Come cadono gli Dei

Ciò che emerge sopra ogni altra cosa, nella vicenda che ha travolto la leggendaria figura di Joe Paterno, è un senso di profonda e ineluttabile tristezza.

Lo ha detto anche Jim Delany, commissioner della Big Ten da più di vent’anni, il cui laconico commento, composto da sei stringate parole, coglie il senso di questa vicenda come forse non riescono a fare i fiumi di inchiostro che tutta l’America sta riversando su giornali e siti internet: «The entire situation is so sad».

Is so sad che un eroe dello sport abbia visto una fine così ingloriosa alla sua epica e luminosa carriera; is so sad assistere ai disordini e agli atti di vandalismo che hanno commesso i sostenitori di PSU, impazziti di rabbia dopo il licenziamento di Paterno; e soprattutto is so sad pensare a quello che hanno sofferto i bambini e ragazzi vittime delle violenze commesse da Jerry Sandusky, l’ex defensive coordinator di Penn State University arrestato il 5 novembre con a carico la gravissima accusa di abusi plurimi su minori.

La sottile differenza

Tra errore ed orrore, graficamente, la differenza è quasi impercettibile; ma in questa vicenda proprio un semplice cambio di vocale segna la connessione tra gli orrori commessi da Sandusky e l’imperdonabile omissione di JoePa. I fatti sono più o meno noti: Sandusky, per una vita assistant coach di Paterno, nel 1999 rassegna improvvisamente le dimissioni da Penn State, pur rimanendo a gravitare attorno all’universo dei Nittany Lions.

La sua decisione coglie di sorpresa un po’ tutti: architetto ed artefice della difesa che svolse un ruolo decisivo per la conquista di due titoli nazionali (1982 e 1986), egli viene universalmente designato come l’erede naturale di Paterno, come l’unico in grado di subentrare un domani alla guida di PSU. Invece decide di lasciare ad appena 55 anni; ma perché? Oggi è emerso che queste dimissioni repentine furono dettate da alcuni comportamenti “sospetti” avuti l’anno prima da Sandusky; non potendo ancora confermare questa interpretazione, possiamo però dare conto di quanto accadde quattro anni più tardi.

Nel marzo del 2002 Mike McQueary, altro assistente di Paterno e oggi allenatore dei wide receivers di Penn State, sorprende Sandusky mentre abusa sessualmente di un ragazzino di 10 anni nelle docce del campus. Mc Queary fa il suo dovere, informa Paterno dell’accaduto e il venerando coach, che all’epoca ha da poco compiuto 75 anni, riferisce i fatti a due autorità gerarchicamente a lui superiori, vale a dire Tim Curley (Athletic Director) e Gary Schultz (Vice Presidente dell’università). Poi, però, Joseph Vincent Paterno detto Joe si ferma qui, non fa il passo ulteriore, quello di avvisare la polizia per cercare di fare completa chiarezza sull’argomento.

Così Sandusky continua ad avere accesso alle facilities di Penn State e soprattutto continua (fino al 2008) a collaborare con The Second Mile, il programma di sostegno e aiuto ai bambini della Pennsylvania fondato dallo stesso Sandusky che sfrutta le risorse a disposizione dell’università per far fare attività sportiva ai ragazzi, e che secondo le testimonianze delle vittime gli avrebbe permesso di avvicinarsi a decine e decine di ragazzi (The Second Mile, nonostante fosse stata avvisata da Tim Curley delle tendenze di Sandusky già dal 2002, lo ha allontanato solo nel 2008, quando lo stesso Sandusky ha riferito ai vertici dell’organizzazione, pur negandole, alcune accuse di pedofilia che gravavano sul suo capo).

Tragico e crudele, l’errore che ha portato al licenziamento di Paterno: non tanto un qualcosa che ha fatto, quanto piuttosto quello che non ha fatto. E a nulla è servito il tentativo di calmare le acque con la conferenza stampa in cui annunciava il suo ritiro a fine stagione: inesorabile e inevitabile, è arrivato invece subito dopo il licenziamento immediato, contestuale all’allontanamento del Presidente dell’università Graham Spanier, il quale si macchiò sostanzialmente della stessa colpa non dando seguito a quanto gli fu segnalato all’epoca dei fatti da Curley e Schultz.

Una (triste) storia Americana

Così quello che nel 2002 sarebbe stato un fatto di cronaca scandaloso, ma comunque senza conseguenze gravi per Paterno e Penn State, nove anni dopo è esploso con una deflagrazione che rischia di portare danni indelebili ad un programma così prestigioso. Ma il coach più vincente della storia del college football (409 vittorie) è veramente colpevole?

Dal punto di vista penale finora non è stato incriminato, né sembra che possa esserlo in futuro; ma dal punto di vista etico e morale, per il ruolo di guida che ricopriva all’interno dell’ateneo, egli è sicuramente responsabile di quanto accaduto. La sua esplicita affermazione «I wish I had done more», vorrei aver fatto di più, suona come un’ammissione di responsabilità che lascia poco scampo all’interpretazione.

Al di là dei ruoli gerarchici, Paterno aveva a Penn State il controllo assoluto delle operazioni sportive. Questa triste vicenda, allora, non fa altro che confermare le conseguenze che può avere sulla psiche umana il potere assoluto: se non arriva a corrompere l’anima, quanto meno però inquina ed oscura la capacità di giudizio, altera le riflessioni, annebbia la vista. Pensando di poter coprire un crimine così grave, Paterno ha insomma peccato di arroganza.

Ingigantito dagli anni e dal reiterare dei comportamenti di Sandusky, il suo peccato ha posto fine in modo triste e deprimente ad una storia tipicamente Americana: quella del ragazzo italo-americano proveniente da Brooklyn che diventa uno dei personaggi più influenti dell’intero panorama sportivo americano, il filantropo capace di trasformare un’università (grazie anche a donazioni che ammontano a circa 4 milioni di dollari), l’icona capace di andare a cena con i Presidenti della Repubblica, l’head coach dei record mai accusato prima dalla NCAA, e che poi cade nel fango e nella polvere in modo fulmineo, secondo quella rapida alternanza di successi e di rovesci che solo la grande democrazia americana può permettere.

Passando in un attimo, come in una tragedia greca, «from apex to nadir», l’head coach che ha letto e riletto Virgilio in latino (è membro onorario dal 1973 della Eta Sigma Phi, la società di studiosi dei classici greci e latini) e che voleva rassomigliare ad Enea, come l’eroe virgiliano è caduto vittima delle sue stesse debolezze.

 

One thought on “Il crollo di una grande leggenda

  1. Splendido articolo. Non era facile trattare una vicenda molto delicata come questa. Bravo davvero.

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