Impeccabile la prova di Alex Smith contro i Packers…

Negli States era il tardo pomeriggio di domenica. In Italia era ormai lunedì. Ma dal Lambeau Field di Green Bay, è partito un messaggio forte ed inequivocabile a tutta la NFL. Nella corsa verso New Orleans, i San Francisco 49ers ci sono, eccome se ci sono. E fanno dannatamente sul serio.

Qualcuno potrebbe obiettare che tale risposta fosse scontata. In fondo stiamo parlando di un team che nel 2011 ha chiuso la stagione con un record di 13-3, e ha perso il Championship solo all’overtime contro i Giants futuri campioni. Eppure, qualche scettico c’era.

Sì, perché la trasformazione dei Niners nel 2011 aveva avuto dell’incredibile. Reduci da una serie di stagioni mediocri se non disastrose, non accedevano ai Playoff dal 2002. Tre cambi di guida tecnica, ma nessuno era stato capace di far rialzare la testa alla tifoseria del Candlestick Park. Finchè….

Il 7 gennaio 2011, viene ufficialmente annunciato il nome del nuovo capo allenatore: Jim Harbaugh, ex Qb professionista ed ex head coach a Stanford University. Il secondo dettaglio però non è uno di quelli che passano inosservati per i tifosi della Baia. Stanford….come Bill Walsh, il leggendario coach che, assunto nel 1978, introdusse in NFL la West Coast Offense e  trasformò i Niners da franchigia qualunque a dinastia tra le più splendenti della storia del football, con 5 anelli tra l’81 e il ’94.

La filosofia offensiva di Harbaugh era la stessa, ma per applicare la West Coast Offense, un tipo di attacco basato su un passing game conservativo sul medio corto yardaggio, serve innanzitutto un Qb. E a San Francisco c’era Alex Smith.

Prima scelta assoluta al Draft 2005, non era mai sbocciato, e tra errori ed infortuni, era ormai diventato il capro espiatorio di un decennio di frustrazioni. Ha il contratto in scadenza, Harbaugh parla a lungo con lui, lo convince a rinnovare per un anno. E vince la scommessa.

Sotto la sua  sapiente guida, ecco che sboccia il talento che non ti aspetti. Smith sforna finalmente una stagione all’altezza. Nonostante un parco ricevitori che, TE Vernon Davis a parte, non dispone di elementi di spicco, il prodotto da Utah si dimostra un eccellente game manager, facendosi intercettare solo 5 volte (record di franchigia; e in questa franchigia hanno giocato un certo Joe Montana e un tal Steve Young) e superando per la prima volta le 3000 yds lanciate.

Ma è la difesa a fare un salto di qualità formidabile, grazie ad un gruppo di giocatori già presenti che, da buoni/ottimi che erano, assurgono al rango di star NFL. Gente come il DE Justin Smith, una forza della natura nella trincea, che costringe gli avversari a raddoppiare le attenzioni su di lui per contenerne la forza in pass rush. O il MLB Patrick Willis, che si afferma forse come il più forte nel ruolo della Lega. O la Free Safety Dashon Goldson, preciso e puntuale come non mai.

Il neo GM Trent Baalke poi ci mette del suo, selezionando al Draft, al primo giro, il discusso DE/OLB Aldon Smith (evidentemente, nella Baia hanno simpatia per chi si chiama Smith!). Che risponde alle perplessitĂ  dei critici con una stagione da 14.5 sacks. Baalke pesca poi in free agency gente come il kicker David Akers, la SS Donte Whitner, il CB Carlos Rogers e il MLB Navorro Bowman. Un veterano sul viale del tramonto il primo, una garanzia il secondo, un progetto incompiuto il terzo, un carneade il quarto. E invece Akers trova una seconda giovinezza, Whitner e Rogers blindano la secondaria, Bowman, con Willis, forma una coppia di MLB semplicemente invalicalibile.

Difesa granitica e aggressiva, attacco che muove comunque la palla, grazie anche al sempre splendido Rb Frank Gore, errori ridotti al minimo sindacale.  Eppure gli scettici non mancavano. Dicevano cose del tipo:”Hanno vinto 13 partite sì, ma avevano un calendario facile!”, oppure “Ok, ma giocare nella Division attualmente meno competitiva della NFL aiuta non poco”, oppure “Ok, ma vedrai che i Saints, nel Divisional, li asfaltano”.

E invece nel Divisional a casa ci finiscono i Saints. Finisce 36-32, con 4 cambi di leadership nel punteggio negli ultimi 4 minuti, con un Alex Smith leader come mai si era visto, e un TE di talento, ma fin lì mai decisivo come V.Davis, che decide il match a 9 secondi dalla fine. Ma gli scettici non mollano. “Sì, va bene, hanno fatto la partita della vita. Succede. Ma coi Giants non c’è partita”.

E invece di partita c’è n’è, eccome, in quella piovosa domenica al Candlestick Park. I Giants la spuntano all’overtime, 20-17, grazie ad un fumble di Kyle Williams su ritorno di punt. I Niners perdono sul campo, ma vincono la battaglia più importante: hanno dimostrato che non erano arrivati lì per caso, ma perché erano forti. Molto forti. E tutti a chiedersi cosa avrebbero potuto fare con qualche arma in più in attacco.

E in offseason, tali armi arrivano. Arriva il Wr Mario Manningham, fresco di anello con ricezione da antologia nel SuperBowl XLVI. Dai Giants arriva pure il Rb veterano Brandon Jacobs, cavallo da tiro che, utilizzato con saggezza, può ancora distillare qualcosa di prezioso. Dal Draft arriva il talentuoso Wr A.J. Jenkins, uno dei migliori prospetti nel ruolo.

Approda nella Baia pure Randy Moss, dopo un anno di ritiro per rimettersi in discussione e puntare al titolo solo sfiorato in quell’incredibile e per lui mai abbastanza maledetta notte di Glendale. Ma la domanda dei critici è: riusciranno a mantenere quella intensità, quella concentrazione, quella cattiveria e quello spirito collettivo mostrato nel 2011?

Il campo ha dato una prima risposta. Il punteggio finale, 30-22, non rende giustizia alla superiorità palesata dai Niners. Dei 22 punti gialloverdi, infatti, 15 sono arrivati nell’ultimo quarto, sul punteggio di 23-7. E di quei 15, 8 sono giunti grazie ad un episodio sempre piuttosto casuale come un ritorno di punt. Solo 2 Td concessi allo stratosferico attacco aereo dei Packers. E questo grazie ad una difesa pressoché immutata negli uomini, e soprattutto, nello spirito, capace di mettere in crisi sua maestà Aaron Rodgers.

Ma, e qui sta la novità, è piaciuto l’attacco. Preciso, pulito, efficace, con molte alternative in più, e quindi più vario e temibile. Il peso di Manningham si è sentito subito, liberando spazi per Michael Crabtree e Randy Moss, che, seppur utilizzato solo per poco più di un terzo dei giochi offensivi, è parso anche lui concentratissimo e tirato a lucido.

Akers continua a migliorare, Gore ha segnato un Td impressionante per potenza e cattiveria, e Alex Smith, beh, è quello dell’anno scorso, se non meglio. Le sue statistiche? 20 completi su 26 tentativi, 211 yds, 2 Td e nessun intercetto. Non proprio numeri da semplice game manager, no?

Certo, siamo solo alla week 1, la strada per New Orleans è ancora molto, molto, molto lunga. Ma gli scettici hanno ora la risposta che cercavano. No, questi 49ers non sembrano quelli del 2011. Sembrano addirittura meglio. E quindi nessun traguardo gli è precluso.

Sotto il Golden Gate si sogna quindi, rivolti verso New Orleans.

 

 

2 thoughts on “Sogni di Super Bowl sotto il Golden Gate

  1. Articolo ottimo.
    Un’unica osservazione: anche io l’anno scorso sono stato molto impressionato dai 49ers , tanto da vederli quest’anno al Championship contro GB, ma la statistica di 1/13 al 3rd down del game contro NYG ha avuto un importanza capitale nel punteggio finale e nei giudizi post-gara.
    L’attacco vende i biglietti, la difesa vince le partite, ma l’attacco deve anche convertire i terzi down………
    Certo, il parco WR quest’anno è ben diverso, dunque c’è speranza che ci sia un miglioramento.

  2. Forse mi sbaglio ma NaVorro Bowman non e stato scelto da i 49ers al draft del 2000?.. comunque complimenti ottimo sito, è un piacere leggere i vostri articoli su questo bellissimo sport, unico problema che la partita è finita sul tardino… ed è stata dura andare al lavoro l’ indomani…. però ne valsa la pena… eccome…
    go 49ers

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