Contro ogni pronostico, contro un destino che pareva già scritto, e contro la stessa storia che lega, da sempre, il Rose Bowl con l’università di Palo Alto, i Michigan State Spartans sono riusciti ad aggiudicarsi la sfida di Pasadena continuando a fare ciò che han dimostrato di saper fare egregiamente durante l’intera regular season, ovvero mettere alle corde l’avversario di turno sfoderando grandissime prestazioni difensive, prove che hanno consentito al coordinatore del reparto, Bob Narduzzi, di essere premiato come miglior assistente della nazione; un riconoscimento che ha confermato di essersi ampiamente meritato anche ieri sera, con un secondo tempo impressionante, nel quale la sua difesa ha concesso pochissimo agli Stanford Cardinal, permettendo al college di East Lansing di festeggiare su un tappeto di rose, coronando una delle più grandi stagioni nella storia della scuola con un trofeo che rende giustizia al grandissimo lavoro svolto nelle ultime season.
Lavoro che ha portato ad una crescita costante e lineare, e che ha un nome ed un cognome cui fare riferimento, quello di Mark Dantonio, coach che ha profondamente ristrutturato gli Spartans dal 2007 ad oggi, guidandoli a due titoli della Big Ten e a a sei apparizioni consecutive ad un Bowl, fallendo la qualificazione solo nel suo secondo anno in Michigan, nel 2008, quando non riuscì ad ottenere una stagione vincente; un’unica caduta in sette intense stagioni, coronate con la scalata fatta di piccoli passi che l’ha portato a vincere tre finali consecutive dopo quattro sconfitte in serie, arrivando fino al punto più alto, nel match delle rose che gli ha permesso di allungare la striscia aggiungendo un altro trofeo a quelli vinti nelle season passate, nel Outback e nel Buffalo Wild Wings Bowl.
Due affermazioni inferiori, per importanza, solo a quella ottenuta a Pasadena, al termine di un match complicato, che ha visto Stanford prendere subito il largo nel primo quarto, trascinata da un ottimo Kevin Hogan e da un propositivo Tyler Gaffney, entrambi abilissimi a sfruttare le disattenzioni difensive sui giochi di corsa per conquistare parecchio terreno sul campo e portare avanti di 10 punti i Cardinal, già a segno nel drive iniziale proprio con una run del runningback all’ultimo anno, penetrato in endzone con una portata da 16 yards a conclusione di un buon drive orchestrato dal quarterback.
Trama di gioco che ha trovato una certa linearità nel corso di tutto il primo tempo, e che prima della fine dei primi quindici ha consentito al team californiano di mettere altri 3 punti a referto con un field goal trasformato da Jordan Williamson, 34 yards, in un momento piuttosto complicato per Michigan State, fino a quel punto mai entrata realmente in partita e alla ricerca costante di un’azione che potesse scuotere quel clima misto di tensione e timore che non gli aveva ancora consentito di mettere in campo tutte le proprie armi, sia difensive che offensive.
E se per vedere all’opera le prime bisognerà attendere fino a dopo l’halftime, l’attacco degli Spartans decide di darsi una mossa nel passaggio tra il primo e il secondo periodo, mantenendo un possesso lunghissimo che si tramuta nel loro primo touchdown dell’incontro, su corsa da 2 yards del runningback Jeremy Langford, uno dei punti di forza della squadra; trovata la strada dell’endzone e la meta che permette a MSU di accorciare le distanze la partita diventa ancora più combattuta e dopo una fase di stallo con i due team che stazionano spesso sulla metà campo, costretti più volte a puntare, è ancora Stanford a trovare lo spunto che gli permette di chiudere in vantaggio all’intervallo, grazie ad una buona giocata della difesa, sempre in costante pressione sul backfield.
Proprio da uno dei tanti blitz portati dai Cardinal nel primo tempo nasce il secondo TD del match per l’ateneo di Palo Alto, a segno con un pick six di Kevin Anderson, 40 yards, dopo che il suo compagno di squadra Usua Amanam aveva costretto il quarterback Connor Cook a liberarsi velocemente dell’ovale per evitare un sack sanguinoso, dentro la propria redzone; una decisione scellerata quella del pitcher al secondo anno, che invece di rischiare meno puntando su un incompleto volutamente cercato, magari pure prendendosi una penalità per un intenional grounding, sceglie inspiegabilmente di mettere in aria un’ovale nel centro esatto del campo, dove pullulano le divise bianche di Stanford, pronte a mettere le mani sul pallone e riportarlo in endzone.
Per sua fortuna, e per quella degli stessi Spartans, questa come altre sue giocate rivedibili non incidono sull’economia del match, e lo stesso quarterback poco dopo dimostra di essere dotato di quella scarsa memoria per gli errori che è parte integrante degl’interpreti del ruolo mettendo insieme un drive che porta ad una nuova segnatura di Michigan State, capace di attraversare velocemente il campo a meno di due minuti dall’intervallo e trovare lo spunto decisivo per rifarsi sotto con il fullback Trevor Pendleton, che con una presa da 2 yds si fa perdonare per una precedente sciocchezza che era costata una sanzione per violenza non necessaria e diverse yards di penalità alla sua squadra.
Team, quello allenato da coach Dantonio, che trova gli aggiustamente giusti durante la pausa e si presenta in campo con il piglio giusto nel terzo quarto, andando subito a trovare il pareggio al termine di una bella serie conclusa con il calcio trasformato da Michael Geiger, che centra i pali da 31 yards, fissando il parziale sul 17 pari che dura fino al primo drive dell’ultimo periodo, grazie anche all’ermetica difesa dei verdi, capace di respingere ogni nuovo assalto dei Cardinal e intercettare anche Hogan tre giochi dopo il field goal con il quale avevano impattato, momentaneamente, il match.
A pizzicarlo Trae Waynes, che sfrutta il grandissimo lavoro di tutti i suoi colleghi di reparto, davvero attentissimi nei secondi trenta minuti, nell’arco dei quali salgono definitivamente in cattedra il fortissimo Darqueze Dennard, che ancora una volta ha dimostrato di essere uno dei migliori cornerback della nazione, e Denicos Allen, sempre presente nel luogo di sviluppo dell’azione e autore di 7 tackles a fine partita, uno in meno del leading tackler Taiwan Jones, che ha voluto ricordare il compagno Max Bullough, sospeso per aver violato le regole comportamentali della squadra, scrivendo il suo nome sul towel utilizzato durante la partita.
Una difesa impressionante, solida e a tratti impenetrabile, abile a rendere difficile il lavoro alla linea offensiva avversaria, che non riesce più ad aprire i classici buchi che nel primo tempo avevano permesso all’attacco dei Cardinal di trovare terreno fertile sul gioco di corsa, e a complicare enormemente il lavoro di Hogan, costretto a sbarazzarsi spesso in maniera veloce ed imprecisa dell’ovale; il tutto mentre dall’altra parte del campo Cook comincia a fare il suo, trovando una sicurezza nei propri mezzi che gli era mancata in precedenza e che lo ha portato a completare il secondo TD pass di giornata per Tony Lippett, con un passaggio da 25 yards che lo porta in endzone dopo uno slalom tra i difensori di Stanford.
L’azione, di fatto, regala il vantaggio decisivo a Michigan State, che nei restanti tredici minuti rimasti si limita a controllare, e dopo aver costretto l’attacco del team allenato da coach David Shaw ad accontentarsi di un field goal, messo a segno da 39 yards, lo ferma nuovamente nel drive decisivo, respingendo il fullback Ryan Hewitt su un 4&1 che avrebbe regalato ancora altri quattro play di pura passione al college californiano; a piazzare il tackle che chiude la partita Kyler Elsworth, senior scelto proprio per sostituire Bullough, che si butta sopra il mucchio di giocatori che si stanno affrontando a ridosso della linea di scrimmage e agguanta l’avversario, impedendogli di oltrepassarla.
Una giocata che vale al linebacker all’ultimo anno il titolo di MVP difensivo dell’incontro e che regala agli Spartans la più prestigiosa vittoria della loro storia, segnata dalla grandissima prestazione di Connor Cook, che proprio nel match più importante, almeno per ora, della sua giovane carriera, piazza il proprio career high completando 22 passaggi su 36 tentati, per 336 yards, 2 TD pass e nessun intercetto che gli valgono il premio come miglior giocatore della partita, nonostante la costante pressione cui è stato sottoposto da tutta la difesa di Stanford e soprattutto dagli scatenatissimi Shayne Skov e Trent Murphy, autori, rispettivamente, di 9 e 4 placcaggi e di 1.0 sack a testa.
Numeri che non sono bastati a frenare la corsa verso la conquista del Rose Bowl da parte di MSU, che permette a coach Dantonio di festeggiare nel migliore dei modi il prolungamento di contratto appena firmato con l’università di East Lansing, che l’ha confermato per il futuro facendolo diventare uno dei tre coach più pagati della Big Ten; una felicità doppia, che traspare anche dalle sue parole “E’ un momento speciale per tutti gli Spartans, siamo venuti qui pieni di speranza e con la voglia di far bene e ci siamo riusciti; sono molto felice per il team di football, per quello che abbiamo fatto oggi e per tutta la stagione appena conclusa” dopo il grande traguardo appena raggiunto, che farà passare Michigan State alla storia come vincitrice del 100th Rose Bowl.
Folgorato sulla via del football dai vecchi Guerin Sportivo negli anni ’80, ho riscoperto la NFL nel mio sperduto angolo tra le Langhe piemontesi tramite Telepiù, prima, e SKY, poi; fans dei Minnesota Vikings e della gloriosa Notre Dame ho conosciuto il mondo di Playitusa, con cui ho l’onore di collaborare dal 2004, in un freddo giorno dell’inverno 2003. Da allora non faccio altro che ringraziare Max GIordan…