David Shaw ha raccolto un’eredità molto importante quando ha accettato di diventare il nuovo head coach del programma di football di Stanford succedendo a Jim Harbaugh, un personaggio capace di ribaltare la squadra riportando ordine, disciplina, e soprattutto voglia di vincere dopo anni passati a spolverare il fondo della allora Pac 10.

Tuttavia Shaw, che a Palo Alto evoluiva da wide receiver nella prima parte degli anni novanta e conosce molto bene questo ambiente, ha saputo portare il peso della pressione continuando a reclutare bene portando nel contempo avanti l’impostazione classica già in precedenza plasmata dall’attuale capo allenatore dei San Francisco 49ers, il pane e burro del football americano che oggi vive di tanti schemi complicati ed innovativi, e che invece i Cardinal evitano per continuare a fare ciò che sanno eseguire meglio in campo: difendere duro e gestire il tempo di possesso in attacco utilizzando formazioni di corsa tipiche e tradizionali, facendo della precisione e della disciplina la base del loro successo di squadra.

Luck e Harbaugh, due vecchie conoscenze di Stanford.

Luck e Harbaugh, due vecchie conoscenze di Stanford.

Dopo l’abbandono di Harbaugh ed il conseguente passaggio delle cuffie con microfono alla testa di Shaw, questi doveva dimostrare che l’ottimo livello raggiunto da Stanford nel panorama del football collegiale americano poteva essere mantenuto anche senza più godere del carisma del predecessore, e d’altro canto dando un occhio ai numeri era stato proprio Shaw, in qualità di coordinatore dell’attacco – ruolo già ricoperto per Harbaugh ai tempi della San Diego University – a far scrivere all’ateneo i suoi migliori numeri offensivi di sempre rispettivamente nei campionati 2009 e 2010, quando le edizioni dei Cardinal con Toby Gerhart prima ed Andrew Luck poi avrebbero registrato due stagioni consecutive sopra i 450 punti complessivi (più precisamente 461 e 524), numeri che in loco non avevano nemmeno mai sfiorato, e vinto un Orange Bowl contro Virginia Tech nel gennaio 2011.

Nonostante cambino i protagonisti, le qualità che hanno tenuto i Cardinal in alto, complice anche la vittoria dello scorso Rose Bowl senza più Luck al comando dell’attacco, sembrano essere immutate anche quest’anno e l’aspetto che colpisce di più vedendoli in azione è proprio l’estrema semplicità dei concetti offensivi con cui dominano le partite.

La formazione base prevede molti schieramenti attraverso la I-Formation con il quarterback sotto il centro, il fullback pronto a bloccare ed il running back posizionato dietro a quest’ultimo, con una variante interessante (la Power Formation) rappresentata dalle situazioni a corto yardaggio da prendere, con un uomo in più – normalmente il tight end – che si aggiunge mettendosi davanti al fullback e che si sposta in motion appena prima dello snap affiancandosi al tackle sinistro.

Quelle che erano un tempo le ottime statistiche di Gerhart, uno che ha sfiorato l’Heisman Trophy, e di Stepfan Taylor sono oggi mantenute dal cavallo di ritorno Tyler Gaffney, che dopo un anno di professionismo nei diamanti del baseball ha deciso di tornare a giocarsi l’ultimo anno di università, e di Anthony Wilkerson, il quale attendeva la fine dell’eleggibilità di Taylor per prenderne finalmente il posto da starter per poi vederselo soffiare all’ultimo momento dal rientro improvviso di Gaffney.

David Shaw

David Shaw

Niente paura, c’è comunque posto per tutti, perché Shaw di chiamate di corsa ne ha per tutti i i gusti e per tutte le misure, e Wilkerson la sua decina di snap a partita ha la possibilità di ottimizzarli ogni santo sabato contribuendo all’estrema produttività di un backfield che costituisce la colonna portante di questa filosofia offensiva.

Gaffney sta correndo benissimo tenendo 5.6 yards di media a gara al momento in cui scriviamo con un massimo di 132 yards in soli 20 tentativi nella vittoria contro Army, mentre Wilkerson usa tutta la sua potenza per andare dritto e forte portando a casa 4.6 yards di media, ed infine Kelsey Young fornisce la terza via percorribile, quella della velocità, ritrovandosi quindi adatto per tutte quelle occasioni in cui Shaw decide di variare ed va in option partendo da uno schieramento Pistol.

Young corre molto rapidamente in orizzontale verso l’esterno per poi tagliare, gli uomini di linea sono atletici e veloci nel raggiungere il cosiddetto secondo livello (la zona dove stazionano i linebacker) e di conseguenza i blocchi sono preimpostati e vanno a buon fine nella maggior parte dei casi.

Ovviamente tale tipo di impostazione viene usata più o meno pesantemente a seconda della situazione di gara, di norma Shaw parte imponendo il suo gioco di corse fisico e alla lunga sfiancante, per poi aprire il playbook per finte in play-action che la difesa deve rispettare per forza liberando possibilità di connessioni a lunga gittata tra il preciso ed efficiente quarterback Kevin Hogan – che di tanto in tanto qualche sgroppata solitaria se la fa pure lui – ed il wide receiver Ty Montgomery, oppure sfruttando la capacità dei tight end, nota arma offensiva di Stanford – di correre bene le tracce e di farsi trovare smarcati per un primo down semi-automatico.

La capacità di ricambio di giocatori è tale da permettere a Shaw il lusso, avendo perso dall’anno passato due tight end come Zach Ertz che Levine Toilolo, di utilizzare un ibrido come l’inesperto Devin Cajuste, dotato di un fisico possente e schierato da wide receiver, creando uno squilibrio costante di marcatura con il defensive back di turno che inevitabilmente risulta sempre più basso di statura (Cajuste è 6’4…), ed ecco spiegate le 20 yards a ricezione che il presunto privo di esperienza si è messo in saccoccia nelle due gare (la prima l’ha saltata) sinora disputate.

Gardner, una delle colonne difensive

Ben Gardner, una delle colonne difensive

L’altro marchio di fabbrica è la difesa asfissiante, che ha limitato i migliori attacchi della Pac 12 ed ha ricominciato esattamente da dove aveva terminato il lavoro dello scorso campionato.  Il reparto è abile nel portare pressione dal fronte ed ha diversi giocatori in grado di firmare giocate decisive in momenti caldi delle partite, molti schemi prevedono delle chiamate in misdirection per i componenti della linea che non solo confondono i bloccatori avversari, ma spesso hanno l’effetto di nascondere momentaneamente il pass rusher dietro ad un compagno per poi farlo spuntare magicamente davanti al quarterback, è lì la frittata è praticamente già fatta.

Oltre al noto linebacker Shayne Skov, uno dei leader dello schieramento 3-4, la difesa propone diversi giocatori solidi come il defensive end Ben Gardner, uno dei migliori pass rusher a disposizione, lo specialista Josh Mauro, che ha quasi sempre giocato da riserva ma effettuando un alto numero di placcaggi per perdite di yards nelle poche occasioni ricevute, e la coppia di defensive back formata da Wayne Lyons ed Alex Carter, due ragazzi che sanno leggere i giochi e sono rapidi nel reagire, e sanno stare passo per passo con il ricevitore anche in profondità.

Non guasta avere poi il playmaker delle retrovie, quell’Ed Reynolds dotato di eccellenti istinti per il pallone (6 intercetti e 3 mete su ritorno nel 2012 sono indicativi a sufficienza) e che non risparmia certo il colpo terminale ogni qualvolta se ne presenta l’occasione.

Dunque, se Stanford vince da 11 partite consecutive e riesce a tenere posizioni alte nel ranking dimostrando grande continuità, lo deve al fatto che David Shaw, l’alunno tornato all’ovile, ha saputo assumersi grandi responsabilità gestendo al meglio il suo incarico di head coach e recruiter, costruendo squadre basate su ottime fondamenta che eseguono semplici indicazioni e trasformano la loro energia in efficienza sul campo.

I Cardinal rimangono una delle squadre da tenere d’occhio da qui a fine campionato, ed utilizzeranno tutte queste loro basilari risorse per confrontarsi contro le grandi insidie che la Pac 12 nasconde, su tutte la battaglia divisionale contro Oregon che vivrà il suo probabile epilogo nel confronto diretto tra le due potenze scadenzato per il prossimo 7 novembre.

Qualora i Cardinal dovessero riuscire nella loro impresa, il premio potrebbe essere un altro biglietto per il Rose Bowl, stavolta non per la classica competizione che premia con la partecipazione la vincitrice della Pac 12, ma quello per l’ultima finale secca per il titolo nazionale prima dei playoffs a quattro, che quest’anno si terrà proprio a Pasadena.

One thought on “Stanford: il trucco è la semplicità

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