Se avessimo conosciuto questa notizia in tempi differenti, quand’ancora certe sfaccettature intime della National Football League non erano così esposte come lo sono oggi, probabilmente avremmo commentato questo nuovo trasloco dei Rams in maniera del tutto differente, certamente meno maliziosa.

Dopo numerosi tentativi andati a vuoto e costosi progetti elaborati per dare concretezza alle proposte, finalmente la NFL è riuscita nel suo intento di riportare il football americano professionistico a Los Angeles. Bene, dirà qualcuno, giustizia è fatta ripensando alla fine della regular season del 1994, quando la metropoli californiana si trovò costretta a salutare in un solo colpo tutte e due le franchigie ospitate (l’altra erano ovviamente i Raiders), i Rams tornano finalmente nel luogo dal quale erano stati scorrettamente strappati e presto potrebbero essere seguiti da San Diego o Oakland.

Nossignori. Giustizia non è fatta. Ed i fans non sono ingenui come quando si avvicinavano al gioco per le prime volte senza comprendere il business, e le cose andavano economicamente meglio per tutti, facendo passare in secondo piano il fatto che ogni squadra è pur sempre un’azienda di proprietà di gente che vomita dollari a getto continuo.

Lo stadio di Inglewood, la nuova casa dei Rams a partire dal 2019.

Lo stadio di Inglewood, la nuova casa dei Rams a partire dal 2019.

Ora il quadro è molto più chiaro di prima, basta un’occhiata allo svolgimento dei fatti, che più di qualche addetto ai lavori ha definito come inatteso. Forse era invece tutto già prestabilito a tavolino tra il Commissioner Roger Goodell ed una larga parte dell’unione dei proprietari, forse è davvero accaduto qualcosa che ha spostato letteralmente gli equilibri tra le votazioni che hanno avuto luogo nella giornata di martedì, attraverso le quali si doveva stabilire quali proposte accettare. Non sappiamo. Tuttavia, alla fine ha stravinto il progetto di Stan Kroenke ed i motivi non riguardano per niente la restituzione del maltolto nei confronti di quei fan che da più di vent’anni fa si sono visti privare di una franchigia non poi così influente nel territorio losangeleno (ben più affezionato ai Raiders, ma soprattutto alle squadre collegiali).

I motivi sono prettamente economici e si chiamano revenue.

Semplicemente Kroenke e la sua banda hanno presentato l’ipotesi che avrebbe potenzialmente fatto guadagnare di più la Lega rispetto agli altri. Un progetto per il nuovo stadio sito ad Inglewood che comprende tante attività secondarie e ben redditizie, vale a dire una nuova sede per le attività mediatiche della NFL, un nuovo cinema dove proiettare documentari e film riguardanti il football professionistico, tutte attività collaterali che andranno ad incidere positivamente sul conto corrente della Lega e delle altre franchigie che la compongono, questo per il noto concetto che circa un 60% dei guadagni generati dalla NFL, ovvero le sopra menzionate revenue, vengono poi equamente suddivisi tra le varie squadre, portando generosi introiti anche ai proprietari. Che alla fine dei conti hanno solamente fatto la scelta per loro più opportuna, una decisione dove i fan ci hanno solamente perso.

Il progetto per il nuovo stadio di St. Louis.

Il progetto per il nuovo stadio di St. Louis.

Chi esce distrutta da tutta la questione è la città di St. Louis, che si è vista scippare per la seconda volta nella sua storia una squadra di football professionistico. Una città che ha profuso ogni possibile sforzo per tenere la franchigia in loco nonostante le ultime annate non fossero certo andate bene a livello di risultati, questo perché l’attaccamento dei tifosi era tangibile, reale. Una storia d’amore saldata dai gloriosi tempi del Greatest Show On Turf di Warner, Faulk e Vermeil, e di una delle più insospettabili affermazioni al Super Bowl di qualsiasi epoca destinata a terminare nel più triste dei modi nonostante il progetto per un nuovo e modernissimo stadio presentato da una vera e propria task force formata dal Governatore Jay Nixon, un’opera che avrebbe certamente rispettato i canoni richiesti dalla Lega, ma che Stan Kroenke ha largamente ignorato avendo sostanzialmente già deciso di portare la squadra a Los Angeles.

Quando si legge in giro qualche commento da parte di una manciata di proprietari che sostengono che l’accordo di martedì fa felici tutti, forse è il caso di pensare che non sia proprio così. E la parte più debole, rappresentata da quei fan che supportano le squadre in ogni modo possibile, ha perso ancora.

Il sito di Carson, pensato per i Chargers, è stato bocciato.

Il sito di Carson, pensato per i Chargers, è stato bocciato.

Per il momento ha perso anche Dean Spanos, proprietario dei Chargers, davvero speranzoso di vedersi approvato il suo progetto alternativo, che avrebbe riconfigurato la sua squadra a Carson. Ma quelli che dovevano essere i Los Angeles Chargers dovranno attendere – semmai si sposteranno – di capire numerosi aspetti di tutta questa ingarbugliata faccenda, e come contentino è stato dato loro un anno di tempo per farlo, oltre a 100 milioni di dollari (stessa cifra destinata ai Raiders) per provare un nuovo accordo con il sindaco di San Diego. Ma il sogno di Spanos, che avrebbe posto fine a quattordici anni di inutili trattative con la cittadina dove i Chargers risiedono oggi, si è tramutato in un incubo manifestatosi attraverso la bocciatura del suo progetto, che le indicazioni preventive davano per pressoché accettato. Si parla di un cambio repentino di opinione di alcuni proprietari dopo che è stata modificata la modalità di voto, passata da pubblica a segreta, alla faccia della coerenza. Ed ora, ai Chargers non resta che trascorrere i prossimi dodici mesi a pensare se riprendere trattative locali ostiche, oppure se seguire Kroenke a Inglewood, mossa per la quale detengono la precedenza sui Raiders di un Mark Davis che ancora non conosce la futura casa della sua storica franchigia.

Quello che la NFL si ostina a pubblicizzare come un evento positivo continua a proporre risvolti preoccupanti, perché l’analisi degli eventi porta sempre e solo verso una sola direzione. L’ingordigia di una Lega che continua a crescere di anno in anno nonostante la situazione economica degli ultimi tempi e gli occhi a forma di dollaro di proprietari che non sanno nemmeno più dove mettere il denaro guadagnato, hanno dimostrato di andare benissimo a braccetto.

Quando Roger Goodell esegue le sue dichiarazioni di facciata di routine, dove dice che la Lega si preoccupa per i fan in ogni modo possibile, ci viene mal di pancia. E quando Jerry Jones, il proprietario dei Cowboys, definisce Kroenke come un God-sent per la brillantezza del suo progetto, ci viene anche di peggio.

Preferiamo tornare nella nostra ingenuità, e giudicare – seppure a fatica – l’evento come un qualcosa che ricostruisce un legame nato nel 1946, non esattamente vincente ma pur sempre legato a nomi come Chuck Knox ed Eric Dickerson. Sappiamo bene che ai tifosi di St. Louis ciò non importa un fico secco, e avremmo dei legittimi dubbi anche sui futuri potenziali fan, che in questo ventennio di distacco avranno facilmente trovato delle altre passioni da seguire, a maggior ragione dato che già prima non trasudavano un tifo poi così appassionato.

Dopo il Deflategate, un’altra occasione persa dalla NFL per salvare la faccia.

 

 

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