Un'altra stagione deludente per Norv Turner e Philipp Rivers

Un’altra stagione deludente per Norv Turner e Philipp Rivers

Lo chiamano Black Monday. E’ il lunedì che segue immediatamente l’ultima giornata di regular season. Il giorno in cui i proprietari e dirigenti di molte franchigie NFL  tirano le somme e decidono se prolungare, o interrompere, un progetto tecnico.

E’ il giorno in cui molti allenatori e GM vengono congedati con un semplice termine: fired. Lo scorso anno furono ben 7 i team che presero questa drastica decisione, e 2 di essi non erano neppure riusciti ad aspettare la fine della stagione.

Abbiamo di fronte l’ultima domenica di football (per almeno 20 squadre su 32), il Black Monday è quindi alle porte. Saranno tante le piazze su cui saranno puntati i riflettori. Tra queste, sicuramente, non potrà mancare San Diego.

Eh sì, perché i Chargers di coach Norv Turner sono stati protagonisti di un’altra annata fallimentare. Il record attuale recita 6 vinte e 9 perse, la loro corsa alla postseason è terminata ormai un mese fa. Fuori dai Playoff per il 3° anno consecutivo, il che è una notizia se si pensa che i Chargers sono stati uno dei team protagonisti assoluti dell’ultimo decennio.

Turner è al 6° anno sulla panchina di San Diego. Fu chiamato dal Front Office  californiano per aiutare il team a fare quell’ultimo, decisivo, passo verso la gloria. Quello che sotto la guida di Marty Schottenheimer sembrava irraggiungibile.

E dire che il buon Marty, in quel di San Diego, aveva egregiamente svolto la sua parte, ricostruendo, assieme al GM A.J.Smith una franchigia che, dopo la sua unica apparizione al SuperBowl della storia (1994, una netta sconfitta 49-26 contro gli stellari Niners di Steve Young) si era sciolta come neve al sole ed era tornata ormai una frequentatrice abituale dei bassifondi NFL.

Fu nell’era Schottenheimer che in California approdarono giocatori del calibro di LaDainian Tomlinson, Philipp Rivers, Antonio Gates, Vincent Jackson, Shaun Phillips, Shawne Merriman, che fecero dei Chargers uno dei team più talentuosi della Lega. Ma nel 2006, dopo una regular season da 14 vinte e 2 perse, arrivò una bruciante sconfitta di misura coi Patriots nel Divisional Round. La proprietà ritenne che con quel roster arrivare al SuperBowl era d’obbligo, e addossò a Schotty la colpa del mancato raggiungimento del traguardo.

Venne così chiamato Norv Turner. Scelta piuttosto controversa, a dire il vero. Perché il neo Head Coach, stimatissimo Offensive Coordinator, era già reduce da ben 2 avventure da capo allenatore in NFL (Redskins e Raiders) prive di risultati entusiasmanti. Era lui l’uomo giusto per riportare i Chargers al SuperBowl? Il tessuto c’era, ma il sarto?

I risultati non hanno dato ragione a quella scelta. E’ vero che nel primo triennio Norv ha sempre raggiunto i Playoff, e al primo anno l’AFC Championship perso contro i Patriots della “stagione quasi perfetta”, ma il gap con le grandi rivali della Conference (Patriots, Steelers, Jets) invece che diminuire era aumentato, e la gestione delle partite nei Playoff presentava le stesse lacune mostrate sotto la guida di Schottenheimer: i Chargers sembravano timorosi, troppo conservativi, davano la sensazione di non fidarsi dei propri mezzi e di giocare col freno a mano tirato.

Poi, dal 2010, il declino, complice il progressivo invecchiamento del roster e l’incapacità di rinnovarlo in molte posizioni chiave.

La stagione 2012 ha avuto un punto di svolta ben preciso. Week 6, Monday Night in casa contro i Broncos. In palio, di fatto, la leadership della AFC West. All’intervallo i Chargers sono avanti 24-0. Sembrava tutto facile, forse troppo. Perché i successivi 30 minuti si riveleranno un incubo. I Broncos segnano la bellezza di 35 punti, San Diego, incapace di scuotersi, si sfalda progressivamente e crolla. Finisce 24-35, e finisce lì, di fatto, la rincorsa ai Playoff dei Chargers.

Tre anni consecutivi fuori dai Playoff possono essere fatali a molti HC. Se poi il materiale a disposizione era pure di buona qualità…

Eppure questo materiale è andato progressivamente deteriorandosi, e molti elementi fanno pensare al tramonto di un’era in quel di San Diego.

In primis,Philip Rivers. La sua involuzione è sotto gli occhi di tutti. Il suo rating è progressivamente sceso dal 105.5 del 2008 all’86.8 di quest’anno, nelle ultime 2 stagioni ha lanciato ben 35 intercetti e commesso 20 fumble, e in questo 2012, per la prima volta dopo 4 anni, non supererà le 4000 yds. Bollito? A San Diego sperano proprio di no, perché ha ancora 3 anni di contratto a cifre astronomiche, e una trade difficilmente porterebbe una contropartita adeguata.

E in fondo la crisi di Rivers può essere spiegata anche attraverso altri due motivi.

Il primo è la pochezza della Offensive Line. I Chargers degli anni d’oro avevano costruito una OL formidabile, ma che per motivi anagrafici andava rifondata. Ecco, tale rifondazione è del tutto fallita. Se si esclude l’ottimo C veterano Nick Hardwick, l’unico altro giocatore a salvarsi è la RG Louis Vasquez, onesto mestierante e poco più. Il resto è formato da riserve non in grado di giocare titolari (Green, Hadnot), infortunati cronici (Gaither) e comprimari mediocri (Clary).

La pochezza della OL incide e non poco anche sulla bontà del gioco di corsa, e di conseguenza carica ancora più pressione sulle spalle di Rivers.

A proposito di corse:  Ryan Mathews, l’erede designato del grande LT, è ancora oggi un oggetto in gran parte misterioso. Il prodotto da Fresno State, al suo terzo anno tra i pro, non è ancora mai riuscito a giocare una intera stagione, denotando una certa propensione agli infortuni. Solo l’anno scorso è riuscito ad andare sopra le 1000 yds, a cui ne ha aggiunte 455 su ricezione.

Siamo ben lontani dai numeri di Tomlinson, e il progressivo calo della OL non può bastare per spiegare tali numeri. La naturale conseguenza di questa difficoltà è che Rivers è costretto a lanciare più del dovuto, e le difese si adattano naturalmente a difendere sul passing game.

Rivers, la OL e Mathews però non sono gli unici simboli di queste stagioni disgraziate. Antonio Gates, il grande TE pescato tra gli undrafted free agents da A.J.Smith, sembra ormai l’ombra di sé stesso. Le statistiche delle ultime 3 stagioni fotografano impietosamente il suo declino: dalle 1157 yds ricevute nel 2009 siamo passati a 523 nel 2012, e gli infortuni stanno cominciando a tartassarlo.

Un altro caso che esemplifica al meglio il declino dell’attacco dei Chargers è Robert Meachem. L’ex Saints era arrivato a marzo come sostituto designato del forte Wr Vincent Jackson, con tanto di contrattone pesante, per diventare il go to guy di Rivers. Ebbene, Meachem ha ricevuto in questa stagione la bellezza di 14 palloni per 207 yds, più o meno 1/3 dei numeri che faceva registrare come slot receiver a New Orleans. E con un altro anno di contratto a 5 milioni di garantito…

Per fortuna a metterci una pezza è arrivato dai Rams il carneade Danario Alexander, che si è imposto all’attenzione generale per le sua ottima produttività e la buonissima intesa con Rivers.

Eppure, per un attacco che negli ultimi 3 anni è passato dall’essere uno dei più esplosivi della Lega a uno dei più sterili, c’è una difesa che in questo 2012 ha dato importanti segnali di rinascita.

Gli ultimi Draft erano stati in gran parte dedicati a questo reparto, e le scelte effettuate sembrano dare ragione a Smith. I vari Liuget, Ingram, Reyes, con la complicità dell’eterno Phillips, hanno riportato in vita una pass rush credibile, cosa che a San Diego non si vedeva da anni. Stanno inoltre crescendo bene pure il LB Butler e la S Corey Lynch, che accanto a veterani come Takeo Spikes ed Eric Weddle stanno rendendo la difesa Chargers una delle migliori sulle corse.

Ciò però non fa che amplificare il dilemma: che fare in vista del 2013?

Considerando che l’ultimo impegno è in casa contro dei Raiders tutt’altro che in salute, chiudere con un record di 7-9 è più che possibile. Difficile che un HC venga licenziato dopo un 7-9, anche se Turner, mai amato e sempre molto criticato, ha già rischiato grosso l’anno scorso e la pazienza dell’owner Spanos potrebbe essere giunta al limite.

Qualsiasi eventuale ripartenza non potrà inoltre non ripartire dalla ricostruzione di Rivers. Il talento del Qb non può essere del tutto svanito, il suo contrattone rende molto difficile una trade favorevole e al Draft non sembrano esserci nel ruolo fenomeni in grado di fare la differenza da subito.

Vanno ricostruiti 3/5 della OL, e bisogna necessariamente chiarire l’equivoco Mathews. Smith, o chi per lui, dovrà poi preparare la sostituzione di veterani come Antonio Gates e Takeo Spikes, e rinforzare la secondaria nelle posizioni di CB.

Tanta roba dunque. E difficilmente basterà una offseason per fare tutto ciò. D’altronde però qualcosa di buono su cui ricostruire c’è già. Proseguire su questa strada o fare piazza pulita?

Ecco il bivio dei Chargers. Ed ecco perché da lunedì molte antenne saranno indirizzate verso la California. Perché il Black Monday potrebbe essere lo spartiacque tra il tramonto di un’era e l’alba di quella successiva. Con o senza Norv?

One thought on “Il Black Monday e il bivio dei Chargers

  1. Complimenti per l’articolo. Attendiamo con ansia il Black Monday. Anno nuovo, vita nuova. Almeno me lo auguro. Come tutti i tifosi dei Chargers. Saluti.

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