A volte, è necessario farsi da parte e ammettere semplicemente la verità. I pronostici di pre-stagione sono abitualmente composti seguendo l’andamento del campionato precedente, e bilanciando i giudizi attraverso l’osservazione dei movimenti di mercato più rilevanti. In questo modo, si formano contenders e pretenders, e si comincia il gioco del rispetto delle aspettative, un esercizio che il più delle volte lascia spazio a diverse sorprese, perché solo il campo, alla fine dei conti, può determinare i risultati definitivi, e la disciplina del football americano contiene troppe variabili per potersi lanciare su previsioni certe.

La verità citata in apertura è che gli Arizona Cardinals sono stati snobbati da tutti. Questo a partire dalla loro difficile residenza, la NFC West, ovvero la sede dell’ultimo Vince Lombardi Trophy in ordine cronologico (Seattle Seahawks), del triplo approdo in anni consecutivi al Championship NFC (San Francisco 49ers), delle numerose scelte al draft volte a ricostruire una squadra competetitiva in ottica playoffs (St. Louis Rams). Nessuno, e sottolineiamo nessuno, si è filato più di tanto i Cards, che negli ultimi 35 anni o giù di lì sono stati per il 90% del tempo la barzelletta della NFL, e per il restante una bella favoletta finita male per un soffio, quando Kurt Warner dimostrò a tutti che la magia della sua carriera non era ancora terminata, salvo trovare la beffa dell’ultimo minuto per mano di un certo Big Ben e del suo amico Santonio Holmes.

Bruce Arians e Steve Keim

Bruce Arians e Steve Keim

I netti progressi dei Cardinals targati Bruce Arians sono stati sottovalutati per la mancata partecipazione ai playoffs da parte di un team che ha terminato, in una division difficilissima, con un record di 10-6, ottimo, ma non sufficiente per strappare una qualificazione alla Wild Card. I rivali divisionali di San Francisco avevano concluso con due vittorie in più, e nel computo della NFC i Saints si erano presi l’ultimo posto disponibile grazie al loro 11-5, in un meccanismo spesso ritenuto sbagliato che aveva tenuto in caldo un posto di rilievo per dei Green Bay Packers fermi a quota 8-8, ma promossi di diritto in qualità di vincenti del loro raggruppamento.

Arizona sta invece giocando oggi la stagione della vita costruendo sui successi di quel silenzioso 10-6, e non sembra fermarsi davanti a nessuno.

Ancora una volta, le leggi non scritte del football americano stanno dando ragione a chi opera meglio degli altri a livello organizzativo. Sicuro, c’è da annoiarsi a leggere fino alla nausea una frase come questa, ma non si può nascondere il come tutte le squadre che hanno vinto recentemente il Super Bowl o ci siano quanto meno arrivate vicino, possiedano una struttura organizzativa in grado di prendere eccellenti decisioni, e conoscano perfettamente che cosa serva ad un roster per vincere con costanza a questi livelli.

Steve Keim, general manager, e Bruce Arians, head coach, sanno bene come far funzionare una squadra, ognuno per le competenze del ruolo di ciascuno, e conta molto il fatto che si siano, nel tempo, fatti la giusta esperienza ricoprendo cariche meno importanti rispetto a quelle che entrambi rivestono oggi, accumulando l’esperienza necessaria per fare strada, rubando qualche trucchetto quà e là da quelli che sono stati i loro superiori, e mischiandolo opportunamente al proprio credo.

Keim, in particolare, ha assemblato un roster eseguendo delle decisioni che pochi altri avrebbero preso, le mosse di mercato dei Cardinals non sono certo state tra le più pubblicizzate, ma non per questo non sono state efficaci. Sembra quasi una contro-tendenza, in tempi dove siamo oramai tutti abituati alle luci, spesso inopportunamente abbaglianti, del Draft e di tutti quei sorrisi effettuati da ragazzi che credono di avere il destino del mondo nelle loro mani capaci, fuorviati dal loro status di first rounders senza aver mai trascorso un minuto in un training camp NFL, solo perché abituati a dominare dai tempi della High School e del College.

Arizona ha fatto un qualcosa che non sembra nemmeno tanto complicato: ha preso giocatori studiandone a fondo le relative caratteristiche, ed ha plasmato gli schemi offensivi e difensivi sulle qualità dei singoli – non il contrario – senza permettersi il lusso di sbancare il mercato sganciando milioni dollari al primo free agent ghiotto che si fosse reso disponibile, e né hanno effettuato avventati movimenti per scalare le posizioni al Draft, cercando di catturare il super-talento collegiale del momento.

Giudicare correttamente il talento al di là del suo apparente valore può fare tutta la differenza del mondo, in qualche caso condurre anche al Super Bowl.

Andre Ellington

Andre Ellington

Significa dotare il backfield, una delle aree più problematiche delle recenti edizioni dei Cards, di un elemento come Andre Ellington, un corridore molto dinamico sceso sino al sesto giro 2013, che non raccoglierà mai le statistiche di un Arian Foster, ma che è utilissimo per quelle che sono le intenzioni offensive di questa squadra. Ellington difficilmente sarebbe titolare altrove, così come tutta la batteria di running backs di Arizona parrebbe sulla carta improbabile, dato che dietro allo starter figurano contribuenti occasionali ma dannatamente efficaci come il fullback Robert Hughes, preso dalla strada un anno fa, ed il secondo anno Stepfan Taylor, arrivato dalla stessa tornata di scelte di Ellington, solo un giro prima di questo (il quinto) a dimostrazione del fatto che il Draft non finisce una volta che le superstar più pubblicizzate si sono già accasate. Significa spendere un terzo giro per uno sconosciuto come John Brown, da Pittsburgh State, e farne il nuovo wide receiver in grado di trasformare i lanci profondi in touchdowns.

Vuole anche dire rifornire una difesa che in troppi detrattori avevano smantellato ancora prima che si mettesse piede in campo, date le perdite in free agency di Karlos Dansby, la macchina tutto-fare di quel reparto, di Daryl Washington, l’inside linebacker del futuro sospeso per l’ennesima volta, di John Abraham e Darnell Dockett per infortunio, un reparto che senza questi protagonisti era dato per spacciato.

E reparto che invece ha migliorato di un punto a partita la media passiva rispetto al 2013 (da 20 a 19 punti concessi), intercettato 15 palloni (secondo miglior risultato dietro a Niners), e concesso un solo touchdown sommando i secondi tempi delle ultime tre partite  usufruendo dell’abile mix tra scelte alte e non.

Tyrann Mathieu, The Honey Badger

Tyrann Mathieu, The Honey Badger

Keim ha portato in città Deone Bucannon, primo giro non troppo pubblicizzato che viene utilizzato da safety, ma che si dispone da inside linebacker in determinate situazioni tattiche giocando un ruolo molto simile a quello che era di Washington. Ha rubato Tyrann Mathieu al terzo round del 2013 scommettendo sulla sua volontà di redimersi da un finale di carriera collegiale disastroso per affidabilità di carattere, ed ora l’Honey Badger sta ripagando in maniera straordinaria, allineandosi in qualsiasi punto del campo gli venga richiesto in quelle che sono facce sempre diverse da mostrare agli attacchi avversari per confonderli. Ha preso giocatori come Tony Jefferson, snobbato da tutta la NFL in uscita dal college, permettendo ad Arians ed al suo staff di valorizzarli fino a vederli diventare titolari, e firmato i veterani giusti sul mercato degli ultimi due anni, portandosi a casa talenti come Jerraud Powers, il quale sarebbe titolare in metà delle altre franchigie e che qui è il terzo corner dietro alla fantastica coppia formata da Patrick Peterson e Antonio Cromartie.

Ogni singolo defensive back di questo roster può giocare molto bene a uomo, un fatto forse irripetibile altrove. Ed ancora ci si chiede come faccia Arizona ad avere la miglior secondaria NFL in questo preciso momento.

Il genio dietro a tutta questa operazione volta alla continua ricerca del mis-match perfetto è Todd Bowles, fresco fresco di rinnovo contrattuale e destinato ad essere richiesto da tutte quelle squadre che a fine anno cercheranno il loro prossimo capo-allenatore. Lui si è inventato di scrivere dei piani partita sempre diversi tra loro, utilizzando del personale differente tra una gara e l’altra, puntando sulla qualità dei suoi uomini in copertura per permettere al proprio fronte e ai blitzers di arrivare a mettere pressione al quarterback. Sua è la responsabilità per il successo di giocatori dati per finiti come Tommy Kelly, defensive tackle che ha trovato una seconda giovinezza, Larry Foote, che dai tempi degli Steelers non sentiva questo tipo di entusiasmo attorno a sè, o Frostee Rucker, defensive end che i più attenti ricorderanno a Cincinnati e Cleveland, il quale mai si era sentito così a suo agio con un coordinatore difensivo nei suoi otto anni da professionista. Tutti piccoli e sottovalutati pezzi di una difesa che si permette lussi come quello di tenere gente come Stafford a 186 yards e zero touchdowns.

Gli Arizona Cardinals insegnano tantissimo, alla NFL di oggi.

Ricordano una volta di più che il talento inserito correttamente nel complesso del macchinario fa funzionare tutto, e che ogni decisione presa deve essere oculata, sensata nei confronti di ciò che sono le proprie idee. Insegnano che non importa quanto la stampa o il pensiero generale creda in te, quando tu credi fermamente in quello che fai, riesci quasi sempre ad arrivare dove vuoi, salvo eventi imprevisti che non si possono calcolare a priori.

Solo a Bruce Arians è saltato in mente di credere in Carson Palmer, quando la carriera del quarterback sembrava finita da un pezzo prima del suo ultimo devastante infortunio. E chi mai avrebbe scomesso su Drew Stanton e la sua capacità, nonostante gli errori commessi, di portare a casa vittorie? O che con il terzo quarterback in campo, il rookie Logan Thomas, i Cardinals non avrebbero poi sfigurato così tanto contro i Denver Broncos, gli unici ad averli battuti in questa caldissima stagione?

Drew Stanton

Drew Stanton

E solo Arians, apparentemente, sembra convinto di poter vincere il Super Bowl casalingo con questa squadra di anti-divi. Il 9-1 dei Cardinals, che stacca di ben tre partite 49ers e Seahawks nella NFC West, sta a dimostrare che nel caldo del deserto, ognuno è convinto di quello che sta facendo. L’head coach ha chiesto ai suoi giocatori di non permettere a nessuno di prendersi il loro spogliatoio durante la sera del Super Bowl. Secondo lui i suoi saranno ancora lì, a cambiarsi nello stesso posto di sempre. E a sollevare il trofeo più prestigioso di tutti davanti al pubblico di casa.

E se questa previsione verrà rispettata, nel già rumoroso University Of Phoenix Stadium, ci sarà una bolgia che nemmeno a Seattle hanno mai sentito…

 

 

 

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