Dalvin Cook, dopo aver riscritto parte del loro libro dei record, si è preso giusto il tempo per salvare i Seminoles un’altra volta, ed ora la sua prossima missione sarà il riflettere sul suo futuro professionistico.

I Seminoles hanno vinto con fatica un Orange Bowl che hanno letteralmente dominato per tutto il primo tempo, una partita che ha vissuto degli ultimi istanti di pazzia tali da rendere la gara memorabile. Nel grande pentolone di vicende che hanno determinato l’esito della contesa, il nome di Cook emerge come decisivo per il prezioso contributo elargito nel momento più delicato della gara. Un contributo certamente numerico, dato che Dalvin è divenuto ieri notte il secondo miglior corridore di sempre della ACC qualunque epoca di college football si consideri, ma più di ogni altra cosa un contributo morale, che ha permesso a Florida State di tenere con sè un minimo di inerzia positiva, che la resistente squadra di Jim Harbaugh stava disperatamente cercando di attrarre verso sé.

Per tutto il secondo tempo i Seminoles non sono riusciti a muovere il pallone, ed il lusso di poter schierare un campione come Cook si è interamente manifestato all’interno di una situazione molto pericolosa, con Michigan oramai sicura di riprendere il possesso dell’ovale di lì a poco con l’opportunità, finalmente, di combinare qualcosa di buono a livello offensivo. Vantare Cook tra le proprie file significa anche poter convertire un terzo tentativo con ventidue yard da prendere demolendo la psicologia positiva del proprio avversario, ed assistere ad una galoppata non terminata in meta per questione di meri millimetri, producendo una segnatura solo ritardata di poche azioni.

Il quadro della partita dei Seminoles può soltanto essere visto così.

Nella prima frazione di gioco non c’era stato molto di cui discutere. I Wolverines, già privi del multi-funzionale Jabrill Peppers e costretti a pianificare differentemente sia le coperture difensive che i giochi offensivi nelle ultime 20 yard, hanno presto perduto anche il forte tight end Jake Butt, con la conseguenza di non riuscire a combinare un granché in attacco mentre la difesa limitava Cook nella stessa misura in cui gli andava a concedere big play. Le secche offensive dei Wolverines, responsabilità anche di una difesa FSU aggressiva ed atletica, erano sfociate in ben tre viaggi all’interno delle dieci yard avversarie senza riuscire a varcare la linea di meta, accontentandosi di tre calci e vanificando il recupero di un fumble dei Seminoles su ritorno di punt in quella che sarebbe dovuta essere la seconda serie offensiva di Florida State.

Tanti errori, da una parte e dall’altra, corrisposti a quasi altrettanti big play. Di sicuro i Seminoles sono risultati più efficaci nel punire gli avversari, che in una delle tante situazioni dove i Seminoles erano rimasti schiacciati verso la propria endzone andavano a mancare una copertura difensiva abbastanza clamorosa, concedendo una meta di 92 yard ad un Nyqwan Murray perfettamente imbeccato dall’altalenante Deondre Francois, bravo a scagliare verso la sideline un pallone che ha viaggiato con precisione per circa 50 yard.

Dopo un terzo periodo quasi all’asciutto per entrambe le squadre, frutto di un ottimale controllo della linea di scrimmage da parte delle due linee difensive (ottimi, come da previsioni, DeMarcus Walker per FSU e Taco Charlton per Michigan) e di qualche giocata atletica e puntuale delle secondarie, la prova di forza dei Seminoles è stata quasi vanificata proprio da una pessima decisione di Francois, che ha commesso il più sacrilego degli errori forzando un completo anziché gettare via la palla sotto pressione, con il risultato di consegnare nelle braccia del linebacker Mike McCray i punti di un del tutto inatteso -5 quasi in ingresso di quarto periodo, permettendo ai Wolverines di affrontare gli ultimi quindici minuti con un morale nettamente differente.

Proprio in questo delicato frangente la galoppata di 71 yard di Cook è arrivata quale pura manna dal cielo in una situazione da punt assicurato, preparando il palco per la personale meta di Francois che andava a ristabilire le corrette gerarchie della gara fino a quel momento, portando il parziale a 27-15 pro-Seminoles con il traguardo della coppa d’arance oramai in vista.

Tuttavia, una difesa stanchissima e provata dalle settanta azioni offensive che Jim Harbaugh ed i suoi assistenti hanno avuto l’opportunità di chiamare, ha concesso il primo touchdown offensivo di Michigan a cinque minuti dalla fine della partita, corrisposto alla tredicesima segnatura stagionale del fullback Khalid Hill, per poi capitolare dinanzi alla bella corsa di 30 yard di Chris Evans per il primo vantaggio assoluto dei Wolverines con nemmeno due minuti da giocare, dopo che tutti i principali rifornimenti offensivi del quarterback Wilton Speight erano rimasti abbondantemente sotto le medie abituali.

L’errore, però, è sempre stato dietro l’angolo, e questa volta è stato decisivo. Nel momento meno opportuno possibile gli special team di Michigan si sono addormentati per quella frazione di secondo necessaria a consentire all’apparentemente spaesato Keith Gavin di decidere di ritornare un pallone che nemmeno lui era sicuro di far uscire dall’era di meta, infilando un improbabile ritorno di kickoff da 66 yard, che unito all’ennesimo big play di Cook ha creato il drive sfociato nella meta del contro-sorpasso firmata ancora da Murray, reperito su un lancio di estrema precisione da Francois con trentasei secondi da giocare.

Secondi che sono parsi un’eternità, dato che il più piccolo degli Aguayo ha deciso di calciare l’extra point con una traiettoria troppo bassa facendo infrangere l’ovale sul muro difensivo giallo-blu, consentendo un ritorno da due punti al giovanissimo Josh Metellus, curiosamente proprio il sostituto del funambolico Peppers, che nella sofferenza di nonessere potuto scendere in campo a lottare con i suoi compagni avrà sicuramente sorriso dinanzi alla grande giocata del compagno, che ricordava proprio una delle sue.

L’importanza di Cook nelle economie della gara è facilmente reperibile nelle 145 yard ottenute su corsa, cui se ne sono aggiunte 62 in tre ricezioni, ma è altresì leggibile dalla prestazione complessiva di un Francois spesso pressato da una difesa tostissima, che ha concesso giusto tre conversioni di terzo down in ben tredici tentativi. Al quarterback dei Seminoles va certamente il merito di aver centrato due passaggi tecnicamente ineccepibili ricavandone altrettante mete (l’ultima verso lo scadere, dimostrando ottima gestione dei nervi), ma tolto il big play di 92 yard per Murray non rimangono che un centinaio di yard abbondanti, un emblematico 9/27 su passaggio e l’intercetto che ha riaperto una partita già chiusa, tutte situazioni dalle quali l’acerbo regista dovrà trarre le corrette indicazioni in vista della stagione ventura.

Florida State, dopo il classico ricambio generazionale, registra la prima vittoria in postseason dopo il Chamionship della stagione 2013, e possiede un carico di talento non indifferente da sottoporre agli insegnamenti di coach Jimbo Fisher, il che dà all’università sita a Tallahassee di tornare ad essere una realtà da playoff nel giro di un paio d’anni. Michigan una squadra da playoff lo era già oggi dopo aver chiuso due annate consecutive con successi in doppia cifra, ma nell’immediato futuro dovrà gestire ben dieci partenze in difesa e gestire tutte le chiacchiere che un asso come Jim Harbaugh è destinato a generare ogni volta che termina una stagione, quando le richieste per i suoi servigi cominciano a far partire il solito carosello.

 

 

 

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