Tony Romo sconsolato dopo la quarta sconfitta della stagione

Un sole caldo, non ancora afoso si alza nel mattino di Dallas e rigenera con i suoi raggi l’inizio delle attività in uno dei centri operativi più importanti del Texas.

Sui giornali largo spazio è affidato alle notizie sulle midterm elections che rinnoveranno, tra due settimane, l’intera camera dei Rappresentanti e un terzo del Senato, per quello che si prospetta una riduzione sensibile in termini di consensi per il Presidente Obama.

Non che dispiaccia a queste latitudini, per uno Stato che era ed è (e probabilmente rimarrà) una roccaforte dei Conservatori, nonché terra d’origine della famiglia Bush che ha tirato le fila della politica nazionale per dodici degli ultimi vent’anni.

Già, Bush come l’ex proprietario dei Texas Rangers che stanno cullando il sogno delle World Series, che è proprio lì, a pochi centimetri, ora che la serie è sul 3 – 1 e sulla racc…sulla mazza vi sono ben 3 match point.

In città la febbre sta già salendo anche se i Rangers non hanno il loro ballpark in città, come molte altre squadre professionistiche americane preferiscono aver il loro quartier generale in periferia o in una città vicina, ma ad Arlington in una zona intermedia tra Fort Worth e Dallas, appunto.

A proposito, vi è un’altra franchigia professionistica che ha sede ad Arlington, nell’avveniristico Cowboys Stadium, e sono proprio i Dallas Cowboys, un team che negli anni ’90 ha dettato legge nella NFL e che è sempre stato considerato l’orgoglio cittadino.

Tuttavia gli entusiasmi tra i locali si smorza se provi a chiedere della loro franchigia di football americano e la maggior parte di loro abbozzano un sorriso come a dire “è così, non c’è niente da fare”.

In realtà c’è molto da fare per i ‘Boys, e lo ha ricordato lo stesso presidente Jerry Jones, all’indomani della sconfitta nel Sunday Night contro i redivivi Vikings, che “Dobbiamo smettere di essere i peggiori avversari di noi stessi” – e ha aggiunto – “Lunedì contro i Giants sarà l’ultima spiaggia”.

Sì perché la ciurma di coach Phillips ha aperto la nuova stagione, una stagione che doveva portare con sé il definitivo ultimo passo verso l’eccellenza in maniera da aggiudicarsi il Super Bowl casalingo, con una sola vittoria nelle prime cinque gare disputate.

I supporter della squadra hanno contenuto il loro disappunto fino ad oggi perché, malgrado il “male oscuro” della squadra si facesse sempre più vivo domenica dopo domenica, indiscutibilmente non mancavano ragioni per vedere il bicchiere mezzo pieno: sconfitte per pochi punti, incredibili errori finali che facevano crollare tutto ciò che di buono si era creato precedentemente, nonché la fiducia in un roster praticamente uguale a quello che aveva raggiunto il prestigioso traguardo delle 11 vittorie con playoffs annessi solo pochi mesi addietro.

Persino l’head coach Wade Phillips ha perso la pazienza ed in conferenza stampa ha sbottato:” La domenica facciamo errori e il lunedì ne parliamo negli spogliatoi e sembra che tutti abbiano capito, poi ci ricadiamo nello stesso modo la settimana successiva”.

Primi segnali di nervosismo di un coach che ha creato una tradizione comunque vincente qui in Texas, dove ha plasmato due giocatori che tutt’ora sono tra i più ammirati del paese: quel Tony Romo che è quinto per yards lanciate, con una percentuale vicino al 70%, insieme a 10 TD e 7 intercetti e Miles Austin, che ha vissuto l’anno passato la stagione dell’esplosione, mentre nel 2010 ha collezionato 486 yards (ottavo assoluto) ma solo 2 mete.

Tutto bene quindi, almeno nella metà campo offensiva nella città del petrolio?
Macché: Romo sembra l’unico a cui vada accordata una sufficienza piena (parte dei suoi turn over sono accorsi quando con la forza della disperazione tentava di riportare i suoi in partita), mentre il suddetto Austin, la cui classe limpidissima non si discute, sembra che soffra un po’ il dualismo con l’altro ricevitore Roy Williams, che ha cominciato alla grande quest’anno (già 5 TD segnati), ma che aveva subito una picchiata delle sue statistiche un anno fa, guarda caso quando il fenomeno con il numero 19 si era fatto conoscere nelle arene del paese.

Una parola la si spende volentieri anche per la prima scelta di quest’anno, Dez Bryant: da molti descritto come un fenomeno in divenire, non ha ancora completamente dissipato i dubbi sul suo carattere che lo avevano catapultato così indietro nell’indice di gradimento dei GM nel Draft Day, sebbene si possa giurare che il materiale sia di prima qualità visto e considerato le 18 ricezioni per 221 yards ed un TD.

Il back field, poi, è quello su cui si punta maggiormente il dito contro: il trio Barber – Jones – Choice sembrava formare un reparto profondissimo, che avrebbe aiutato prima a togliere pressione a Romo, in seguito il quarterback di origine ispaniche si sarebbe giovato delle praterie concesse dalla difese avversarie, preoccupate dalle corse dei tre runningback, per lanciare in profondità il cavallo di razza Austin, come già ci eravamo abituati lo scorso campionato.

Le statistiche invece ci parlano di un Romo che ha completato solo 2 passaggi per più di 40 yards, mentre solo una volta Austin è riuscito in una ricezione della stessa lunghezza, un po’ poco per uno che possiede velocità ed atletismo fuori da comune.

Dato che Choice è stato praticamente inutilizzato, il gioco di corsa è stato affidato a Barber e Jones, che si sono divisi equamente le portate di palla (52 di Barber contro le 51 di Jones), con risultati piuttosto scarsi(4.5 yards a portata per l’ex Arkansas contro le misere 3.4 dell’ex Minnesota) ed un solo viaggio in end zone, ad appannaggio del numero 24.

La linea offensiva non si è salvata dalla gogna mediatica, sempre più voci chiedono un cambiamento anche in questo reparto (e nello specifico la testa di Leonard Davis), così come, per la prima volta, è statp messo sotto processo il tight end Witten, accusato di non essere più “quello di una volta” sui terzi down.

Avvicinando invece la lente d’ingrandimento sulla metà campo difensiva, non si può non constatare come ci si trovi al cospetto di una delle difese migliori nella Lega: quarta per yards concesse totali, quarta per yards concesse su lancio, decima nella prevenzione alle corse e tredicesima nei sack (anche se sette sono ascrivibili al solo DeMarcus Ware).

Pur concedendo poco o nulla agli attacchi avversari, il reparto difensivo non è all’altezza dei migliori quando si tratta di creare turn over: i Cowboys giacciono sul fondo della classifica sia per intercetti (solo 2) e per fumble forzati (3).

Qual è dunque il virus che sta debilitando la compagine texana?
Ciò che, in conclusione, sta letteralmente allontanando Romo e compagni dal presentarsi per la quarta volta in cinque anni in post season sono quella miriade di errori di concentrazione che i Texani disseminano lungo la partita e di cui Wade Phillips e Jerry Jones hanno denunciato all’inizio di questo articolo: nella prima uscita stagionale sconfitta contro i Redskins in una partita macchiata da continui errori e culminata con la penalità che ha strozzato l’urlo in gola a Roy Williams sulla sua ricezione vincente, le due(!!!) clamorose penalità per eccesso di festeggiamenti in seguito a due mete segnate (di cui una, di fatto, è costata la vittoria contro i Titans), per finire con l’ultima sfida disputata, quando gli special teams, che ancora non si erano macchiati di nessun misfatto, hanno concesso a Harvin la meta sul calcio d’inizio che apriva il secondo tempo nell’importantissima sfida contro i Vikings, meta che ha riportato a galla Favre e compagni.

Per questo la prossima sfida nel Monday night contro i Giants di Eli Manning e, più che altro, di una terrificante difesa ha il sapore proprio di un’ultimissima spiaggia a cui aggrapparsi e di prova del nove per comprendere se il grado di concentrazione sarà quello adeguato: altrimenti, in caso di sconfitta, il tifoso della Big D potrà, senza rancore, smettere il capellino con la stella sopra, per indossare quello più consono con una T disegnata, quella dei Texas Rangers, nuovo orgoglio locale.

4 thoughts on “Cowboys in crisi

  1. Da tifosissimo dei Dc che dire……hai ragione! E su tutto purtroppo! Eccessi di penalità, eccessi di festeggiamenti, partite buttate e quasi vinte. Sembra il festival dell’assurdo.
    Anche contro i vikinghi fino a metà partita sembra che tutto fosse a posto. la difesa teneva e bastonava il buon Favre e in attacco Romo faceva la sua parte. Poi appena rientrati è iniziata la saga delle mostruosità.Così non andiamo da nessuna parte tantomeno ai playoff.

  2. un miracolo, ci vuole solo un miracolo per far si che questa stagione non sia finita gia’ ad ottobre….
    lo specchio della stagione dei cowboys e’ nelle espressioni del viso del povero philips ogni qual volta viene inquadrato dalla tv dopo gli innumerevoli errori che i giocatori compiono durante la partita….. povero disperato philips e poveri noi tifosi disperati…. altro anno al vento…….

  3. beh che dire,hai gia’ getto tutto!!secondo me questa stagione e’ gia’ finita e ci servira'(spero)per cacciare via finalmente lo staff,a mio avviso primo responsabile del fallimento!non sono d’accordo sui commenti della difesa,abbiamo fatto passare come un QB di primo ordine un certo VINCE YOUNG.beh grande atleta ma non grande QB!il male della squadra e’ ovunque!speriamo nel prox anno….

  4. il coaching staff deve disciplinare la squadra wade phillips e’ un ottimo coach difensivo ma come head coach non ha gli attributi . secondo me il punto debole della squadra e’ la linea offensiva e ne risente anche il gioco di corsa . ha ragione Arturo speriamo nel prox anno

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