1 – I Raiders non sono un miraggio

latavius-murrayLe scusanti le abbiamo provate più o meno tutte, ma è chiaramente ora di rendersi conto che i Raiders sono for real. Prima di emanare sentenze qualunquistiche abbiamo atteso la metà di questa stagione per vedere se i ragazzi di Del Rio avrebbero superato anche i test seri, quelli che servono a determinare la vera consistenza di una squadra, ed Oakland sta giustificando la sua vetta divisionale al di là di ogni ragionevole dubbio, scacciando il pensiero di aver accumulato tante vittorie solo per aver affrontato avversarie di non grande qualità.

Teniamo in considerazione il fatto che i Raiders perdevano comunque abbastanza puntualmente anche le partite apparentemente più facili, quindi in ogni caso il passo in avanti è stato compiuto. Tanto meglio se si arriva a superare la prova del nove, che negli ultimi tempi in casa Afc West sono sempre stati i Denver Broncos, vuoi per il grande attacco del primo anno di Manning, vuoi per l’enorme difesa dell’edizione dello scorso anno. Sunday Night, occasione ghiottissima per impressionare tutta la nazione e per imporsi su un rivale recentemente insuperabile, e missione compiuta.

Vincere contro Denver nonostante Carr sia stato tenuto sotto le 200 yard su passaggio è una prova di grande maturità, e non solo per questioni di classifica, perché dimostra che questo attacco può mettere in piedi all’occorrenza un gioco di corse molto incisivo usufruendo della validissima rotazione tra Murray, Washington e Richard, aggiungendo un’arma che da lungo tempo non si rivelava essere così tagliente. Eccettuando solamente il brutto touchdown concesso a Kapri Bibbs, una galoppata di 69 yard dopo una ricezione ed una miriade di placcaggi errati, la difesa si è comportata molto bene contro il gioco aereo – altra piacevole novità – concedendo a Trevor Siemian il 27% di conversioni di terzo down aggiingendovi un primo tempo da incubo, ed in ogni caso le 283 yard finali del quarterback risultano pompate dal big play menzionato poc’anzi.

Magari ancora i Raiders non convincono del tutto, ma il motto di Al Davis era “Just win, baby”. Se si vince con questa costanza, di cosa ci stiamo preoccupando?

2 – La Afc West è la miglior Division del football attuale

Restando in tema Afc West, il raggruppamento è decisamente il più solido visto quest’anno analizzando l’andamento delle sue singole appartenenti. Di Oakland abbiamo appena parlato e si tratta di una sorpresa positiva tutto sommato imprevista, e le caratteristiche delle concorrenti ci indicano che la corsa alla vetta potrebbe cambiare proprietario in più di qualche circostanza. I Broncos non possono essere valutati negativamente solamente per il calo cui abbiamo assistito a seguito del termine della loro imbattibilità, perché la consistenza ci pare comunque intatta a prescindere dall’infortunio che ha tolto dallo scenario il prezioso contributo di C.J. Anderson, in quanto l’anno scorso coach Kubiak ha sempre trovato il modo di far quadrare le cose in vari modi, comprendendo tutti quei momenti in cui il gioco di Anderson medesimo pareva intrappolato in tante corse senza sbocchi. Ed alla fine dei conti, una difesa del genere non può mai essere sottovalutata, soprattutto quando è in grado, proprio come un anno fa, di vincere le partite da sola.

I Chiefs sono un caso a parte, molto altalenanti all’inizio ma in grado di raddrizzare la situazione inanellando quattro successi consecutivi, l’ultimo senza Charles e Smith in contemporanea con il primo costretto alla injured reserve ed il secondo appiedato dal protocollo concussion della National Football League. Per carità, contro Jacksonville di questi tempi vincerebbe chiunque eccetto i Browns, tuttavia Kansas City pativa delle assenze di non poca rilevanza pescando dalla profondità del roster per mantenersi a galla, affidando il ruolo di running back titolare a West a seguito dell’aggiuntiva assenza di Spencer Ware, ed contando sul redivivo Nick Foles, che abbiamo rivisto in azione dopo i colossali disastri commessi con l’uniforme dei Rams. La chiave della squadra di Andy Reid è sempre la stessa, efficienza difensiva e pulizia offensiva, fino a che il numero dei turnover viene tenuto al minimo i Chiefs sono una squadra che non ha problemi a vincere, e lo stanno dimostrando ancora una volta.

San Diego non deve necessariamente essere tagliata fuori dai discorsi, difficile che la squadra faccia i playoff ma va tenuta in considerazione per il fastidio che può fornire alla concorrenza, è una compagine ondivaga, che può essere limitata in singola partita dai suoi stessi errori, ma che può altresì esplodere senza preavviso alcuno. Non dimentichiamo che i Chargers sarebbero posizionati anche meglio di come ci racconta la classifica se due o tre partite fossero state gestite meglio.

3 – A Philadelphia urgono ricevitori

Qualcosa a Philadelphia si è inevitabilmente inceppato, come testimoniato dal record di 1-4 ottenuto al ritorno dalla bye week, e l’involuzione più evidente è senza dubbio quella del reparto offensivo. Carson Wentz dopo le prime tre ottime partite ha cominciato ad accumulare turnover, la linea offensiva ha giocato complessivamente bene ma concesso qualche sack di troppo nell’ultimo mese, ed il settore ricevitori è chiaramente penalizzato dalla semi-totale assenza di talento puro, una totale delusione se andiamo ad escludere l’eccezione rappresentata dall’ottimo Jordan Matthews.

Il wide receiver proveniente da Vanderbilt ha lasciato cadere qualche pallone di troppo ma è l’unico ad aver dimostrato di poter effettuare big play nei momento in cui la partita lo richiede, mentre il resto dello schieramento è semplicemente insufficiente. Josh Huff non ha mai fatto nulla per dimostrare di essere qualcosa di diverso dall’ennesimo e poco utile collegamento tra Oregon e Chip Kelly ed ora è stato lasciato per strada, Nelson Agholor non sta certo rispettando le attese, ed il rigettato Dorial Green-Beckham, salutato dai Titans, non gioca con la fisicità necessaria. Non aiuta la stagione di Zach Ertz, infastidita da piccoli infortuni che ne hanno minato il rendimento, e la situazione nel suo complesso rappresenta la prima area di miglioramento di tutto il roster considerati i passi da gigante perfezionati dalla difesa sotto le cure di Jim Schwartz.

Le voci alla trade deadline erano molto insistenti e fantasiose, ma se ci fosse stato un piccolo fondo di verità e si fosse riusciti a portare a casa qualcosa, forse sarebbe stato meglio per tutti.

4 – A Pittsburgh serve un Big Ben in salute

ben-fBen Roethlisberger dovrebbe essere nominato Mvp della Lega solo per l’importanza che riveste per la sua squadra, tenendo fede al concetto secondo il quale detraendo un giocatore ed osservando l’andamento generale si scopre l’importanza o meno del medesimo.

Gli Steelers delle ultime tre settimane non sanno più come vincere, ed ormai l’argomento infortuni a Big Ben è una costante che la squadra si trova a dover risolvere almeno una volta a stagione con tutte le conseguenze negative del caso. Per il presente periodo parliamo di un campionato che in precedenza aveva posto Pittsburgh al top della Afc per continuità di risultati, un momentum rovinato dall’infortunio fortunatamente non grave al ginocchio di Ben riportato contro Miami, squadra che ha segnato la virata negativa di tutta l’inerzia raccolta in precedenza.

Ciò che più risulta preoccupante è il fatto che la squadra di Mike Tomlin non solo ha perso, ma è stata letteralmente maltrattata. La sconfitta contro i Dolphins è stata pesante ed è giunta contro una compagine in netta crisi di risultati, contro i Patriots non c’erano grosse aspettative dato il record negativo di Landry Jones in sostituzione del titolare ed alla fine il non roseo pronostico è stato rispettato, e l’accesissima rivalità contro i Ravens non ha dato segnali incoraggianti dimostrando che il recupero di un Roethlisberger in palese difficoltà a livello di mobilità non andava accelerato così fortemente. Non confondano le statistiche, le 264 yard con cui Ben ha concluso la partita non sono del tutto veritiere perché le cifre si sono esponenzialmente gonfiate nel quarto conclusivo (all’inizio dell’ultimo periodo si parlava di 95 yard, un intercetto e zero punti a referto).

Se poi, oltre ad un quarterback a mezzo servizio ci si mette anche una difesa in grado di contenere Le’Veon Bell, l’unico in grado di sorreggere la baracca in assenza del numero sette in nero, allora la notte si fa davvero fonda.

5 – I Rams stanno sprecando un altro campionato

Coloro che furono i St. Louis Rams hanno effettuato delle scelte dirigenziali lodevoli negli ultimi cinque anni, ma i risultati dicono che il talento selezionato attraverso il Draft, o almeno parte di esso, non ha inciso come poteva. E’ dunque inevitabile pensare che si siano sprecate delle risorse importantissime, le potenzialità la squadra le ha dimostrate in abbondanza, ma è completamente mancato il risultato finale.

Nemmeno in questa stagione sembra che arriverà il salto di qualità sperato, perché i Rams, dopo che l’entusiasmo per il ritorno a Los Angeles ha esaurito il suo effetto, sono rimasti ciò che erano già: una mezza squadra. La sconfitta di domenica contro Carolina è l’ennesimo spreco di una storia ormai troppo lunga, sono diventate troppe le domeniche in cui la difesa ha sorretto da sola il peso della squadra dando infinite possibilità all’attacco di combinare qualcosa, senza che poi accadesse nulla. Se i Rams sono stati capaci di tanto contro l’attacco dei Panthers, e parliamo di 13 punti al passivo, Jonathan Stewart contenuto sotto le 50 yard, un solo touchdown per Cam Newton e 5 sack, significa solamente che il loro reparto difensivo vale il top della Lega.

Con una difesa così vincerebbe chiunque, ma non Los Angeles. Non con l’ultimo attacco Nfl per primi down, per punti totali, per percentuale di punti segnati rispetto alle possibilità avute. Non con Case Keenum titolare, già a quota 11 intercetti, e se davvero Jared Goff non è ancora stato visto in campo dopo un disastro così evidente, allora le domande da farsi sono davvero tante. E scomode. Non è ancora pronto a dirigere un attacco professionistico? Jeff Fisher crede che a 3-5 la stagione possa essere ancora salvata e si affida quindi all’esperienza anziché rischiare di bruciarsi il rookie? La realtà è chiara, e ci dice che con anche solo l’ombra di un attacco decente i Rams avrebbero più volte potuto insidiare la vetta della Afc West, ed invece si sono sempre fermati qualche passo prima. Essere la bestia nera di Seattle non serve a niente se poi a gennaio il football lo si guarda in televisione.

Hanno accumulato tantissime scelte alte, ma non le hanno capitalizzate come potevano. Al di là di Todd Gurley non c’è un playmaker offensivo segno di tale nome. Difese così, con tanti elementi in grado di incidere, non restano compatte per così tanti anni, per infortuni, età, free agency, e tutto il resto. Ed ecco spiegata la sensazione di spreco.

6 – I Niners sono definitivamente colati a picco

Non avevamo dubbi anche prima di domenica, ma a quanto pare l’esperienza di Chip Kelly sulla panchina dei 49ers è destinata a terminare a breve. Se persino il presunto innovatore offensivo del primo anno a Philadelphia non è riuscito a fare nulla per evitare un deprimente 1-7, allora parte di ciò che fu dev’essere stato fumo negli occhi. Oppure Chip non ha valutato bene il roster che sarebbe andato ad allenare prima di accettare il posto, presumendo che il personale presente potesse adattarsi ai suoi schemi, assumendosi il gravoso rischio di tentare di rilanciare un quarterback come Blaine Gabbert, che aveva già abbondantemente fallito in precedenza, o di poter mettere in campo una squadra di grande qualità come il solo Jim Harbaugh era riuscito a fare nell’epoca più recente. Nulla di tutto ciò.

E qui emergono tutti i retroscena di una dirigenza che si starà mangiando le mani pensando a ciò che ha perduto, perché i risultati parlano chiaro e Harbaugh ha vinto ancora una volta. Aveva già centrato l’impresa di riportare i fan dei Niners a respirare l’atmosfera del Super Bowl dopo anni di oblio, mentre oggi ha restituito importanza e prestigio a Michigan nel panorama collegiale, quindi se allo scontro si fosse preferita una mediazione tra le parti magari si sarebbe potuta creare una dinastia, d’altro canto unendo talento dei giocatori e grinta motivazionale del coach – oltre ad una filosofia tecnica vincente – i presupposti ci sarebbero stati tutti quanti.

C’è sicuramente da giustificare la difesa, che ha perso clamorosamente i pezzi a seguito di ritiri illustri ed infortuni di tipo semi-terminale (giova ricordare che coppia poteva essere quella formata da Willis e Bowman), un reparto che campeggia mestamente nelle parti basse di quasi ogni categoria statistica, mentre in attacco il rientro di Colin Kaepernick non ha certo cambiato il numero di vittorie, ma ci si domanda ugualmente come abbia fatto un ragazzo così promettente a retrocedere con le stesse tendenze motorie di un gambero dopo aver portato San Francisco così in alto. Forse, alla base, c’è una mal velata mancanza di fiducia nei propri mezzi. Forse Harbaugh motivava così fortemente che tutti davano la vita per lui. O forse i 49ers hanno semplicemente sbagliato tutto e devono correre urgentemente ai ripari.

7 – Detroit sa vincere le partite a stretto scarto

gettyimages-621511160_1478469247965_6861036_ver1-0Le cinque vittorie accumulate sino a questo momento dai Lions portano uno scarto medio di 3.4 punti. Segno che la squadra riesce a rimanere attaccata alla partita, a giocarsela fino in fondo, segno che la difesa pur essendo lontana parente delle migliori della Nfl qualche progresso l’ha compiuto, segno che Matthew Stafford ha imparato a generare ghiaccio dalle vene, continuando a gestire i drive decisivi per la vittoria nel migliore dei modi.

Non era certo una situazione preventivabile. Togli Megatron all’equazione e questa squadra non sarebbe dovuta andare da nessuna parte, ed invece si ritrova ad essere forse più completa di prima, non certo per apporre note di demerito ad un campione con la C maiuscola, ma solo ed esclusivamente perché il numero delle opzioni offensive non è più a senso unico. Ed invece siamo qui, a parlare di una squadra improvvisamente matura, non esente da difetti ma all’attualità competitiva, e capace di portare a casa le partite più combattute che si siano viste in questa stagione. Quando si gioca sul filo di lana, i Lions non mancano mai.

La Grande Risposta Stafford e compagni la stanno fornendo attraverso serie di giochi come quella messa in piedi in tutta velocità contro i Redskins per ribaltare un punteggio andato a sfavore nei minuti conclusivi, senza perdere la testa, oppure lottando contro i Vikings per lo scettro divisionale, strappando loro l’overtime e vincendo con una giocata altamente spettacolare. I Lions non hanno lo straccio di un gioco di corse ma riescono ugualmente aad attaccare con costrutto e se solo avessero gestito meglio una o due partite – dato che lo scarto massimo con cui hanno perso è altresì di sette punti – parleremmo di un posizionamento in classifica addirittura più alto dell’attuale secondo posto nella Nfc North.

Il prossimo passo da compiere è quello di iniziare meglio le partite, in modo da non dover soffrire sempre così tanto sino in fondo. Metterne via qualcuna anzitempo non guasterebbe affatto.

8 – L’operazione di Jimmy Graham è riuscita piuttosto bene

La rottura del tendine patellare del ginocchio non è mai una buona notizia, a maggior ragione se si gioca a football. Nonostante le tecniche rivluzionarie attraverso le quali la medicina ha accorciato i tempi di recupero ci sono sempre mille dubbi sul risultato che un’operazione possa aver sortito e su quale tipo di reazione possa avere su un corpo piuttosto che su un altro.

L’era Graham era cominciata a Seattle con qualche dubbio, il sistema non era lo stesso di New Orleans, Jimmy doveva fare i conti con un playbook maggiormente improntato sulle corse che lo avrebbe visto quale protagonista in un numero significativamente più basso rispetto alla prima parte di carriera, nonostante fosse stato fatto approdare nella Emerald City per fornire un istantaneo miglioramento alla rete di passaggi. Così, prima dell’infortunio critico, il forte tight end aveva concluso le sue undici partite con sole due mete e poco più di 600 yard, cifre che non lo ritraevano più come uno degli esponenti di maggior lusso del suo ruolo, status a cui era certamente abituato dopo i fuochi d’artificio messi assieme con la complicità di Drew Brees.

I dubbi pre-stagionali per i Seahawks non erano pochi: . ce l’avrebbe fatta Graham a rientrare in tempo per la regular season? Sarebbe stato lo stesso giocatore di prima? Sarebbe stato in grado di tornare a mettere su cifre simili a quelle di New Orleans? Tre domande, altrettante risposte affermative. Dapprima l’utilizzo cauto – giusto così – poi un aumento costante dei target fino ad arrivare vicini alla doppia cifra, segno di un maggior coinvolgimento e della conapevolezza che quell’operazione era andata proprio bene, permettendo l’avvicinamento all’utilizzo totale del giocatore. Ed oggi ci ritroviamo con il secondo miglior ricevitore dei Seahawks, il quale nel confronto con Buffalo è tornato dominante come ai vecchi tempi, segnando due mete in singola partita per la prima volta dopo tantissimi mesi.

Viste le difficoltà offensive dei Seahawks, se Graham torna ad essere il giocatore di prima con costanza prevediamo guai seri per tutti.

9 – La situazione dei Packers, è allarmante

Gli uomini di Mike McCarthy sono 1-3 se facciamo partire il computo dallo scorso 16 ottobre, striscia che rischia di compromettere una corsa ai playoff che tutti davano per scontata per la sola presenza in squadra di Aaron Rodgers. Proprio l’attacco sembra essere il principale indiziato di un bilancio in pareggio scomodo se consideriamo il pericoloso equilibro regnante nella Nfc, dove non sono permessi due errori di fila in una corsa così stretta.

Il reparto offensivo quando decide di accendere i motori sul serio somiglia moltissimo a quelli delle passate edizioni, dove il quarterback giocava in maniera robotica e tutti avevano la propria opportunità di segnare e mettere su statistiche, il problema è la costanza. Green Bay è letale solo per tratti di partita, le connessioni tra regista e ricevitori non sono sempre puntuali, i touchdown non mancano, ma nemmeno gli errori ed i turnover, aspetti ancora più pesanti se calcoliamo la totale assenza di un gioco di corse efficiente.

Molta  confusione deriva dalla preparazione del piano di gioco, molto differente di gara in gara dal punto di vista offensivo. Rodgers si è dimostrato più produttivo quando messo nelle condizioni di operare con schieramenti a quattro o cinque ricevitori, un’impresa già titanica di per sè considerate le assenze, ed i buoni risultati si sono visti in un’altra situazione favorita dal regista, un attacco ad alto ritmo in grado di tenere in caldo la precisione del gioco aereo. A volte però McCarthy sembra allontanarsi da questi concetti pur essendo conscio di non possedere il benché minimo gioco di corse, fondamentale per innescare tutto l’armamentario di finte che Rodgers esegue sempre in maniera magistrale, chiamando giochi troppo poco esplosivi, o che non sfruttano le migliori armi che l’attacco possiede. E’ un reparto mozzato, talvolta forzato ad andare contro natura, ed i risultati si vedono sul campo.

Con un bilancio in perfetto pareggio e le rivali di division e conference che scalano le gerarchie mentre i Packers perdono sempre maggiore terreno, la sfida di domenica contro i Titans è già bollata come una gara da vincere per forza, pena la perdita forse definitiva del treno che conduce alla post-season. Ora la pressione rischia di essere schiacciante, soprattutto in un momento dove i Packers non sono più imbattibili in casa.

10 – La scelta di Melvin Gordon comincia a dare i suoi frutti

081316_sdvsten_004Un anno fa le prospettive si erano rabbuiate, d’altro canto oggi nella Nfl i rookie sono chiamati a dare risultati da subito e non interessa più la scusante della mancanza di esperienza, a maggior ragione se si viene scelti molto in alto dopo una carriera collegiale ultra-produttiva.

Il campionato d’esordio di Melvin Gordon è stato un vero e proprio incubo, con un massimo in carriera di 88 yard in singola gara e un dato devastante per un ragazzo che al college, a Wisconsin, aveva segnato valanghe di punti: zero touchdown. Nessuna meta nonostante il suo status di giocatore scelto al primo giro, completamente surclassato da Todd Gurley per la corsa al rookie dell’anno, facendo restare in piedi solo una scomodissima figura di possibile bust da combattere a tutti i costi, l’obiettivo che si era preposto prima dell’inizio di questa stagione.

La motivazione sta dando i suoi frutti, quel career high è già stato ritoccato quattro volte in metà stagione e Gordon, al di là dei numeri, si è rivelato essere il giocatore decisivo che i Chargers attendevano di vedere all’opera per virare in positivo le loro sorti. Quello zero è stato spazzato via a suon di attraversate della linea di meta, ben undici (due su ricezione); le 100 yard, mai passate in precedenza, sono state varcate già in tre occasioni, ma soprattutto il running back ha dimostrato di potersi sobbarcare tutto il peso delle portate (dietro a lui non c’è praticamente nessuno…) senza diminuire in produttività, incidendo in maniera fondamentale in molti confronti. Contro Atlanta è arrivato sfinito alla fine dei regolamentari per poi trovare la forza di contribuire a produrre i tre punti della vittoria grazie ai suoi guadagni sistematici, contro Denver ha registrato quasi 200 yard in due confronti diretti fronteggiando una difesa fortissima, infine contro i Titans sono arrivate ben 196 yard, nuovo vertice di carriera, seconda prestazione consecutiva in tripla cifra.

Il Melvin Gordon che i Chargers sognavano era esattamente questo. Nel suo anno da matricola pensavano di essersi sbagliati. Ora non più.

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