Joe Flacco  Super Bowl MVPChe storia quella di Joe Flacco, l’ennesima di questo magico mondo del football, nel quale in una sola notte, in appena sessanta minuti, salvo interruzioni, puoi cambiare per sempre il corso delle tue stelle, invertire il tuo destino, ed entrare nell’olimpo di quei grandi che hanno alimentato le leggende dello sport americano per eccellenza.

Una storia che ancora una volta sembra una favola a lieto fine, e che addirittura, per l’occasione, corre parallela con un’altra, quella dell’epilogo strappalacrime di Ray Lewis, che in diciassette stagioni vissute con quella divisa dei Ravens, diventata quasi una seconda pelle, addosso, è riuscito a mettersi al dito due anelli e regalare altrettanti Super Bowl a Baltimore.

Storie incredibili, che mescolano alti e bassi della vita come dello sport, con un rude difensore trentottenne che se non fosse diventato una star del football probabilmente sarebbe divenuto il leader indiscusso di qualche gang, e un ragazzone del New Jersey che ha camminato lontano dai riflettori, scegliendo un football minore a livello universitario, prima di raggiungere una ribalta meritatissima, al termine di un sentiero tortuoso e pieno di insidie.

Una via irta, a tratti inospitale, in cui l’hanno fatta da padrone le critiche e le bocciature, addirittura caratterizzata da una mancanza di fiducia, in parte, dallo stesso general manager di quei Ravens che ora faranno di tutto per legarlo a doppio filo alla loro franchigia, dopo averlo quasi messo sulla graticola la scorsa primavera, quando risposero più volte picche alla richiesta di un rinnovo contrattuale, attribuendogli un valore ben più basso di quello ritenuto congruo dal suo agente.

Valore che indubbiamente è lievitato nelle ultime ore, ancor più con l’ombra della free agency alle porte e con la lunga fila di squadre che necessitano di un quarterback e farebbero carte false per avere il numero 5, fresco vincitore del Super Bowl, in cima alla propria depth chart.

E pensare che solo un mese fa in tanti lo consideravano il principale ostacolo per permettere a Baltimore di vincere il secondo Lombardi Trophy della sua giovane storia, non curanti di statistiche che parlavano chiaro e che lo mettevano in luce come uno dei pochi quarterback nella storia della NFL a riuscire a centrare l’obiettivo playoffs in tutte le stagioni, a partire da quella da rookie.

Per i suoi detrattori contavano maggiormente le meste uscite di scena nella postseason, nonostante anche qui il record gli desse ancora una volta ragione, con 5 vittorie all’attivo contro 4 sconfitte, lo stesso numero di lose rimediate nel finale di stagione, dalle quali, chi l’aveva messo sulla graticola, traeva importanti conferme per avvalorare la propria tesi.

Una tesi sbugiardata e fatta a pezzi da quattro match di playoffs giocati in modo impeccabile, con 73 passaggi completati su 126, per 1,140 yards lanciate, 11 TD pass e nessun intercetto, nei quali ha messo alla berlina due mostri sacri quali Peyton Manning e Tom Brady dopo aver spazzato via il futuro della lega, Andrew Luck, eliminato dalla corsa verso il grande ballo al primo step, in quel turno di Wild Card che ha sempre portato bene all’ex prodotto di Delaware.

Imbattuto fin qui nel primo appuntamento di postseason, in molti si aspettavano che sarebbe nuovamente crollato nei turni successivi, complice anche il terribile calendario che attendeva Baltimore, sempre costretta a giocare in trasferta e costantemente impegnata ad impersonare il ruolo di sfavorita per eccellenza nei match che ha affrontato, da Denver fino a New Orleans, dove da indiscussa underdog ha trionfato in un Super Bowl scoppiettante e ricco di colpi di scena.

Partita caratterizzata dall’inizio superlativo dei Ravens e soprattutto di Flacco, che con 3 touchdowns nel primo tempo ha annichilito i Niners e creato un consistente divario, con il quale ha potuto amministrare nei secondi trenta, limitandosi a controllare il cronometro e tenere botta all’arrembate rimonta avversaria.

Comeback inaspettata che, ha confessato poi il protagonista indiscusso del match, lo ha portato a chiedersi più volte come fermare gli avversari, quando pensieroso, al termine di ogni drive offensivo, si sedeva sulla panchina sulla sideline e, trovandosi a fissare il tabellone, si domandava se “Non c’è modo; non c’è modo di finirla qui”; una fine poi arrivata, nella maniera più lieta e dolce possibile.

Un Happing Ending inatteso, ma sperato e sognato a lungo da tutta Baltimore, stretta attorno ad una squadra che lo stesso Flacco ha definito “Costruita ad immagine e somiglianza della città”, capace come quest’ultima di dare tutta se stessa e rendere al massimo quando diventa necessario, fondamentale, quando è lo stesso momentum a chiedertelo.

E d’altronde, così è stato, come la metropoli che dal 1996 li ospita, dopo la fuga nottetempo da Cleveland, i Ravens hanno brillato quando contava di più, quando non esisteva altra strada, altra scelta, se non quella tra il vincere o il “morire”, abbandonando i sogni di gloria e lasciando incompiuta la straordinaria epopea di Ray Lewis, che senza toccare quei limiti di eccellenza a cui ci ha abituato in passato, è stato sicuramente una ragione in più per incitare Flacco e compagni a dare il massimo, e forse ancor di più.

Proprio il numero 52, tra gli altri, ha avuto parole di elogio per il compagno, annunciando a tutti gli States che “Sono un fan di Joe Flacco; sono stato un fan di Joe Flacco”, come a dire di non aver mai dubitato, nemmeno per un solo secondo, delle qualità del suo quarterback, e men di meno nei suoi momenti più bui, quando le critiche arrivavano da tutti i lati e i suoi teammates non gli hanno mai fatto mancare il loro affetto.

“Ha preso un sacco di critiche nella sua carriera, per qualsiasi motivo, anche il più stupido, ma noi abbiamo sempre creduto in lui; abbiamo conosciuto che tipo di giocatore è, che persona è, e l’ha dimostrato al mondo intero: è salito sul palcoscenico più importante ed ha eseguito.”

Parole e musica di Dennis Pitta, finalizzatore del secondo TD pass lanciato da Flacco domenica, nella gioiosa notte di New Orleans, dove il ragazzo venuto dal New Jersey, passato per il Delaware e quella Ivy League che fu una delle culle del football, ha dato la svolta definitiva alla sua carriera, entrando di diritto tra i grandi di sempre e meritandosi uno scranno a fianco di Tom, Ben e Peyton; da oggi, chi vorrĂ  puntare al titolo AFC, dovrĂ  fare i conti anche con lui.

2 thoughts on “Flacco: da brutto anatroccolo a Super Bowl MVP

  1. che dire, anche io sono sempre stato “freddino” con Flacco, si ottime statistiche, ottimi risultati, sempre ai Play-off ma alla fine….. non un vincente…. ecco questo ora è stato pienamente sfatato…. è un vincente e se ne sono accorti tutti. Era solo questo che gli mancava… e se qualcuno a Baltimore non c’aveva creduto, penso che la carte del free agent se la giocherĂ  da… scapolo!

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