Peyton Manning è uno di quei campioni che sembrano eterni, che ci si attende di veder giocare per sempre. Leggende incontrastate, invincibili, condottieri di squadre che scrivono lunghe pagine di storia della National Football League.

imageL’associazione di idee non cambia, nemmeno dopo l’ennesima uscita di una squadra capeggiata da Manning alla prima partita di playoff. Abbiamo visto giocare, forse per l’ultima volta, una grande icona di questo sport, una figura inconfondibile, uno di quei giocatori che nascono solo una volta ogni tanto. Un maestro che conosce tutti i segreti di questo meraviglioso gioco, un cervello fatto apposta per giocare in maniera eccellente.

Chi ama il football americano al di là dell’affezione per una determinata squadra, negli ultimi due anni ha probabilmente tifato anche per i Broncos, franchigia scelta da Peyton per un ultimo assalto al titolo, una corsa disperata al bis che ci fa venire in mente la lotta contro il tempo che all’epoca venne combattuta da Brett Favre, anch’egli costretto a cambiare uniforme (lui ne cambio’ due) per tentare di assaporare una seconda volta la scalata verso l’Olimpo della NFL. I presupposti per una feel good story tipicamente americana c’erano tutti: la decisione di trasferirsi in Colorado per la presenza di un rispettato quarterback della Hall Of Fame nelle vesti di dirigente, John Elway, un head coach esperto e comprovato nei playoff come John Fox, una squadra complessivamente forte, piena di All-Stars, ulteriormente rinforzatasi – in particolar modo in difesa – a seguito della dolorosa caduta nello scorso Super Bowl contro i terribili Seahawks.

peyton-manning-nfl-divisional-round-indianapolis-colts-denver-broncos-850x560Per questo motivo, dispiace parecchio essere testimoni di una probabile uscita di scena negativa, dato che per campioni di questo calibro ci si auspicherebbe sempre un commiato nel punto più alto della carriera, simboleggiante il giusto premio per la straordinarietà delle imprese compiute. Il che ricorda quello che John Elway visse proprio l’ultima volta che i Broncos vinsero il Super Bowl, per due stagioni di fila, cambiando per sempre l’opinione generale nei prorpi confronti, trasformandosi da incompiuto a indiscutibile vincente.

Pensando alla storia di Elway, scommettiamo che sarebbe stato proprio un epilogo analogo a questo l’ultimo desiderio di Manning prima di appendere il casco al chiodo. Ma il destino, perlomeno fino a questo momento, ha evidentemente pensato a qualcosa di differente.

Al di là delle delusioni portate da una rocambolesca sconfitta contro i Ravens nel Divisional Playoff del 2012 e della scoppola rimediata a New York nella scorsa finalissima dopo una stagione con ben 55 passaggi da touchdown, era comunque chiaro che i Denver Broncos della seconda parte di questa stagione non fossero gli stessi delle prime otto/nove partite, momento nel quale sembravano essere tornati per placare la loro sete di vendetta, mostrando una certa qual dose di onnipotenza footballistica. Manning si era aggiudicato l’esordio in campionato casualmente proprio contro Luck, si era fatto un baffo della difesa di Arizona infliggendo al reparto ottimamente coordinato da Todd Bowles ben 41 punti, aveva distrutto le velleità dei Chargers all’interno della AFC West e scoperto forse per primo le debolezze dei 49ers, impietosamente maltrattati con un altro quarantello.

Da quegli istanti in poi, si è vista solo tanta fatica.

Peyton ha perso per una manciata significante di partite uno dei suoi bersagli preferiti, il tight end Julius Thomas, ma l’aspetto più evidente è stato il suo declino statistico, il che ha portato il coaching staff a pensare di cambiare il piano di gioco per affrontare meglio la seconda parte del cammino. Assieme ai numeri si è abbassato il livello delle prestazioni di Peyton, il cui braccio ha mostrato eccessive stanchezze, ed il peso delle numerose operazioni al collo unito ai 38 anni di età non sono certo stati fattori occorsi in aiuto del grande quarterback. Non si dovrebbe giudicare una situazione solamente dai numeri, ma semmai delle cifre hanno dato una timida indicazione, c’era motivo di preoccuparsi per il fatto che il regista non era praticamente più riuscito a superare le 300 yards su lancio in singola partita, evento occorso in una sola occasione nelle ultime sette apparizioni dei Broncos, che si sono garantiti l’accesso alla post season grazie alla letterale esplosione dell’ennesimo sconosciuto riuscito a fare la felicità del backfield di Denver, CJ Anderson, un lottatore che ha combattuto fino in fondo la sua prima partita di playoff di carriera.

Lo strappo al quadricipite ai danni di Manning emerso dopo la sconfitta contro i Colts non ha fatto che peggiorare una situazione già precaria, immobilizzando un quarterback storicamente lento e poco atletico, per giunta anagraficamente avanzato.

peyton-manning-jonathan-newsome-nfl-divisional-round-indianapolis-colts-denver-broncos-850x560Ora la decisione spetta univocamente a Manning, anche se è necessario sottolineare che le probabilità di ritiro sono già più alte oggi, a soli due giorni dall’ennesima uscita di scena precoce dalla postseason. Basti pensare alla situazione che circonda Denver, alle prese con decisioni di capitale importanza da prendere nel giro di pochissimi mesi.  Un clima di incertezza è tutto quanto serve ad un quarterback che ha forse un solo anno rimasto a grandi livelli per decidere di farla finita con l’agonismo.

L’ambiente è appesantito dalle dimissioni di coach Fox, un fatto non esattamente preventivabile nemmeno a seguito della socnfitta patita domenica, dal fatto che Adam Gase, l’offensive coordinator, sarà intervistato da quelle squadre che oggi non hanno un head coach (a meno che non sia lui a sostituire Fox), nonché dalla situazione di Jack Del Rio, il coordinatore difensivo, sempre più accostato agli Oakland Raiders.

Per tentare l’ultima scalata serve un luogo stabile, con dei programmi già definiti nel breve termine, un aspetto che ha messo i Broncos in difficoltà dall’alto dei suoi numerosi free agent, tra i quali un Demaryius Thomas che esce a testa molto bassa dai playoff dopo una stagione straordinaria, macchiata dai palloni lasciati cadere a terra contro Indianapolis. Denver non sembra essere questo luogo, e questo porta a pensare che Manning, dopo aver effettuato la trafila dei test fisici annuali cui usa sottoporsi, possa seriamente decidere di dire basta.

Avere un nuovo head coach significherebbe dover ricostruire da zero un rapporto di intesa tecnica e di fiducia, e preparare la partita con il terzo offensive coordinator in quattro anni potrebbe portare a problemi dovuti a differenze di interpretazioni dei giochi o del sistema. In assenza di Del Rio, un defensive coordinator riconosciuto tra i top della Lega, la difesa potrebbe subire un’involuzione. Non certo gli ingredienti ideali per un’ultima corsa al titolo.

La offseason di Peyton Manning da qui a marzo sarà la solita. Riflessioni profonde, trattamenti terapeutici per rimettere in piedi il corpo dopo una lunga stagione di botte ed acciacchi, e massaggi per il collo. C’è però l’incognita del recupero dallo strappo al quadricipite, una novità indesiderata, che potrebbe allungare troppo i tempi di recupero e le conseguenti riflessioni che Peyton chiama heart check e desire check, fondamentali per capire se il corpo e cervello sono disponibile a sottoporsi ai rigori di un’altra campagna NFL.

Non resta che attendere momenti più opportuni e rispettare ogni decisione che verrà presa. Anche se, nel fondo del nostro cuore, rimane sempre un lumicino di speranza acceso per godere della possibilità di vedere uno dei giocatori più grandi di ogni epoca tentare di vincere un secondo Super Bowl.

Con Brett Favre ci andò male.

In qualche momento di marzo, sapremo se con Manning ci sarà ancora la possibilità di un epilogo felice.

 

2 thoughts on “Peyton Manning, atto ultimo?

  1. Da grandissimo tifoso dei Broncos, non ho mai amato Peyton, eccellente QB che, tuttavia, è molto sopravvalutato rispetto alle sue doti. Cuore, grinta, capacità di trascinare la squadra nei momenti difficili, impatto nelle sfide decisive, sono tutte caratteristiche che mancano a Manning. Di Elway a Denver ne abbiamo avuto solo uno…

    • P. Manning sopravvalutato???
      Non scherziamo, pur essendo reduce da 4 operazioni al collo e in fase calante è arrivato in una squadra che ha portato al superbowl da assoluto protagonista, facendo elevare giocatori come Decker e J. Thomas, lo stesso K. Moreno, fino ad allora progetto fallito a Denver, ha beneficiato della sua presenza tanto da mettere insieme un’ottima stagione e monetizzarla alla grande (come Decker per capirci).
      Sul superbowl perso poi andiamo a guardare la partita e troveremo tante deficienze, a partire dal coaching staff, per dire che Manning è stato uno dei tanti responsabili,non il solo.
      Ma è più comodo buttare la croce sul bersaglio grosso che chiedersi perchè negli ultimi due anni il “grande” J. Del Rio facesse blitz su blitz al terzo down e puntualmente la pagava carissima, tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente.
      Poi se a un qb 38enne si chede di lanciare 40-50 volte a partita qualcosa a naso non funziona.
      Poi se si vuole giudicare per il numero di superbowl vinti, ok…

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