Quella dei Falcons più recenti è una storia quantomeno affascinante. Si può affermare con una certa tranquillità che i presupposti per quella che è diventata la squadra oggi, protagonista di un percorso molto positivo, siano nati dalle ceneri del disastro post-Micheal Vick. Proprio in quel momento il signor Arthur Blank, il proprietario della franchigia, era chiamato a dare un sonante colpo di spugna a tutta la situazione, peraltro difficilissima da gestire, dando inizio ad un nuovo corso senza patire troppe sofferenze. Il tutto mentre l’idolo dei ragazzini neri della metropoli del Sud veniva incarcerato e temporaneamente cancellato dalla Nfl, togliendo improvvisamente alla squadra la sua principale fonte di sostentamento, agonistico e pubblicitario.

Gli Atlanta Falcons di oggi sono quelli di Matt Ryan, la faccia pulita che prese le redini della rappresentanza della squadra in città per il verso giusto. Mai una parola fuori posto, un innato senso dell’educazione, grinta da vendere e, non ultimo, un quarterback con i fiocchi, che oggi si misura alla pari con i grandissimi del ruolo. Proprio come in uscita da Boston College suggerivano le prospettive che gli scout si costruirono a riguardo.

La storia di Atlanta non è certo vincente. Una sola partecipazione al Super Bowl in versione Dirty Birds, peraltro passata a guardare John Elway trionfare per una seconda volta prima di appendere il casco al chiodo, un ciclo incoraggiante con il funambolico Vick al timone prima della brusca interruzione, ed ora la possibilità di creare qualcosa di più grazie alla presenza di un franchise qb semplicemente fantastico, che ha saputo mantenere l’alto livello di attese su di sé senza mai darsi per vinto, evitando di badare alle critiche sempre pronte a mordere chiunque giochi delle regular season ai limiti della perfezione per poi cadere puntualmente ai playoff, giudicando troppo frettolosamente una carriera nel pieno del suo svolgimento, che meriterebbe considerazioni di questo tipo solamente una volta dichiarato il proprio ritiro dalle scene.

I Falcons hanno intrapreso la stagione 2016 con tutti questi pesi da togliersi. Ryan più perdente che no in postseason, in grado di vincere 36 partite in tre anni ma mai di superare lo scoglio della finale di Conference, un allenatore come Mike Smith, ritenuto troppo erroneo in alcune decisioni prese a partita in corso ed incapace di guidare quella che sulla carta è sempre sembrata una piccola Ferrari, la responsabilità della vorticosa salita di posizione decisa dall’abile GM Thomas Dimitroff al Draft del 2011 per prendersi Julio Jones, una mossa maiuscola, di quelle destinate a cambiare una storia in positivo od in tremendo negativo, in cerca di una disperata svolta. E dall’anno scorso ecco Dan Quinn, lo stratega della difesa dei Seahawks, pizzicato perché non capace di sistemare un reparto difensivo troppo generoso, squilibrato nei confronti di un attacco così prolifico.

Per tutta la stagione corrente, invece, Atlanta ha dimostrato di essere una squadra difficilmente battibile, ben più di quanto realmente indichi il record di 11-5 con cui ha vinto la Nfc South. Una compagine contraddistinta da uno strapotere offensivo di primissima qualità, coordinato a meraviglia da Kyle Shanahan e dai suoi concetti mutuati da papà Mike, attrezzata con un quarterback di prima fascia e molteplici armi in grado di non far sentire l’eventuale mancanza di un grande campione come Jones, destinato a lasciare il football, un giorno, come uno dei più grandi interpreti del ruolo di wide receiver nella storia della Lega.

La chiave di volta è stata proprio questa. Nessuna difesa è riuscita a contenere il potenziale offensivo dei Falcons. 540 punti a referto, più di 6.600 yard ammassate – rispettivamente prima e seconda statistica assoluta di Lega – ma più di ogni altra cosa la sensazione di non poter essere fermati o limitati in alcun modo. Nemmeno nelle gare in cui il coordinatore avversario studiava il piano partita annullando il grande Julio, che ha collezionato esibizioni da 16, 29 e 35 yard, numeri con i quali la squadra avrebbe senza dubbio perso negli anni passati. Gli esiti sono stati differenti grazie alla presenza del devastante Devonta Freeman, un quarto giro tramutato in una superstar grazie alla capacità di correre e ricevere con eguale efficacia, come pure grazie al prezioso contributo del suo backup Tevin Coleman, includendo nel conteggio anche una delle acquisizioni più importanti della free agency, Mohamed Sanu, ed un improbabile protagonista come Taylor Gabriel, passato dall’anonimato ad essere la terza opzione aerea. Se poi si dava a Jones la possibilità di divorarsi le secondarie (chiedere a Carolina per maggiori informazioni, tenendo bene a mente il numero 300…) allora la faccenda era destinata a farsi più che buia.

Eppure Atlanta non convinceva, c’era uno scetticismo permanente, protrattosi fino al termine della regular season. Nonostante l’attacco i Falcons non avevano chiuso partite importanti (Seattle, con l’asterisco della decisiva trattenuta di Sherman su Jones, che avrebbe permesso il field goal del sorpasso…), erano inciampati su ostacoli più che arginabili (San Diego) e dopo sette partite avevano già accumulato tre sconfitte, un tabellino di marcia non consono per chiunque desideri di giungere al Super Bowl. Parte del problema era una difesa giovane, quindi inesperta per quanto atletica fosse, che si è dovuta amalgamare strada facendo, soffrendo dolori e conseguenze del caso.

Tuttavia, una squadra che aveva vinto a Denver contro una difesa molto forte, che se l’era giocata fino in fondo con Seattle, e che aveva piegato seppur di poco Green Bay doveva pur possedere qualcosa di speciale. Alla fine dei conti Atlanta ha vissuto una sola giornataccia, sconfitta a Philadelphia da un avversario di certo inferiore, e la cosa si è fermata lì. La stagione regolare si è chiusa con un bilancio parziale di 5-1, e l’ultima volta che i Falcons hanno perso risale tutt’oggi allo scorso 4 dicembre.

Finire 11-5 o 16-0 non fa nessuna differenza se si è una franchigia che deve dimostrare ancora molto in postseason, e proprio in quella sede sono emerse le vere qualità atletiche e caratteriali degli uomini di Quinn. Ryan ha continuato a giocare producendo statistiche eccellenti, Jones ha prodotto 247 yard e 3 mete in due gare, e la macchina offensiva è rimasta vicina alla perfezione anche quando la posta in palio è salita di colpo, la miglior notizia che Atlanta potesse ricevere come dimostrato dal netto stacco nel punteggio nelle affermazioni contro i Seahawks (vendetta consumata, quindi…) e soprattutto nei confronti di Green Bay, il cui status di forma rendeva poco prevedibile una batosta passiva di quelle proporzioni (44-21, con Rodgers e soci mai in gara).

Non è ancora la terra promessa, ma ci siamo vicini. Di certo il Super Bowl propone del potenziale che, se rispettato anche sul campo, diventa interessantissimo. La potenza offensiva dei Falcons non ha avuto eguali quest’anno, la difesa è cresciuta in esperienza proprio nel momento topico dell’anno plasmando i leader di reparto attuali e futuri, dato che la gioventù è tutta dalla parte di questa franchigia. Non sarà facile nemmeno per Belichick pensare ad una strategia difensiva in grado di arginare Jones e limitare contemporaneamente tutto ciò che i Falcons hanno da offrire, e per quanto Brady possa sezionare una difesa acerba, che andrà sottoposta allo stress di giocare bene dinanzi un palcoscenico unico, Atlanta avrà comunque la possibilità di rispondere con le sue notevoli bocche da fuoco.

Il fascino di una potenziale vittoria è racchiuso nella storia stessa di questa squadra, che nei suoi primi anni di esistenza ha sempre avuto cucita addosso l’etichetta di perdente, per poi trovarsi beffata dal destino quando le cose parevano volgere in positivo, fino all’arrivo del profeta Ryan, il quarterback dai nervi di ghiaccio.

Sarebbe una prima volta molto significativa, e Ryan assumerebbe a titolo definitivo il ruolo cui sembra essere destinato da sempre.

Commenta

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.