Aaron Rodgers è stato ancora una volta glaciale nella gestione della gara.

Il giovedì del Ringraziamento, pur costituendo un piacere tutto americano dato il suo clima di festa familiare ricco di tradizione, negli ultimi anni a Detroit non era particolarmente atteso, almeno non per andare allo stadio o per accendere la televisione e vedere i Lions.

Secoli di record perdenti, stagioni come quella del 2008 terminata senza l’ombra di una vittoria e con l’onta del primo 0-16 di sempre, assenze più che prolungate dai playoffs, costituivano una quantità tale di disgrazie sportive da spegnere la fiammella della speranza ogni volta che si portava il pensiero alla squadra, e la partita del Giorno del Ringraziamento, pur costituendo una rara occasione di giocare in diretta nazionale davanti al pubblico amico, non era riuscita a cambiare le tradizioni perdenti che i Lions avevano recentemente instaurato.

Quindi la storyline, ovvero il copione ideato dai media per presentare un evento partendo da accadimenti passati che si intrecciano perfettamente a quanto sta per succedere, quest’anno ci stava tutta.

Questo grazie alla miglior partenza dei Lions da tempo immemore, ad un record di 7-3 che anche solo due anni fa era assolutamente impensabile, ad una squadra in seria competizione per la post season che odorava non solo l’upset della vita nei confronti dei Green Bay Packers, aveva pure necessità di vincere per togliersi di dosso la rimonta divisionale dei Chicago Bears, che con un bilancio identico rispetto a quello dei Lions avevano cominciato ad insidiarli un po’ troppo da vicino in ottica Wild Card.

C’erano gli ingredienti per una grande partita: Green Bay ed il suo cammino inarrestabile, Detroit finalmente competitiva e caratterizzata dalla voglia di porre fine ad una striscia vincente che non accenna a fermarsi. E grande partita è stata, almeno per un tempo, perché l’equilibrio in campo ha dato tanto da pensare a chi osservava trascorrere i minuti senza che Aaron Rodgers lanciasse un TD pass, a chi provava a ragionare su un piano difensivo predisposto da coach Jim Schwartz che nei primi trenta minuti era stato indubbiamente indovinato, ed a chi osservava incredulo il redivivo Kevin Smith, reduce da 201 yards di total offense contro Carolina, incunearsi con una costanza preoccupante in mezzo alla difesa di Green Bay.

Rodgers, come al solito, aveva però altri piani.

Se da un lato il fantastico quarterback dei Packers è riuscito a trovare un modo per infierire sulla difesa avversaria, dall’altro i Lions non possono rinunciare nel recitare un mea culpa per l’occasione sciupata. Detroit ha concluso la partita con statistiche offensive ben superiori rispetto a quelle dei rivali divisionali (tutte, eccetto le yards su passaggio), ha gestito il primo tempo come meglio non poteva mettendo a referto poco più di 100 yards di total offense nel solo primo quarto, lasciando contemporaneamente Rodgers in campo per soli tre minuti di cronometro, nei quali, prevedibilmente, non era riuscito a muovere le catene di molto.

Kevin Smith ha dimostrato ben presto di non essere la meteora della domenica precedente, confermando di essere tornato in attività con una forma eccellente, e producendo yards istantanee ogni volta che toccava il pallone, sia che dovesse correrlo, sia facendosi trovare pronto in uscita dal backfield. Smith attraverso corse preferibilmente centrali, ha raggranellato 57 yards di total offense in nemmeno due quarti, prima di essere costretto ad abbandonare il campo dando inizio ad una serie di infortuni che avrebbero in seguito colpito soprattutto la difesa di Detroit.

Tantissima produzione e nessun punto a referto per tutto il primo tempo, complice anche una mancata conclusione tra i pali di Jason Hanson – diciannovesima (!) partita del Ringraziamento per l’ultra-veterano kicker – erano statistiche che facevano senz’altro preoccupare, nonostante la capacità di concludere i primi trenta minuti con un passivo di 7-0, un affare per chiunque giochi contro un attacco come quello dei Packers, segno che l’aggressività difensiva funzionava davvero.

Ndamukong Suh, stavolta, è stato dannoso per la sua squadra.

E qui si deve doverosamente aprire l’altro capitolo di ricerca delle proprie colpe da parte dei Lions, colpe che vanno sul singolo giocatore, ovvero quel Ndamukong Suh che non ha fatto niente per nascondere la sua fama di giocatore non propriamente corretto, il che stride con tutto il talento che il ragazzone si ritrova addosso.

Una volta che Suh, espulso per un calcio infame nei confronti di Evan Dietrich-Smith, ha lasciato da soli i compagni, la pressione su Rodgers non è più stata la stessa, e lo svolgimento del secondo tempo non può non tenere conto di un “colpo di testa” determinato dalla momentanea perdita della ragione da parte di un giovane campione che dovrebbe rappresentare l’immagine della sua squadra al meglio, e dal quale non ci si attendono certo atteggiamenti come quelli visti ieri sera, contrari alla leadership che invece sarebbe tenuto a dare.

Questo, ed il carosello di infortuni che hanno costretto Schwartz a schierare in alcuni casi il wide receiver Rashied Davis da defensive back aggiunto (grave la perdita del safety Louis Delmas, che stava disputando una grande gara), sono stati tra i motivi principali della lenta debacle di Detroit durante la ripresa, crollo alimentato anche dai due turnovers ravvicinati commessi da un Matthew Stafford a volte molto impreciso (giocava con un guanto per proteggere un infortunio alla mano che lancia, ma non può fungere del tutto da scusante), cambi di possesso che i Packers hanno punito come i campioni veri sanno fare, capitalizzando l’errore al massimo, uccidendo l’avversario.

La penalità commessa da Suh ha regalato un primo down automatico in una situazione di stallo per l’attacco di Green Bay, mentre gli intercetti di Stafford (32/45, 276 yards, TD, 3 INT) sono conseguiti in 17 punti a favore degli ospiti, in vantaggio verso lo scadere del primo tempo con una meta dell’eccellente Greg Jennings, e quindi a segno in ben tre occasioni del terzo quarto con una corsa di John Kuhn – guidata dal “fullback” B.J. Raji –, con una bomba di Rodgers per James Jones (65 yards di big play), ed un field goal di Crosby, kicker che in questo preciso momento della stagione ha sbagliato solamente una conclusione.

Le mete di Keiland Williams, che con Maurice Morris ha tenuto in piedi per quanto possibile il gioco di corse dopo l’uscita di Smith, e del grande Calvin Johnson, non hanno che addolcito la pillola e sancito un 27-15 finale che non rende idea del dominio incontrastato che i Packers hanno esercitato per tutto il secondo tempo.

B.J. Raji è il novello Refrigerator Perry?

Il tacchino non ha fatto dunque lo sgambetto a Green Bay, nonostante l’aria elettrica che si respirava a Detroit, e nonostante il chiasso costantemente prodotto dal Ford Field, Aaron Rodgers (altra giornata in ufficio, 22/32, 307 yards, 2 TD) ha subìto molta pressione ma è rimasto glaciale e calmo nel suo modo di porsi verso una gara molto ostile, e soprattutto la difesa, il reparto più soggetto a critiche, ha concesso ancora molte yards ma ha lasciato all’asciutto un attacco prolifico come quello dei Lions per tre quarti interi massimizzando i palloni recuperati.

I Packers sono 11-0 e la loro corsa alla perfezione continua, la concentrazione non accenna a calare. Rodgers si sapeva già essere inarrestabile, passano le settimane e già ci si devono inventare nuovi modi per provare a limitarlo. E’ una macchina che esegue in automatico, conosce il suo sistema alla perfezione, così come conosce le lacune delle difese che affronta. Green Bay, tuttavia, fa ancora più paura se la sua difesa confermerà il livello di prestazioni tenuto ieri, dove il provocare turnovers e la profondità a roster (Desmond Bishop, infortunatosi nel primo quarto, è stato sostituito benissimo dal rookie D.J.Smith)  sono risultate due componenti fondamentali per avere successo.

L’attacco c’era già. Se comincia a funzionare anche la difesa, si salvi chi può.

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