale a circa un miglio dalla casa di Hernandez, casa che verrà setacciata dagli investigatori il giorno seguente: il raffinato sistema di sicurezza che proteggeva la casa è misteriosamente distrutto, un telefonino viene disintegrato e l’intervento di un team di pulizie chiamato frettolosamente ad intervenire nella casa del giocatore forniscono piste estremamente valide agli inquirenti che, nove giorni dopo, lo arrestano con l’accusa di omicidio di primo grado.

Una maglietta bianca, pantaloncini rossi e scarpe nere: così era vestito Aaron Hernandez l’ultima volta da uomo libero.

I Patriots solamente novanta minuti dopo lo tagliano, non ne vogliono sapere niente.
Due anni dopo, nell’aprile del 2015, Aaron Hernandez verrà giudicato colpevole: ergastolo senza possibilità d’appello.
È finita, il resto della sua vita avrà luogo nel carcere di massima sicurezza Souza-Baranowski in Massachussetts.
Anzi, ancora no: il doppio omicidio di Daniel de Abreu e Safiro Furtado vede in lui il possibile colpevole, anche grazie alle condanne dell’amico Alexander Bradley, al quale Hernandez avrebbe sparato in faccia per garantirsi il suo silenzio.
Questa volta viene assolto, almeno per il momento non è lui il colpevole: 14 aprile 2017, il conto alla rovescia sta per finire, manca veramente poco a completare una lenta ma inesorabile caduta libera, il suolo è terribilmente vicino.

19 aprile 2017: sono a lezione di letteratura spagnola, sto distrattamente prendendo degli appunti quando apro Facebook e trovo una dichiarazione di Adam Schefter in rete da quattro minuti, Aaron Hernandez si è impiccato nella sua cella.
Fine dei giochi.
La famiglia sostiene che si tratti di omicidio, in quanto nulla faceva presagire questo tragico epilogo, ma appare inverosimile che qualcuno lo abbia impiccato e successivamente sia stato in grado di bloccare dall’interno la porta della cella.
Dopo ore che sto scrivendo, ancora non so come sentirmi, cosa provare, l’empatia in me abbonda in questo momento, ed in ciò troviamo condensata l’essenza di Aaron Hernandez: un costante enigma spintosi troppo avanti fino a beffare sé stesso, eventuale pluriomicida capace di sfoggiare in aula caldi sorrisi rassicuranti da padre modello, un talento generazionale sul campo in grado di essere contenuto e limitato solo da sé stesso e dai suoi demoni.
L’empatia è però occultata dalla vergogna, si sta pur sempre parlando di un criminale, di un assassino a sangue freddo per il quale una vita umana non aveva poi questo gran valore, come si può essere empatici con una persona del genere?
Lo confesso, non riesco a trovare una risposta e, molto probabilmente, non la troverò mai: ogni volta che penserò ad Aaron Hernandez sarò destinato a provare un disagio difficilmente esplicabile, un misto di pena, disgusto, rabbia governato da una grandissima confusione.

Nessuno ha ancora capito chi fosse Aaron Hernandez, nemmeno Aaron Hernandez stesso.

13 thoughts on “L’ultima grande beffa di Aaron Hernandez

  1. La cosa che più mi fa impressione in tutto ciò è che i patriots lo hanno abbandonato, anzi hanno fatto, e fanno tutt’ora di tutto, per cancellarlo dalla loro storia, come se non fosse mai esistito nella storia dei patriots. L’uomo hernandez stava già scontando la sua pena, giusta o sbagliata che sia, perché continuare ad ignorarlo? E non intendo che avrebbero ritirargli la maglia o chissà cosa ma a quanto ne so sul loro sito non hanno scritto nemmeno la notizia del suicidio, idem brady

    • E’ difficile purtroppo in questo momento storico dei social media prendere una posizione senza che qualcuno non la esageri portandola agli estremi inutilmente: certamente sono parecchio intristito pure io da questo “lavarsi le mani” generale, ma purtroppo non ne sono meravigliato, mostrare pena per quello che tutti vedevano come una bestia senza speranza avrebbe potuto creare sgradevoli attenzioni mediatiche intorno ad una squadra che ne ha già abbastanza.
      Peccato, ma evidentemente è così che funziona: al primo guaio, seppur grave come può essere un omicidio, addio, di te non ne vogliamo sapere più niente.

  2. Ragazzi lo sport è solo un appendice della vita di tutti noi ma molto spesso il talento nello sport ci fa vedere le persone in una forma diversa quasi “intoccabili” ….qua una persona (nn uno sportivo) è stata dichiarata colpevole di omicidio e forse ne ha compiuto un altro (per cui è stato assolto), sinceramente con tutti i problemi che ci sono al mondo se si è ucciso in prigione può lasciarmi solo che indifferente!! Mi viene a mente solo il proverbio tutto italiano ma che calza veramente a pennello “è proprio vero che ci ha i denti nn ha il pane e chi ha il pane nn ha i denti!”

      • Le prigioni dell America e del mondo sono piene di persone che hanno commesso omicidi e giustamente pagano..tutte loro ti ispirano riflessione profonde?o il fatto che uno fosse bravo in uno sport lo rende più meritevole di empatia e comprensione?a me sembra piuttosto un aggravante che l abbia fatto uno che dalla vita stava avendo tutto e non può neanche giustificarsi con la povertà il degrado il disagio

        • Ciao JS!
          Vedo che il nervosismo non manca! E’ ovvio, non sono ipocrita, che la morte di un giocatore che ho visto nascere al college ed iniziare a sfondare in NFL mi colpisca in particolar modo. Poi pensa te, scrivere (male) è la mia passione e scrivo per un sito sportivo, è facile che su questo evento ci scriva qualcosa, o no?
          Dietro quel killer c’è un essere umano che in quanto ragazzo curioso vorrei tentare di capire cosa possa averlo portato ad essere un assassino a sangue freddo, non ci vedo nulla di scandaloso.
          Lo sto giustificando? No.
          Mi sento triste? Sì, ma mi sento triste anche per tante altre cose, quindi non so quanto conti.
          Buona serata!

      • JS12 forse si è espresso male ma il concetto è giustissimo, ribadisco il mio pensiero, Aaron Hernandez (che potrebbe essere anche un Mario Rossi qualsiasi) è stato sicuramente in primis un “uomo normale” come tutti noi oltre ad essere un ottimo giocatore di Football, dal momento che ha commesso il fatto, che non è un “guaio” ma è un omicidio volontario, sicuramente per tutti rimarrà nella storia come un ottimo giocatore di football ma da quel momento ha perso tutti i privilegi di “uomo normale”, mi sembra la cosa più ovvia, nn capisco di che morale stai parlando scusa? Non è una morale spiccia, è una verità, uno si può interrogare da dove provenga Hernandez e magari tornare a ritroso nel tempo per capire la sua storia e come sia stato educato, ma credo che prima di essere grandi giocatori, ingegneri, dottori, giornalisti ecc….bisogna essere Uomini.
        Non credo di fare morale spiccia, ma credo piuttosto che l’abbia fatta tu oltre ad essere stato un po’ retorico e bigotto, hai portato un esempio di ragazzi che si sono suicidati, ho avuto anch’io un amico che ha fatto quel gesto ma non è nemmeno paragonabile a Aaron Hernandez in quanto non aveva brutalmente assassinato nessuno ma si è tolto la vita per motivi propri perché semplicemente la sua mente vedeva i problemi più grandi di quelli che in realtà erano. AH invece si è tolto la vita perchè “forse” ha capito di aver fatto una cosa a cui non avrebbe mai più riparato, non è la sua ultima grande beffa, è la sua coscienza che gli ha presentato il conto perchè alla fine tutti ci dobbiamo fare i conti prima o poi.
        Inoltre nel mio precedente post non volevo puntare il dito su nessuno, ma volevo solamente esprimere il concetto che nel 2017 con tutti i problemi che ci sono al mondo e che abbiamo qua in Italia un articolo di commiato su un omicida anche se pur un ottimo sportivo mi trova più che indifferente ricordando che dall’altra parte c’è una ragazza uccisa e una famiglia che molto probabilmente sarà distrutta dalla perdita.

        Saluti.

        • Carissimo!
          Questo, che io sappia, è un sito di sport americani quindi boh, chiamami click-bait maniac o quello che vuoi, ma un articolo pensavo proprio ci stesse, se vuoi che parliamo dei problemi dell’Italia o del resto del mondo… hai forse sbagliato sito!
          Odin Lloyd è un uomo, e questo dettaglio seppur piccola cagatina può dirla lunga su quanto tu sia informato su tutta la questione, però meglio così, almeno il mio “articolo di commiato” ti è servito a qualcosa!
          Se vuoi parlare di drammi dal mondo puoi aggiungermi su Facebook che magari ci scambiamo due messaggi e ce la ridiamo anche, detto ciò io sono portato per l’empatia, onestamente la tua predica è molto apprezzabile però sono piuttosto convinto che di bigotto qua ci sia solo il tuo ultimo commento.
          Ultimo friendly reminder: sito di sport americani –> parliamo di sport americani –> si suicida uno dei giocatori più chiacchierati degli ultimi anni –> articolo.
          Lo fanno ESPN, Sports Illustrated, ci hanno fatto articoli pure Washington Post, Huffington Post, Times, testate italiane, Vice e così via, quindi perché no, ho deciso di farlo pure io, purtroppo mi piace troppo scrivere…

  3. Una brutta storia, con un brutto finale…
    Non dico che il suicidio gli dia la redenzione e l’assoluzione per i suoi orrendi peccati, ma un gesto così estremo ti fa capire quanto instabile fosse quest’uomo.
    Purtroppo ho avuto un conoscente, una persona amica che si è tolta la vita, quando questo accade ti fa riflettere sulla persona che era e su quanto fosse fragile (un uomo che si suicida non è una persona forte e coraggiosa, tutt’altro!).

    Sono anch’io combattuto tra la compassione per Hernandez e l’indifferenza, perché è pur sempre una persona che come tante altre ha commesso degli errori orribili (omicidio/i), ed il fatto che a tempo perso avesse una palla ovale tra le mani non può sminuire quello che ha fatto.

    • Ciao T-Mac (gran bel nome!).
      Personalmente con il suicidio ho avuto a che farci parecchio negli ultimi anni, in quanto due ragazzi nella mia scuola si sono tolti la vita nel giro di un anno. La morte di un essere umano ti porta ad empatizzare con lui, salvo si parli di Charles Manson, però ciò che mi intristisce veramente della faccenda Hernandez è un semplice fatto: chi è veramente Aaron Hernandez?
      Ciò mi trattiene dal puntare dita o esprimere giudizi forti.
      Buona serata!

      • Dici bene Mattia…..chi era realmente Aaron Hernandez!? Io mi chiedo, un ragazzo che ha coronato il suo sogno, raggiungendo il top nel suo sport in un una delle più forti ed importanti squadre degli USA ma soprattutto con davanti una carriera da star, ricchezza, fama, successo che ti aspettano per almeno i prossimi 10 anni. Hai una figlia, una famiglia e chissà quanti fan che ti adorano….come può prender parte a bagarre di bassi fondi e teppisti da strada che vivono magari alla giornata? Cribbio puoi avere tutto!! Ed essendo in un team di elite non penso abbia avuto tantissimo tempo libero tra allenamento, ritiri e partite di football. Boh sono basito

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