1 – L’arretramento dell’extra-point funziona

web1_nugent-cmykLa scorsa stagione aveva fatto un po’ da esperimento per l’arretramento dell’extra-point successivo ad un touchdown per capire se la mossa avrebbe sortito gli effetti desiderati. Qualche differenza la si è vista, d’altro canto è più difficile tentare una conclusione di 33 yard anziché di 17, ma domenica i fieri sostenitori dell’indietreggiamento hanno addirittura banchettato di fronte ad una settimana storica, che ha affossato la figura del kicker come mai era accaduto in precedenza.

Dodici extra-point sbagliati sono cifre inimmaginabili, ed hanno difatti battuto un record negativo che resisteva da ben 46 anni, non certo da ieri. Le condizioni atmosferiche hanno certamente dettato parte della sorte di tutti quei palloni errati, ma la storia non può essere tutta qui se consideriamo che nel presente torneo moltissime partite si sono protratte al supplementare o sono terminate in pareggio per incredibili errori dei kicker, peraltro in situazioni meteo sostanzialmente impeccabili.

Al di là della ricerca del presunto colpevole per questa trasformazione peggiorativa delle percentuali realizzative, che può anche essere individuato nella maggiore presenza di kicker non all’altezza del compito e spesso incostanti, ciò che maggiormente interessa è capire come questo arretramento abbia certamente giovato alla qualità del prodotto in termini di imprevedibilità, perché lo spettatore medio non era sicuramente propenso ad assistere ad un’azione del tutto scontata, che creava una sorta di fattore-noia. Il bello di una partita di qualsiasi tipo è la sua capacità di far rimanere con il fiato sospeso, ed ora anche l’extra-point ha una sua componente di tensione che rende più continuo il coinvolgimento di chi guarda.

Bersaglio centrato.

2 – Kirk Cousins è nettamente migliore rispetto al primo mese di gioco

L’avvio di stagione non ha convinto nessuno, diciamocelo chiaro e tondo, perché ad un certo punto sembrava che i Redskins fossero semplicemente quelli di sempre, incapaci di produrre offensivamente e tendenti a subìre dall’altra parte della barricata per il troppo tempo trascorso in campo dalla difesa. Dobbiamo tuttavia denotare il come la stagione di Washington stia prendendo una piega molto simile rispetto a quella dell’anno passato, quando Kirk Cousins aveva cominciato ad avere maggiore fiducia nei suoi mezzi – ricordiamo la vittoria in overtime contro i Buccaneers come ideale partita spartiacque – inanellando successivamente prestazioni di prestigio che lo avevano visto tagliare in maniera significativa il numero di errori decisionali, fattore determinante sia per la vittoria della Nfc East e sia per una presenza ai playoff assolutamente impronosticabile se rapportata al caos pre-stagionale.

Che dire di Cousins? La sua capacità di auto-motivazione sfruttando le malelingue dei detrattori devono essere eccezionali, in quanto in ognuna delle sue stagioni piene da titolare è giunto un momento di rottura dopo il quale Kirk non si è più voltato indietro. Avevamo scritto su queste stesse righe che il quarterback da Michigan State non si stava meritando il rinnovo contrattuale tanto auspicato, che non era lui il futuro della franchigia, eppure ad un certo punto del campionato qualcosa gli scatta dentro e comincia a giocare decisamente meglio.

Complice – come sostenevamo la settimana scorsa – un gioco di corse finalmente credibile, l’attacco dei Redskins si è letteralmente trasformato tanto da indurre qualche giornalista americano a definirlo esplosivo, ed è proprio così, chiedere a Green Bay per conferma. Più di ogni altra cosa sono tornati i big play, le giocate a lunga gittata, lo sfruttamento delle caratteristiche di velocità dei vari ricevitori, gli enormi squilibri di marcatura creati da Jordan Reed. Ma soprattutto è tornato il Cousins decisivo della seconda parte dello scorso anno, e se Washington è in corsa per la seconda qualificazione consecutiva ai playoff – evento più unico che raro per la franchigia negli ultimi vent’anni – molto del merito va attribuito a chi si è preso la maggior parte delle critiche.

Comprese quelle nostre.

3 – I Bengals sono la delusione dell’anno

Dovevano compiere il prossimo passo, quello che avrebbe consentito loro di eliminare tutti i dubbi derivanti da cinque eliminazioni consecutive alla Wild Card, il che ne aveva fatto una più che buona squadra da regular season pronta a frantumarsi dinanzi alle difficoltà dei playoff. Quest’anno il problema è stato evitato alla radice, perché i Bengals la post-season non la vedranno nemmeno con il binocolo dopo un campionato giocato ben al di sotto delle possibilità di squadra e senza particolari giustificazioni per questa mancanza di risultati.

Le sole tre vittorie ottenute quest’anno sono giunte contro due pessime squadre, Cleveland e New York Jets, mentre la terza contro una Miami che alla quarta settimana di gioco era in piena caduta libera, ed una prima indicazione la possiamo trarre da qui: i Bengals sono risultati essere inferiori a tutte le altre squadre affrontate con un paio di eccezioni, ovvero almeno due partite perse (una pareggiata) a causa degli errori del kicker Mike Nugent. Le prestazioni di chi deve centrare i pali non la raccontano comunque tutta, contro questa difesa è fin troppo facile correre come dimostrano le sei partite in cui le yard del backfield avversario hanno superato quota 120, fatto suggellato da un confronto impietoso contro dei Bills che hanno perso LeSean McCoy nel primo tempo, ma che non hanno perso ritmo nemmeno con Gillislee a sostituirlo.

Oltre a ciò vi sono evidenti difficoltà nel varcare la endzone su passaggio, Andy Dalton in carriera ha segnato una media di 24 passaggi da touchdown a stagione e gli 11 di questa campagna la raccontano abbastanza lunga sull’efficienza offensiva, nonché sulla difficoltà di trovare connessioni vincenti con un A.J. Green fermo a sole 4 mete, e che ora dovrà restare a guardare per almeno altre due gare per infortunio. Si sente soprattutto la mancanza di Marvin Jones, che sta sfavillando a Detroit, e Tyler Eifert – rientrato da poco – non è abbastanza coinvolto nel piano di gioco per poter avvicinare le 13 mete segnate l’anno passato.

Per moltissimi versi è la stessa squadra che aveva terminato il 2015 a quota 12-4, e davvero non si capiscono i motivi di un tale tracollo. Purtroppo, il tempo per rimediare sembra abbondantemente terminato, soprattutto se di gara in gara la squadra continua a commettere gli stessi errori.

4 – I Giants, in silenzio, sono lì…

19255450-mmmainI Giants ce li siamo filati in pochi, li avevamo lasciati con le turbolenze di Odell Beckham e le maggiori prove di maturità che l’asso della squadra avrebbe dovuto fornire, ed invece quatti quatti i Big Blue sono in perfetta posizione per centrare la Wild Card. E ad oggi, sono l’unica squadra ad aver battuto i Dallas Cowboys. Nell’elenco delle squadre del momento gli uomini dell’esordiente Ben McAdoo devono essere forzatamente considerati nelle primissime posizioni, l’affermazione contro i Chicago Bears ha allungato la serie di vittorie consecutive a cinque ed i miglioramenti rispetto all’inizio dell’anno sono più che evidenti.

La produzione offensiva non è mai mancata nemmeno quando a strillare dalla linea laterale c’era il generale Tom Coughlin, ma il concetto non è certo mutato sotto McAdoo, che di questo reparto era il coordinatore. La rete di passaggi, quando Manning non lancia uno sgraziato intercetto, può potare a spasso qualsiasi difesa ora che il cambio di sistema di due anni fa è stato abbondantemente digerito, ed il backfield è quello di sempre, produce quel poco che riesce e quando può incide. Ciò che scalda il cuore più di ogni altra cosa è il vedere Victor Cruz contribuire ancora una volta dopo tutti i guai fisici che ha passato e di certo la sua presenza è un fattore tra i più positivi per il corretto andamento delle cose, e Sterling Shepard (10.8 yard per ricezione, 5 mete) si è rivelato essere una scelta assolutamente azzeccata per come è riuscito ad inserirsi in questi meccanismi sin dal principio, rendendo non strettamente necessarie le funamboliche trovate di Beckham, permettendo ai Giants di produrre anche quando il loro miglior ricevitore è costantemente raddoppiato.

In passato si è sempre discusso di come alla squadra mancasse un playmaker difensivo, la cui ricerca è stata spasmodica ma se non altro pare giunta al termine ora che tutti nella Nfl si sono accorti di che pasta è fatto Landon Collins, il vero difference-maker di un reparto che ha concesso solamente tre passaggi da touchdown nell’ultimo mese, un dato di rilevante importanza. Grazie a lui sono arrivati i turnover che hanno determinato l’andamento dei confronti delle ultime quattro partite, cinque intercetti giunti tutti in occasioni consecutive ed uno dei quali riportato in meta in una gara – quella contro i Rams – decisa da una sola meta di scarto, tanto per capirne l’importanza.

Sembrano dei Giants rinnovati che sono finalmente riusciti a correggere alcune delle loro principali pecche, basterebbe evitare qualche turnover di troppo e possedere un running back più continuo di Rashad Jennings ed avremmo sicuramente una crescita esponenziale. Nel frattempo il passaggio di consegne sembra non offrire conseguenze negative, e la squadra è tra le più competitive in circolazione, pronta a far danni contro chiunque in singolo match. Occhio.

5 – I Rams non sono cambiati

Continuano le (dis)avventure di Jeff Fisher e della sua tribolata compagnia, desolatamente ferma a quota 1-5 nelle ultime sei uscite ed in cerca di un qualsiasi segnale offensivo possa pervenire. La colpa della sconfitta contro i Dolphins, altra squadra rovente, non va certo addebitata ad un Jared Goff che timbrava il primo cartellino di sempre tra i professionisti, ma le cose non sono cambiate un granché e l’atteggiamento di squadra ha dimostrato assai poca maturità, arrivando a perdere una partita sostanzialmente già vinta.

Un touchdown di Todd Gurley ed un field goal di Zuerlein, segnature giunte nel primo tempo, sono tutto ciò che i Rams sono riusciti a mettere assieme offensivamente mentre la difesa offriva una prova stoica, tenendo in bianco Miami per quasi quattro periodi completi, con quel quasi a rappresentare tutta la differenza del mondo tra una vittoria ed una sconfitta. Avanti 10-0 fino a quattro minuti dal termine del confronto i Rams avrebbero potuto capitalizzare chissà quante volte le occasioni fornite dal reparto difensivo cercando di arrotondare il vantaggio, fallendo miseramente nel tentativo.

Per Goff tanta comprensibile confusione, troppo tempo passato con la palla in mano, troppa lentezza nel localizzare le varie opzioni, e per quanta pazienza serva è chiaro che il solo Gurley – di per sé un’arma fenomenale ed in questo contesto sprecata – non possa sempre portarsi tutto l’attacco sulle spalle da solo. La produzione aerea è mancata ancora una volta, solo 134 yard ed il 54% di completi all’esordio per il regista proveniente da California, due turnover (uno di Goff medesimo, ed un fumble perso da Kendricks), ed un ridicolo 15% in fase di conversione di terzo down sono tutto ciò che l’attacco losangeleno è riuscito ad offrire.

Se poi Tannehill in quattro minuti riesce ad inscenare due passaggi da touchdown dopo un pomeriggio completamente buio, la conclusione è una ed una soltanto: l’ennesima eccellente prestazione difensiva è andata persa nel nulla più assoluto, e la virata offensiva è sempre più urgente. Goff a parte, serve una bella ristrutturazione del roster attuale.

6 – Abbiamo virtualmente eliminato i Buccaneers troppo presto

usatsi_8980755I Buccaneers avevano fatto la classica fine di tutte quelle squadre che hanno appiccicata l’etichetta work in progress, quelle di nuova ricostruzione che per qualche anno di solito non ottengono risultati esageratamente positivi fino a compiuta maturazione del roster. Dobbiamo ammettere che ce li eravamo dimenticati troppo presto, tralasciati in un limbo fatto di poca continuità di risultati e lacune evidenti da sistemare prima di poter contendere, ed invece a conti fatti risultano tra le compagini ancora speranzose di poter giocare i playoff.

Chi sono i nuovi Bucs? Sono certamente quelli di Jameis Winston, che ha vissuto un’annata da rookie senza dubbio promettente e soddisfacente, e sul quale poggia la maggior parte del peso offensivo senza che egli stesso ne risenta eccessiva pressione. Il progresso a campionato in corso c’è, l’ultimo mese abbondante parla di 396 yard totali messe a segno da un attacco che ha retto l’urto del continuo turnover nel ruolo di running back, un qualcosa che si è reso necessario a causa dei molteplici infortuni ai maggiori protagonisti del backfield senza patire conseguenze disastrose. Il fatto mette però in evidenza la crescita di Winston, il quale ha diretto un gioco di passaggi di ampie potenzialità che nelle ultime settimane è decisamente salito di colpi, uno dei fattori che hanno permesso a Tampa di aggiudicarsi almeno un paio di gare che l’anno scorso, in condizioni differenti da queste, avrebbe perso quasi certamente.

Dall’altra parte dell’arcobaleno c’è spesso e volentieri Mike Evans, ci mancherebbe, ma non è solo in questo compito di sollevare il reparto offensivo con il traguardo di farlo divenire stellare. La particolarità che contraddistingue i Buccaneers è quella di aver sviluppato bene dei giocatori che appena scelti si trovavano ai margini del roster, e che oggi sono diventati invece solide opzioni per il quarterback al secondo anno. Cameron Brate, tight end emerso sul finire della scorsa stagione, sta confermando di poter essere un ricevitore affidabile, Adam Humphries è venuto fuori letteralmente dal nulla ed in qualche partita è il target preferito da Winston, e la sua piccola ma significativa parte la sta facendo pure Russell Shepard, il quale prima del presente campionato aveva scritto 91 yard ed una meta in tre stagioni di parziale utilizzo, e che quest’anno ha già praticamente raddoppiato il suo triennale fatturato precedente.

Aggiungiamoci una maggiore coscienza delle proprie possibilità, ed una vittoria in trasferta nell’insidiosa Kansas City come quella della scorsa domenica può anche trovare giustificazione, al di là della sorpresa.

7 – I Browns vogliono il record a tutti i costi

Quello dei Lions, ovvio. Si stanno impegnando così tanto per raggiungerlo (batterlo non possono, ahimè per loro…) da aver compiuto un altro decisivo passetto raggiungendo quota 0-11, e le possibilità di vincerne una sono diventate pericolosamente vicine allo zero. A meno che gli Steelers, all’ultima di campionato, non abbiano già in pugno la qualificazione ai playoff e decidano di far riposare i giocatori di prima fascia.

Difficile vincere contro chiunque se la linea offensiva gioca come peggio non si potrebbe permettendo continuamente che i quarterback vengano colpiti duramente con la conseguenza di infortuni che si ammassano uno dopo l’altro, il continuo intercambiarsi di registi non permette all’attacco e tantomeno ai ricevitori di ritrovare la stabilità necessaria perché ogni sacrosanta domenica c’è un aggiustamento nuovo da fare o si rende necessario studiare le abitudini di un quarterback che si comporta esattamente all’opposto del precedente, e persino il gioco di corse – che rappresentava il fiore all’occhiello della prima parte di campionato – è ora sceso negli abissi Nfl per rendimento complessivo.

Identificare un’area di intervento è assai complicato dato che la difesa è la penultima di Lega per punti concessi, e le yard fioccano sia contro i passaggi che contro le corse. L’attacco è sostanzialmente immobile e nelle ultime tre partite è sin troppo eloquente il dato che vede il reparto segnare 8.6 punti di media, e solo in due delle undici esibizioni dei Browns la squadra è rimasta pulita da turnover, che sono altrimenti giunti in quantità industriali. Persa l’occasione dell’anno (sconfitta per 28-31 contro i malmessi Jets), non resta che provarci contro dei Bengals in annata-no e probabilmente privi di A.J. Green (certamente di Bernard, finito in injured reserve), o sperare che San Diego alla penultima di campionato decida di sprecare un altro vantaggio. Di Pittsburgh abbiamo già detto. E l’impresa è sempre più complicata.

I Lions e Matt Millen si stanno già sfregando le mani.

8 – Minnesota, il problema è sempre l’attacco

I Vikings sono tornati alla vittoria dopo una parte centrale di campionato a dir poco difficoltosa, passata a risolvere numerosi problemi perdendo l’aura di squadra durissima da battere nonostante le assenze. I punti segnati mentono in parte, perché sarebbe necessario distinguere quanto prodotto dal reparto offensivo in sé separandolo da tutti gli aiuti arrivati da difesa e special teams, che responsabili di due o tre vittorie lo sono stati senza ombra di dubbio.

Era un discorso valido per un opener dove Minnesota aveva vissuto il lusso di ben due touchdown difensivi per avere ragione dei Titans, il concetto vale ancora oggi dopo l’affermazione contro Arizona, il cui 30-24 finale non sarebbe mai pervenuto senza il contributo di Xavier Rhodes (ritorno di intercetto spettacolare, 100 yard!) e di Cordarelle Patterson, che un ricevitore forte non lo è mai diventato, ma un ritornatore letale lo è sempre stato. E’ stata un’altra gara ordinaria per i Vikings, fatta ovvero di cifre offensive sotto l’ordinario ed altri due sack portati a casa da Sam Bradford, a conferma dei problemi dei cinque che gli stanno davanti.

Le due segnature di cui sopra hanno letteralmente salvato i Vikes da una potenzialmente disastrosa quinta sconfitta consecutiva, dato che l’attacco ha fornito solamente 16 primi down, il gioco di corse è stato tutt’altro che un fattore, ed il braccio del buon Sam è riuscito a scrivere solamente 169 yard. Dopo un inizio entusiasmante il reparto si è nuovamente spento dietro serie di giochi infruttuose trascinandosi per tutto un secondo tempo dove il meglio che si è riusciti a fare sono stati tre miseri punti, fortunatamente per Minnesota l’inerzia della gara era già abbondantemente pro-porpora dopo che Patterson aveva aperto il secondo tempo con un’altra delle sue prodezze di special team, altrimenti la gara sarebbe potuta terminare diversamente.

In ottica playoff, non è affatto una buona notizia.

9 – Dallas va come un treno!

dez-bryant-cowboys-ravensAbbiamo oramai fugato quasi ogni dubbio, i Cowboys hanno messo su una squadra possente sotto ogni punto di vista e battono ogni avversario con una puntualità mostruosa, mettendo in campo una superiorità magari non clamorosa, ma certamente tangibile dato che sistematicamente si trova il modo di effettuare le mosse corrette che servono per vincere e lo si fa contro ogni sorta di avversario.

Dato che sul campo non serve dimostrare molto altro – e pure la difesa si è presa le proprie rivincite – a questo punto la faccenda si fa mentale. La striscia di nove vittorie consecutive – il meglio di sempre per la franchigia nonostante tutti i grandi nomi passati di qui negli anni – non a caso è accompagnata da un’altra streak tutt’ora viva e vegeta, ovvero le otto gare consecutive in cui l’attacco ha fatto registrare più di 400 yard di total offense, un dato che fa riflettere moltissimo se tenuto conto che quarterback e running back sono alla prima esperienza Nfl, e che Dez Bryant, la chiara superstar del pacchetto ricevitori, ha saltato qualche partita per infortunio.

I Cowboys non sono i Patriots, non danno l’impressione di poter facilmente dominare ogni confronto, sono piuttosto un tipo di squadra che si crea il vantaggio giusto, e se lo gestisce con una concretezza impressionante. Con un po’ di pazienza Jason Garrett è riuscito a scardinare pure l’ottima difesa dei Ravens, che ha reso la vita molto difficile ai texani per tutti i primi trenta minuti, Zeke Elliott non ha perso fiducia in se stesso nemmeno dopo una serie di tentativi capaci di generare solo una o due yard riuscendo ad infilare qualche guadagno più consistente sudandosi ognuna delle 97 yard racimolate alla fine, e la connessione tra Prescott e Bryant non è mai sembrata così felice in precedenza, quando il chiassoso wide receiver pareva addirittura escluso in parte dal piano di gioco.

Ora ogni avversario cercherà di abbattere Dallas, che seppur non imbattuta è pur sempre la prima della classe, quella che dà invidia e fastidio a tutti quanti. Con questa linea offensiva, con un quarterback al riparo da pressione e da errori grazie alla potenza del backfield, e con una difesa rinata i Cowboys possono definitivamente pensare in grande. Se durante le prime giornate pareva tutto un caso, oggi c’è solo una certezza: i favoriti per arrivare al Super Bowl, nella Nfc, sono assolutamente loro, e pensare ad un potenziale Championship contro Seattle ci fa già venire l’acquolina in bocca.

10 – I Raiders sanno vincere sotto pressione

I Raiders hanno lo stesso identico record dei Patriots. Lo hanno maturato in maniera diametralmente opposta, perché se tutti conosciamo benissimo la capacità di sigillare le partite anche dopo tre quarti da parte di Tom Brady e della sua banda di minacce offensive, dobbiamo pure riconoscere che Oakland ha sviluppato un’interessante attitudine alla vittoria sul filo di lana, segno che non ci si perde d’animo e che Carr è propenso a dare il meglio quando la palla scotta, il che rappresenta la miglior notizia che la franchigia potesse ricevere.

Isolando le statistiche di Carr conteggiando solo il quarto periodo di ogni partita del 2016, emergono 9 passaggi da touchdown ed un solo intercetto, e sin dalla scorsa stagione il medesimo ha portato a termine otto drive decisivi per la vittoria finale, uno solo in meno del primo in classifica di questa particolare statistica, Matthew Stafford, avanti solo per una lunghezza. Tale contabilità include l’ultima impresa del quarterback nero-argento, completata nel terreno di Mexico City contro Houston, con il punteggio ancora una volta a sfavore e 14 punti da recuperare con undici minuti sul cronometro. Ancora una volta Carr si è presentato puntuale all’appuntamento, costruendo un big play spezza-schiena con la complicità del fullback Jamize Olawale (e della difesa dei Texans…) per impattare il punteggio a quota 20, e trovando successivamente Amari Cooper – precedentemente cancellato dal campo – per la meta decisiva.

E’ la dodicesima volta in carriera che Carr lancia un touchdown del sorpasso nel quarto periodo o nel supplementare, più di ogni altro giocatore Nfl nel periodo preso in esame. Jack Del Rio è sicuramente un allenatore di chiamate audaci, come dimostra il coraggio messo in campo sin dalla prima di campionato contro i Saints dove non andò per il sottile chiamando la conversione da due decisiva a tempo scaduto, ed il braccio che esegue i suoi schemi si è sempre dimostrato altrettanto freddo. La caratteristica tornerà utile anche nei playoff, per i quali i Raiders stanno per staccare un biglietto che andrà a rompere uno dei digiuni più lunghi di questa epoca.

Evidentemente la sfrontatezza serve ancora a qualcosa, nel football americano.

2 thoughts on “Ten Weekly Lessons: Week 11

  1. Stavo ascoltando la puntata di full monday mi sorge spontanea la domanda che spero riuscirai a girare ai tuoi colleghi della trasmissione che io non o capito come contattarli….parlano con sicurezza di Detroit ai play offs… ma I Viking dove li mettiamo? Sono convinto vhe minnesota vincerà la division grazie

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