Charles Woodson, uomo simbolo di una squadra che non ha mai mollato, riuscendo a superare ogni avversità...

“Ho espresso questo concetto più volte: una squadra è qualcosa di molto, molto speciale e una squadra che vince il titolo passando attraverso tutte le cose che ha attraversato questa, è notevolmente speciale”.

Il GM dei Packers Ted Thompson è raggiante e commosso allo stesso tempo: sa che i suoi in campo hanno compiuto l’impresa dell’anno, sa che una buona parte del merito ce l’ha anche lo staff che lui dirige, ma le sue parole abbracciano l’intera franchigia e sono tra le più significative in mezzo alle migliaia di altre pronunciate nei minuti immediatamente successivi alla fine della partita dell’anno.

Già, perchè di problemi di varia natura e soprattutto di infortuni, durante una stagione pesante come quella che si gioca sui campi da football, dovuta allo stress, alla stanchezza, alla pressione, alla pesantezza degli scontri fisici, alle condizioni climatiche, ogni squadra ne deve affrontare a decine, ogni anno.

E chi arriva in fondo può dirsi o più fortunato per non esser stato troppo bastonato dalla cattiva sorte, o semplicemente più forte nell’assorbirne i colpi.

Su questa lunghezza d’onda si è sintonizzato anche Clay Mattews: “Abbiamo avuto qualche avversità”, ha detto il linebacker. “Abbiamo dovuto combatterle tutta la stagione. Oggi non è stato diverso. Abbiamo perso alcuni uomini chiave. Ma i ragazzi giovani hanno intensificato il loro lavoro, mentre i playmakers di questa squadra hanno continuato a elevare il loro gioco ad un livello completamente diverso. Penso sia per questo che siamo seduti qui sul trono di campioni del mondo”.

Desmond Bishop ha poi semplicemente aggiunto: “Questo è ciò che siamo. E che siamo stati tutta la stagione. Se tu sei il prossimo ad entrare in campo, ci si aspetta soltanto che tu ti infili il casco e che trovi un modo per dare il tuo contributo”.

Non è mancato il commento tecnico di coach McCarthy che ha spiegato quanto lui e il suo staff abbiano preparato i giocatori a quel tipo di situazione: “…e tutto questo allenamento ha pagato i suoi dividendi. E’ stato un incontro tra pesi massimi. Ci arrivavano i loro pugni pesanti e noi dovevamo schivarli. Un buon match tra ottimi pugili…” e via così nella metafora boxistica.

Di certo lo spettacolo del grande football, la scorsa notte, non è mancato.
Come ogni anno abbiamo fatto le ore piccole, al di qua dell’oceano, nella speranza che il match fosse il più avvincente possibile e il risultato in bilico fino al 60′, tanto da eccitare la nostra attenzione impedendoci di crollare al cospetto dell’invitante e subdolo Dio Morfeo.

Così, al fine, è stato.
Un attacco stratosferico, quello di Green Bay, e il pesantissimo intercetto lanciato da Roethlisberger e riportato per 37 yds in end zone da Collins, facevano presagire un epilogo scontato già prima di metà gara.

Invece gli Steelers hanno avuto il pregio di non mollare e di rimettere la partita in piedi, arrivando ad organizzare perfino, a due minuti dal termine, il drive che avrebbe potuto portarli al trionfo finale.

Ma l’emozione più forte, anche per chi da neutrale si è goduto lo spettacolo, l’ha regalata il volto del cornerback Charles Woodson che, in lacrime e con un braccio al collo, è stato incapace di trattenere la sua, ancora incredula, immensa gioia.

Un doloroso infortunio alla clavicola sinistra lo ha infatti costretto alla sideline per tutto il secondo tempo, ma come del resto ha fatto in campo durante l’intera stagione, non ha smesso un attimo di incitare i compagni e col suo pianto liberatorio finale ha sfogato le sue emozioni, quelle legate alla conquista del primo titolo in 13 stagioni NFL.

Non è dolce-amara. Io sono campione!”, ha risposto Woodson a chi gli sottolineava il fatto che purtroppo non ha terminato la partita in campo col casco in testa.

“La squadra è andata là fuori e ha fatto ciò che c’era bisogno di fare. Sai una cosa? Quello che è successo oggi, rappresenta quasi un microcosmo della nostra intera stagione. Siamo stati decimati dagli infortuni tutto l’anno. Ma i ragazzi hanno continuato a crescere di livello e andare in campo a raccogliere i frutti del lavoro fatto. E così è stato anche stanotte. Tanto di cappello a quei ragazzi che sono andati là fuori a completare la missione.”

Ha parlato in terza persona plurale, il veterano della difesa gialloverde, da leader, sottolineando ciò che aveva fatto il suo team come se si trattasse di una classe di giovani allievi ai quali ha indicato la strada, coi quali ha camminato al fianco per un po’, orgoglioso di vedere che se l’erano cavata anche senza di lui quando era giunto il momento di lasciarli andare soli. Ed è anche per questo che non solo è rispettato, ma anche amato come un fratello dai compagni di squadra.

“Nel vedere un grande uomo, come quel lottatore, senza parole, capisci veramente quanto significhi per lui questa vittoria. Il solo fatto di non vederlo in grado di giocare, ci ha motivato a vincere per lui. E’ stato il nostro leader per tutta la stagione.”

Queste le splendide parole del nose tackle B.J. Raji, al quale hanno fatto eco anche tanti altri, tra i quali Desmond Bishop che ha evidenziato come la difficoltà del capitano a pronunciare poche soffocate sillabe negli spogliatoi all’intervallo, sia bastata a motivarli tutti.

Attorniato da giornalisti e microfoni, col trofeo in mano, il numero 21 ha chiuso dicendo: “I just asked the guys to understand how much I wanted it” e non c’è bisogno di traduzione.

Dall’altra parte, altre lacrime, ma non di gioia.
Come sempre succede nello sport, per un gruppo che esulta ce n’è un altro che subisce il dolore della sconfitta, questa volta accompagnato dal mesto mea culpa del gigante giallonero, il QB perdente, che sente su di sè il peso della responsabilità di una partita iniziata subito in modo sbagliato: “Abbiamo cominciato da subito a giocare male… e la responsabilità è sulle mie spalle”, ha detto Roethlisberger, “non ho giocato bene, ed è questo il motivo per cui ci siamo scavati una fossa.”

“Niente scuse”, ha poi aggiunto. “Non lo puoi fare. Indipendentemente dalla situazione, non puoi regalare quel pallone”.
Con questa frase si è auto-accusato per l’intercetto, vero punto di svolta del Super Bowl numero XLV.

La finale a cui abbiamo assistito è stata il degno coronamento di un’altra avvincente stagione NFL. A nostro modesto avviso hanno vinto i migliori.

Certo, quasi sempre è così, ma questa volta ci sbilanciamo senza paura di essere smentiti, perchè dentro a tutti i microfoni è rimbombato per tutta la notte lo stesso concetto, desumibile da ogni intervista post partita, espresso anche dal wide receiver Greg Jennings, che ha detto testualmente: “Questo team ha avuto una certa dinamica che molte squadre non hanno: ciò che ci ha separato dalle altre 31 franchigie sono state l’unità e la volontà di superare le avversità.”

Credetegli: quella guidata dall’MVP Aaron Rodgers è davvero una squadra speciale.

11 thoughts on “I Packers, “una squadra speciale”: i commenti dei protagonisti del Super Bowl XLV

  1. posso fare una considerazione poco pertinente e anche amrginale?

    premetto che non sono un appassionato, anzi ho bassa considerazione e opinione del football americano in sè come sport.
    ma ne ammiro molto la gestione, l’organizzazione, la commercializzazione, etc etc

    come mai, in una lega che cura i minimi particolari soprattuto dal punto di vista mediatico e soprattutto in un evento o meglio L’EVENTO che è il super bowl, si è fattai la scelta assurda di consentire di avere le due squadre con i pantaloni gialli?
    dal punto di vista televisivo è stato a mio avviso un errore madornale.

    è per me inconcebile proprio perchè si tratta di una lega e di un evento in cui si cura ogni minimo particolare

    scusate ancora questa intromissione

  2. scusa delsa un consiglio ,avvicinati di più a questo sport bellissimo ,come del resto il rugby ciao ciao

    • lo seguivo un tempo

      aigli albori di tele+ in chiaro, con paolo leopizzi se non ricordo male. 20anni fa quasi

      il rugby lo seguo invece abbastanza. mi piace moltissimo(a certi livelli) ma non ha nulla a che fare con il football, tranne che per la forma simile, nenach etanto poi, della palla ovale.

      troppo americano per i miei gusti.
      o per lo meno ha troppi difetti tipici che io attribuisco all’america in generale di cui è vera e precisa rappresentazione per molti aspetti.

  3. @ delsa: semplice perchè nelle rispettive divise previste per la partita:
    Steelers in trasferta e Green Bay in casa i pantaloni sono gialli.
    Le tradizioni vincono sulla resa televisiva.
    Sarebbe stato un pò strano far giocare un SB ad una squadra con la maglia Alternate.

    • In america?

      naaaaaaaa. lì demoliscono gli yenkeee stadium. non è certo per tradizione.

  4. Prendendo spunto da Delsa la cosa che più mi ha colpito in negativo nell’ organizzazione secondo me, e sono diversi superbowl che vedo, è la premiazione della squadra vincitrice…. più che una premiazione a “glorificare” (scusate il termine) il vincitore mi sembra la consegna di un trofeo in uno di quei eventi paesani durante l’estate per ammazzare il termpo…. ciao

  5. delsa, per me, ha ragione.
    Io sono un appassionato….purtroppo tifo Raiders e da qualche anno le soddisfazioni sono minime anche se ritengo che adesso siamo sulla strada giusta…
    anche mia moglie che segue a volte le partite ha notato l’incongruenza di 2 squadre con i pantaloni uguali…potevano farli cambiare ad una delle 2 squadre…quello che conta è la maglia non le brache.

  6. pantaloni o non pantaloni, @delsa non condivido le tue considerazioni e il rugby sarà anche eroico ma è una “palla mostruosa” in confronto al football. Tanti sono i particolari di uno sport così complesso e avvicente che una partita andrebbe rivista due o tre volte almeno (come è successo a me con il SB). E’ americano….? e si certo per forza è roba loro ma è un modello di sportività e anche si, lo dico, di una certa sobrietà di fondo, che è proprio il senso di una premiazione finale con i figli in braccio: bello così!

  7. Ciao a tutti
    e complimenti per la trasmissione come si diceva una volta.

    A proposito di una volta: grazie al cielo che si è giocato con i pantaloni gialli. Cambiato qualcosa dal punto di vista tecnico? Non mi pare.

    Però i tifosi hanno visto le squadre con la loro divisa storica al Superbowl. Rispettando le tradizioni (gli stadi non sono i colori, gli stadi si usurano) si cresce. Nel calcio italiano è uno scempio, il rugby sulle maglie delle nazionali ci mette gli sponsor!!!! Tristezza!

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